Chi visita la mostra di Emilio Vedova ai Magazzini del Sale, a Venezia, non può che rimanere senza parole nel vedere i quadri, come per “magia”, venire incontro allo spettatore. Non accade spesso, infatti, che ciò che solitamente sta “dietro le quinte” sia portato sulla scena assieme agli attori. E’ stato difficile realizzare questo progetto? “Il motto della Favero&Milan – spiega l’Ingegner Maurizio Milan – è “risolvere in modo semplice i problemi complessi” e lo abbiamo applicato. E complesso, il sistema, lo era davvero, a partire dalla scelta del movimento dei quadri:bisognava pensare a un meccanismo perfettamente coordinato, perché quando si manipolano le opere d’arte, estremamente delicate, nessun errore è consentito. Vi sono infatti bassissime soglie di tolleranza. Inoltre, Vedova dipingeva su tele povere e con olii artigianali che rendono il supporto molto delicato. Le opere, quindi dovevano essere maneggiate con grande cura. Si son dovuti utilizzare trentadue computer, un software specialistico esclusivo costruito appositamente perché, ovviamente, non si disponeva di un modello preesistente; è stata applicata la tecnologia della manipolazione degli oggetti delicati, la tecnologia dello stoccaggio delle opere di valore… insomma un cocktail complesso. Mandare una navicella spaziale sulla luna è cento volte più semplice, ma ci siamo riusciti”.
Il binomio ingegneria-arte non è certo una novità nell’ambito dell’attività della Favero&Milan… “In effetti, siamo abituati ad operare “fuori dalle righe” e ad adottare sistemi non convenzionali – continua Milan – ad esempio, sempre con Renzo Piano abbiamo lavorato alla Chiesa di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo. Si trattava di lavorare con immense strutture di pietra con cui nessuno voleva avere a che fare. Lo stesso Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, che conosceva bene le difficoltà implicite nel progetto, ci ha dato il nullaosta per agire a nostro rischio e pericolo. Rischio e pericolo che noi valutiamo sempre. Recentemente poi, con Michele De Lucchi, abbiamo realizzato un ponte di bambù di 13 metri per l’accesso alla Triennale Design Museum di Milano. E ancora, nella Basilica di Aquileia, facciamo “volare” le persone su delle lastre di vetro per 16 metri. Queste cose “un po’ strane” sono per noi all’ordine del giorno e rappresentano la parte più divertente del nostro lavoro. Questo dei Magazzini del Sale, è un impegno che abbiamo preso nel 1984 con Emilio Vedova. Eravamo in pieno cantiere del Prometeo, nell’ex chiesa di San Lorenzo a Venezia. C’eravamo io, Renzo Piano, Claudio Abbado, Massimo Cacciari ed altri, tutti seduti attorno a un tavolo. Ricordo che in quella sede Emilio Vedova, da sempre affascinato dall’idea delle dinamiche espositive, disse che gli sarebbe piaciuto che si studiasse il suo spazio espositivo.
Renzo Piano ha preso spunto da lì”. La grande area metropolitana che ruota attorno a Venezia, è un territorio fertile per questo tipo di produzioni all’avanguardia? “Assolutamente sì – è l’idea del professionista veneziano – basti guardare al risultato della mostra di Vedova, spaventosamente al di sopra delle più ottimistiche aspettative. I periodi del vernissage sono solitamente dedicati al resto del mondo, ma in questo momento il 60% della nostra attività riguarda l’hinterland veneziano e vi sono una partecipazione, un’attrazione e un interesse fortissimi. Per non parlare poi del pubblico giovane. È bellissimo e divertente vedere i ragazzi pazientare durante tutta la dinamica dell’esposizione, ammirare il susseguirsi delle scene ed apprezzare lo spazio vuoto, proprio come lo ha pensato Renzo Piano”. A proposito di spazi, è peculiarità di Venezia disporre di una serie di location anti convenzionali che vengono risemantizzate in vista di nuove pratiche…
“Questi spazi che ci pervengono dal rinascimento in avanti sono assolutamente eccezionali – continua Milan – i Magazzini del Sale erano dei depositi, poi il Comune li ha messi a disposizione di Vedova perché fossero il suo atelier. A Venezia abbiamo un patrimonio architettonico assolutamente unico al mondo e grandi spazi, chiese e scuole che non si utilizzano. Proprio in questi giorni è avvenuto un fatto importante con la riapertura della Misericordia, uno spazio straordinario che, da questo punto di vista, rientra a pieno titolo nel progetto del “Chilometro dell’Arte” di cui la mostra di Vedova rappresenta l’ultima tappa. Attualmente, qualcosa di analogo è in atto anche a Tripoli, in Libia, dove stiamo recuperando un’ex manifattura tabacchi del periodo Ottomano per farne un museo della tradizione della cultura di Tripoli”. Spazi, eventi, pubblico. Questo percorso culturale può anche essere un modo per coinvolgere un pubblico più vasto? “A questo proposito ci terrei a dire una cosa: per avere cultura ed arte ci vuole una Scuola – è la convinzione di Milan – a Venezia c’è solo una Scuola, ovvero l’Accademia delle Belle Arti e non è sufficiente, in una città come Venezia, soprattutto per la sperimentazione che caratterizza l’arte contemporanea. Dove vanno a comporre i ragazzi? L’arte contemporanea non significa soltanto dipingere: ci vogliono strutture per costruire. Questo è un aspetto importante che Venezia e il territorio devono considerare. Si deve creare sistema per creare le opportunità. Non bisogna aspettare che si verifichi una situazione di carenza, quando è già troppo tardi e non si è più in grado di dare le risposte. È questo il momento di pianificare, di rispondere alle esigenze e creare le condizioni affinché si possa lavorare meglio. Dare prospettive ai giovani è fondamentale affinché chi vuole fare l’artista abbia la possibilità di farlo. Noi crediamo nella concretizzazione di questo percorso e ne siamo parte attiva, perché quando abbiamo un committente cerchiamo di contribuire, dando la nostra opinione contribuendo con proposte e iniziative in questo senso”. Chi sono i committenti della Favero&Milan? “La nostra è una società di Ingegneria che fornisce soluzioni e supporti nel settore delle costruzioni. Il processo parte dall’idea di investimento sociale e include i programmi di sviluppo, la concretizzazione, la realizzazione, sino alla consegna e all’aiuto all’uso. Molte delle nostre committenze sono legate ad architetti illustri (siamo una delle poche società d’ingegneria che riesce a lavorare con gli architetti: di solito regna il conflitto, ma noi lo abbiamo superato da anni e – anzi – ci siamo divertiti!). L’ultima è stata quella con Renzo Piano, con cui lavoriamo da quasi 30 anni, ma poi lavoriamo anche con altri illustri architetti internazionali, con enti pubblici e privati; partecipiamo assieme ad altri a competizioni molto trasparenti dove siamo tutti allo stesso punto di partenza e vince il progetto migliore. Oggi portare a termine un progetto è davvero complesso: bisogna pensare alla soluzione ideale che abbia prezzi sostenibili ed accettabili dal nostro committente.
Lo sceicco che non impone limiti di prezzo è una fiaba: su 1000 progetti portati a termine dalla Favero&Milan – proprio di recente abbiamo celebrato il millesimo con la produzione di un libro sulla società – non ci è mai capitato. Per cui “soluzioni semplici a problemi complessi” sì, ma anche cercando di far spendere il meno possibile”. Come vede il futuro di Venezia e del territorio limitrofo? “Venezia è unica al mondo, nel bene e nel male – chiude Milan – nel bene perché è una fonte di attrazione che riesce a sbigottire chiunque; nel male perché a Venezia tutto è difficile. Questo è un grosso impasse che la città sta dimostrando di voler superare: i Magazzini del Sale, il recupero della Dogana, la Misericordia… segnano il passaggio verso la compressione dell’uso degli spazi e la capacità, rispettandone la loro storia, di integrarli con innovazione. Non va inoltre dimenticata la presenza della zona industriale di Marghera, l’anticamera di Venezia affacciata sulla laguna. Si tratta di un posto meraviglioso che deve essere assolutamente valorizzato e riconvertito. Potrebbe prestarsi a un terziario evoluto di livello internazionale, polo dell’intelligenza e della cultura. Penso infatti che se c’è un modo di superare la crisi di oggi non è riciclando i vecchi sistemi di investimento, ma soprattutto finanziando la ricerca e l’innovazione. Questo secondo me è l’impegno: puntare sui giovani, perché è l’innovazione ciò che ci permetterà di riavviare il sistema economico”.
DI GIULIA DE MEO
Arte e Cultura +
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18 Ottobre 2009
Tag: arte, territorio