Se qualcosa di buono possiamo trovare fra le macerie lasciate dal coronavirus, è forse l’occasione per discutere del futuro di Venezia con occhi diversi.
Abbiamo la possibilità di metterci a tavolino partendo quasi da zero, elaborando nuove idee e nuove opportunità, nuovi schemi, nuovi paradigmi urbanistici, economici e sociali.
Possiamo ridisegnare, come davanti a un foglio bianco, i modelli che finora hanno tratteggiato la storia recente della nostra città.
È un esercizio che ci siamo permessi di fare raccogliendo le risposte di molti cittadini, anche acquisiti o d’elezione. Partendo dal Primo Cittadino e cercando di sondare tutti gli ambiti di questa grande realtà che, come sempre, e sempre più spesso in questi ultimi mesi, si asciuga le lacrime, si rimbocca le maniche e si rimette al lavoro.
Da oggi, un intervento al giorno per 10 giorni, pubblicheremo i contributi di quanti hanno condiviso con Metropolitano.it idee e suggestioni, immaginando con noi le prospettive e il futuro di una città che si reinventa.
Si tratterà di assumere nuove abitudini, aggiungendo una serie di accorgimenti. Ma sono molto ottimista sulla capacità di ognuno di noi di convivere con i dispositivi di protezione. I cambi di abitudine non devono fermare il lavoro delle persone e la creatività. La società deve andare avanti.
Sono convinto che la grande attrattività di Venezia non può essere fermata nemmeno dal coronavirus. E Venezia non può che ridisegnarsi sui quantitativi di persone. La città ha una tale concentrazione di arte e storia che una ripartenza graduale, come quella che avverrà adesso, può far rientrare le persone in modo più disteso e sentendo Venezia più accogliente.
E poi c’è la capacità che ha questa città di risorgere.
Io non sono veneziano, ma vivo qui da 13 anni. E continuo a meravigliarmi.
Quanto al nostro settore, purtroppo, soffre per un motivo connaturato alla nostra stessa professione. La musica è infatti aggregazione: di suoni, prima che di persone. La crisi ha aperto uno squarcio gravissimo sulle nostre finanze: alla Fenice, il 33% del bilancio deriva dalla biglietteria. Quel che più mi preoccupa però non è l’oggi, ma che tra un anno ci possa essere una Fenice in salute e con tutti i lavoratori al loro posto. Dobbiamo allora adattare la programmazione alla situazione attuale.
La Fenice è la più bella bomboniera al mondo. Ma non possiamo aspettare il vaccino per riempire tutti i 1000 posti: se l’Italia può stare due anni senza la Fenice, può stare sempre senza i teatri. Abbiamo allora iniziato a prepararci per una pur minima riapertura, appena ci sarà concesso. I palchetti già di per sé ci consentono di dividere gli spettatori, ma abbiamo pensato di trasformare completamente gli spazi. Va compenetrata l’arte modernissima della scenografia nella tradizione di una sala unica. Vogliamo ricavare una sorta di “arca” dalla platea, togliendo file di sedie per far stare l’orchestra più larga. Il pubblico, lo metteremo sul palcoscenico a 5 metri d’altezza, e potrà vedere il teatro come fa normalmente chi canta: un’opportunità che abbiamo solo in questo particolare momento.
Il mondo deve essere spinto a venire a Venezia a vedere qualcosa di assolutamente non convenzionale. E poi dovremo essere capaci di produrre uno spettacolo legato a questi momenti.