Il semaforo è giallo, per il Veneto, nella battaglia al coronavirus.
“Ma giallo non è verde” ha sottolineato il presidente del Veneto, Luca Zaia. “E tutti conosciamo i semafori: il giallo dura poco e, se non si blocca, dopo c’è il rosso”. Ecco perché, nel punto stampa quotidiano dall’unità di crisi di Marghera, il governatore ha tenuto a specificare cosa significa la classificazione della regione nella fascia più bassa nel ventaglio di possibili restrizioni per contenere il contagio.
L’appello per mantenere il giallo
“Partiamo da un buon punto – ha detto Zaia – ma non ci deve essere un entusiasmo oltre misura: non è un gioco a premi e non dobbiamo essere i primi della classe a discapito degli ultimi. La sanità sta funzionando, ma dobbiamo dare tutti una mano agli operatori. Ci vuole un lavoro di squadra”.
Ai cittadini, quindi, è stato richiesto di essere scrupolosi nell’osservare le regole.
Indossare cioè la mascherina in tutte le occasioni, anche con la famiglia, perché la stragrande maggioranza di focolai nascono in contesti domestici.
E poi non agevolare gli assembramenti, non pensare di essere esenti dal contagio perché giovani, o al 98% di asintomatici, o al 96% di sintomatici che si cura a casa.
“Abbiamo quasi 1.300 ricoverati e non è ancora finita – ha rilevato il presidente – Al di là della festa per il risultato giallo, il virus c’è. Ci sarà tempo per fare cene con familiari, amici e colleghi”.
La situazione ospedaliera
Il bollettino dopo la mattinata del 5 novembre snocciola numeri tutt’altro che bassi: 1.274 ricoveri (+81), 170 terapie intensive (+15). La situazione è “di allerta critica, perché non possiamo sapere l’evoluzione dei prossimi giorni e delle prossime ore”, ha detto Zaia ricordando comunque come “in Italia siamo quelli che hanno allestito più terapie intensive, che sono tra l’altro, al 16% del potenziale, tra quelle meno aggredite. E il modello, ci dice che arriveremo attorno a 250-300 su un migliaio”.
Il 29 marzo, nel precedente picco di contagi, le terapie intensive attivate per Covid furono 356.
Scongiurando l’arrivo del picco
Il modello continua a confermare anche il possibile picco dell’epidemia a metà novembre, considerando che la nuova accelerazione si è registrata da metà ottobre.
La curva prevede una crescita di 45 giorni e un progressivo calo nei successivi 45.
“Intanto – ha concluso Zaia – in alcuni Covid Hospital, sia pure a discrezione dei direttori generali, si va progressivamente verso la sospensione delle attività ordinarie, cercando di salvaguardare almeno i reparti oncologici e, ove possibile, i punti nascita. Ma non ci sono alternative”.