Tre giorni per allestire un maxi reparto Covid. Al secondo piano dell’Angelo i lavori fervono.
Laddove durante la prima ondata era stata organizzata la prima linea contro l’emergenza, oggi, con la seconda ondata in corso, si sono affilate le armi.
Non solo posti letto e di terapia intensiva in più ma anche nuovi ventilatori, generatori d’alto flusso d’ossigeno, caschi cPap, centraline di monitoraggio. E medici: pneumologi e internisti soprattutto.
“La prima ondata ci ha fatto capire quanto sia importante avere un sistema sanitario dinamico, capace di rispondere e modificarsi in base alle emergenze e alle necessità che si presentano di volta in volta – spiega il direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima Giuseppe Dal Ben -. I reparti non devono essere statici, ma l’ampliamento e lo spostamento di posti letto e strumentazione li rendono capaci, come in questo caso, di essere ricettivi di fronte alla situazione critica”.
Maggior esperienza, minori effetti collaterali
L’esperienza di oltre 50 mila ore cumulative a contatto con il Virus ha insegnato tanto. Anche che non si devono sottovalutare i dati.
“Nei primi giorni di questa seconda ondata ci è sembrato di avere a che fare con pazienti meno gravi – spiega il primario del reparto di Pneumologia Lucio Michieletto, assieme al primario di Medicina interna Fabio Presotto a capo dell’area Covid – ma adesso cominciano ad arrivare casi più importanti come quelli della prima ondata. Stiamo quindi rivivendo quello che abbiamo vissuto mesi fa, ma con più consapevolezza. Tutti si muovono sapendo già cosa devono fare, con collaborazione, voglia di fare e orgoglio”.All’ospedale dell’Angelo di Mestre sono attualmente 62 i pazienti ricoverati.
“Il 30% di loro non soffre di particolari altre malattie ma in ogni caso, rispetto alla scorsa primavera abbiamo imparato cosa fare e, soprattutto, cosa non fare – spiega il primario Presotto – Usiamo molto meglio i farmaci, non solo impiegandoli in categorie ben identificate di pazienti, ma anche valutando con maggior precisione le loro dosi e la loro durata di somministrazione. Il risultato è quello di una maggiore appropriatezza prescrittiva e di minori effetti collaterali. Senza dimenticare la nuova competenza nell’utilizzo, da parte di noi medici internisti, dei dispositivi di respirazione”.
Il successo della cura del plasma
Tra le pratiche effettuate con successo, la cura del plasma iperimmune, che consiste nel trasferire gli anticorpi presenti nel plasma di persone guarite dal Covid, ai pazienti affetti dal virus. In questo modo, le immunoglobile prodotte dai linfociti B, rimaste nel sangue prelevato dal soggetto guarito, vengono trasfuse al malato, si legano all’agente patogeno e lo neutralizzano.
Somministrata a 70 pazienti, ha avuto risultati efficaci
“Il plasma che raccogliamo – spiega il Direttore Dal Ben – è quello di persone che sono state ricoverate per il Coronavirus, o che ne sono state affette a domicilio ma con presenza di sintomi”.
Le sacche di plasma “vanno a ruba”, così è stato fatto un appello ai guariti affinché si rechino a donare.
Attenzione però: la guarigione del paziente deve essere stata verificata microbiologicamente attraverso due tamponi negativi consecutivi. Esistono poi, specifici requisiti per gli ex-pazienti disposti a donare il proprio plasma iperimmune. Innanzitutto l’età: trai 18 e i 60 anni. Inoltre, non devono essere state effettuate precedenti trasfusioni.
Nel caso di un soggetto femminile, non ci devono essere state gravidanze nel periodo.
Si può donare però diverse volte, con un intervallo di poche settimane. La scadenza delle potenzialità del plasma conservato è invece di qualche mese.
Già dalla primavera scorsa in Veneto si è creata una ‘banca del plasma’, l’unica in Italia, che però deve essere continuamente rifornita tramite nuove donazioni. Solo così questa strategia terapeutica potrà consolidare la sua efficacia.
“All’Ospedale dell’Angelo, al Covid Hospital di Dolo – sottolinea il primario del Servizio Immunotrasfusionale dell’Ulss 3 Serenissima Gianluca Gessoni –, ma anche all’Ospedale di Mirano, questa terapia è stata utilizzata con profitto nelle pneumologie e nelle Terapie Intensive: abbiamo evidenza che risulta utile in particolare se somministrata in una fase precoce, con pazienti con sintomatologia importante e con una situazione respiratoria non compromessa dal procedere della malattia”.