Da mostro sacro in campo a Presidente della Federazione Pallacanestro. Dino Meneghin spazia a 360 gradi sul basket italiano. E di Venezia dice: “Farebbe la fortuna di qualsiasi manifestazione internazionale ma deve dotarsi di un impianto capiente”
Dal campo alla scrivania, un salto non facile, soprattutto per chi ha sempre lottato in prima persona, senza affidarsi a giri di parole. Il Rinascimento della pallacanestro italiana, però, poteva partire solo con Dino Meneghin alla guida, l’unico, forse, che in questo momento poteva unire Guelfi e Ghibellini, riducendo al silenzio fazioni e contrade. Cinquantotto anni, bellunese di Alano di Piave, profondamente legato al Veneto, Meneghin è stato eletto presidente della Federazione Italiana Pallacanestro il 7 febbraio scorso con 4.375 voti, dopo aver ricoperto la carica di commissario straordinario, su input della Giunta Nazionale del Coni, a partire dal 30 settembre, all’indomani delle dimissioni di Fausto Maifredi. Quattro mesi da presidente, un primo bilancio. “Positivo, direi – è l’analisi di Meneghin – io sono sempre stato, fino allo scorso autunno, un uomo di campo, prima come giocatore e poi come team manager in Nazionale. Mi ero occupato di tante cose, ma quando indossi i panni del dirigente, cambia tutto. E’ un’esperienza personale esaltante, che mi riempie di grande curiosità perché scopro giorno dopo giorno situazioni diverse a cui cercare una soluzione, utilizzando spesso e volentieri l’arma della diplomazia. Sono un presidente fortunato perché posso contare su una squadra affiatata, composta da gente che ama la pallacanestro avendola vissuta dall’interno e che lavora giorno dopo giorno per raggiungere traguardi sempre più importanti”. Differenze tra il compito di commissario e quello di presidente? “Decisamente sì – continua il numero uno del basket italiano – anche perché in origine dovevo fungere da traghettatore, poi la situazione si è evoluta in una direzione quasi impensabile all’inizio. Si passa da una fase di transizione ad una di responsabilità assoluta. Cominci ad essere tirato a destra e a sinistra, ti trovi a dover fronteggiare esigenze diverse di realtà diverse, e ti rendi conto che, purtroppo, si finisce sempre per scontentare qualcuno. Per questo, come ho detto prima, serve anche l’arma della diplomazia”.
Come può crescere la pallacanestro italiana?
“Bisogna lavorare per avere maggior visibilità – è l’idea di Meneghin – il basket italiano spesso rimane all’interno delle realtà locali, bisogna “vendere” il nostro prodotto al meglio su scala nazionale. La pallacanestro deve ritagliarsi maggiori spazi sui quotidiani, e non solo su quelli sportivi, ma soprattutto deve avere spazi più ampi in televisione. Gli sponsor ci sono, alcuni sono anche appassionati, ma naturalmente hanno bisogno di un ritorno d’immagine e quando questo ritorno non c’è, oppure è ridotto, finiscono per stancarsi. Inoltre è fondamentale lavorare in profondità a livello scolastico e nel minibasket per allargare sempre di più la base del nostro movimento”.
Quale giudizio dà alla pallacanestro veneta?
“Il Veneto è sempre stata una delle regioni leader del movimento cestistico italiano, una zona in cui sono nati e cresciuti fior fiore di giocatori, grandi talenti. Una tradizione che continua anche adesso. Fatta eccezione per la Benetton Treviso, però, manca un’altra società ai massimi livelli, in serie A per intenderci. La Reyer è ritornata in LegaDue lo scorso anno, l’entusiasmo sta crescendo, ma piazze storiche come Verona e Padova sono in categorie inferiori”.
Delusione per la mancata assegnazione dei Mondiali del 2014 all’Italia a favore della Spagna? “La delusione è stata comprensibile al momento dell’annuncio, ci abbiamo creduto fino alla fine – ammette il presidente Fip – mi è dispiaciuto soprattutto per tutte le persone che avevano lavorato alla grande per tanto tempo, io ero arrivato quasi alla fine del percorso. La nostra candidatura era forte, ma abbiamo trovato un avversario ancora più forte. Va dato atto che la Spagna ha meritato di essere designata, quindi nessun rimpianto”.
Quali manifestazioni potrebbero essere organizzate dall’Italia? “L’obiettivo più vicino è costituito dagli Europei 2013, ma bisogna far presto perché la scelta verrà effettuata il prossimo anno. Possiamo riprovarci”.
La presenza di Venezia potrebbe garantire un “peso” internazionale maggiore alle future candidatura dell’Italia? “Venezia è una città unica – riconosce Meneghin – che farebbe la fortuna di ogni comitato organizzatore. Al momento, però, la città lagunare è tagliata fuori dalle grandi manifestazioni internazionali. La Fiba punta sempre di più su città dotate di impianti capienti, dai 7.000 posti in su, arrivando anche a 15.000. Venezia non dispone di una struttura del genere, mi auguro che in tempi brevi possa dotarsi di un impianto moderno, magari sotto la spinta del progetto del presidente Brugnaro”.
Cosa sa del progetto Reyer? “In Veneto sono di casa, e non solo perché sono nato in provincia di Belluno. Il Progetto Reyer lo conosco, e non solo per i risultati ottenuti sul campo dalle due squadre senior. E’ importante che Venezia sia ritornata in LegaDue, mentre sono anni che la squadra femminile è al vertice. Quello che mi piace è il contorno all’avvenimento sportivo, il pubblico che affolla il Taliercio, l’entusiasmo che si è ricreato. La Reyer non è solo agonismo, il progetto lanciato dal Presidente Brugnaro esce dal campo, si rivolge alle persone, ai tifosi. Quello che maggiormente mi ha incuriosito è l’idea di far conoscere la realtà Reyer alle famiglie dei neonati, grazie all’accordo con alcune strutture ospedaliere, inviando loro il cofanetto “Reyer Baby”.
Il presidente Brugnaro ha inoltre “recuperato” la Palestra della Misericordia. “É uno dei luoghi ”sacri” della pallacanestro italiana – spiega l’ex stella azzurra – mi sembra un’opera meritoria quella portata avanti dal presidente della Reyer di far ristrutturare la palestra di Cannaregio e di restituirla, al di là di quelle che saranno le destinazioni d’uso future, ai veneziani. Al tempo ci incuriosiva molto giocare in quella struttura, anche se una volta in campo, si dimenticavano affreschi, statue e capitelli, si pensava solo a battere la Reyer”. Quali sono i ricordi di Meneghin che lo legano di più a Venezia. “Il viaggio di avvicinamento alla Misericordia prima e all’Arsenale poi. In nessun’altra città si arriva al palasport in barca o in lancia”.
Un augurio per il futuro? “Che la Reyer continui a crescere, i risultati verranno di conseguenza”.
DI MICHELE CONTESSA