Questa non è la prima volta che mi viene richiesto di spiegare cos’è una vera squadra, cioè, il segreto del successo. Una premessa: non ho la “chiave magica” per aprire la porta che conduce al successo. Sono solo un osservatore delle cose, uno che ha preso centomila appunti mentali, uno che ha cercato di applicare molte di queste lezioni, uno che ha fatto diversi anni di esperienza come coach, sia come vice che come capo allenatore. Ho visto i grandi allenatori operare. Soprattutto, ho visto i grandi campioni e le grandi squadre lavorare. Qualche idea su come si può vincere, di che cos’è la squadra, me la sono fatta.
SQUADRA.
Ecco la parola che dice tutto. Mi fa impressione quando sento (o leggo) parlare del gruppo. Come se andare a cena e essere amici fosse in se il segreto del successo, della vittoria. Se fosse così semplice, la società inviterebbe tutti a cena ogni sera e in vacanza ogni estate. Invece, non funziona così. È la squadra che conta. È quello che fa quel gruppo in campo che conta. È proprio lì che si vede la squadra. E anche se gli atleti tra di loro si odiano, un gruppo può giocare come squadra.
SACRIFICIO.
Parlo di lavorare al limite dello sforzo. Quando una squadra ha lavorato duramente in allenamento, ha fatto ciò che viene chiamato sacrificio. Quelli che vogliono allenamenti blandi, senza impegnarsi non possono mai vincere. Quando allenavo super campioni, come Dino Meneghin, Renzo Bariviera, Roberto Premier e Mike D’Antoni, sapevo che eravamo imbattibili perchè sapevo quanto sudore e quanto sangue avevano versato in campo in allenamento. Fra l’altro, è proprio lì che si vede la squadra. Quando un gruppo soffre insieme, viene insieme in campo. Non vuole perdere, anche per il compagno.
GENEROSITÀ.
Parlo dell’opposto dell’egoismo. Vuol dire essere disposti a rinunciare al proprio tiro per fare un passaggio a chi è piazzato meglio. Forse arriverà un assist, forse no, questo non deve importare. Bisogna aver voglia di aiutare il compagno ovvero aiutare la squadra. Quel compagno riconoscerà il gesto e vorrà restituire il favore. Anche questo aiuta a fare squadra! Non è interessante come dare qualcosa porti ad avere qualcosa? E quando la gente è disposta a dare così, la squadra diventa imbattibile. O almeno molto difficile da battere.
CORALITÀ.
Una difesa è proprio come una catena: non più forte dell’anello più debole. Una grande difesa è un balletto, una grande coreografia degna della Scala di Milano. Idem in attacco. Preferisco sempre vedere ogni attaccante toccare la palla almeno una volta in ogni azione. Facendo così, la difesa non può difendere contro tutto, soprattutto quando conta di più. Per quell’ultimo tiro, quella della vittoria, dicevo ai miei: “Giocate in cinque. Fate un gioco corale. Coinvolgete tutti. Se lo fate, qualcuno sarà libero per tirare bene. Non so chi sarà libero ma sarà uno. Perchè avete giocato come una squadra e non uno contro cinque”.
EQUILIBRIO.
Una vera squadra non è mai (o raramente) sbilanciata. Vuol dire che ognuno porta il suo mattone. Vuol dire che i lunghi prendono rimbalzi ma anche i piccoli. Vuol dire che i piccoli corrono ma lo fanno anche i lunghi. Vuol dire che l’attacco non è mai indirizzato sempre ad un uomo o ad un lato del campo, ma che c’è una buona distribuzine di tiri e punti. Vuol dire che una squadra gioca in difesa come in attacco: a tutto campo come a metà campo. Sto descrivendo una squadra completa, che non mosta nessun punto debole all’avversario, che sa giocare a 360°, come ogni grande squadra.
CERVELLO.
Qui si parla della mentalità vincente. Una vera squadra gioca anche con il cervello, spesso più difficile che giocare con le gambe, i polmoni e le mani. Io sostengo che la fatica mentale stanchi il giocatore più che l’impegno fisico. Paragono lo sforzo mentale con il dolore. Come sappiamo, un grande dolore ci lascia indeboliti, come se avessimo fatto una maratona. La grande squadra, la vera squadra, deve abituarsi all’impegno mentale. Chi riesce a usare la testa vince, chi non ci riesce perde. Chi usa il cervello sa che è la squadra che vince, non il talento. Quindi, sa che giocare in 5 è meno faticoso che giocare da solo.
VALORI.
Cioè, sapere cosa fare e cosa evitare. Quando si vede un tiro forzato o uno sfondamento, si sa che è perchè un giocatore non ha valutato bene le cose. Quindi, il campione, come la vera squadra, deve sapere ciò che è importante e ciò che non lo è. Non può intestardirsi. Certo, questo è anche cervello. Ma è soprattutto senso dei valori. Mettendo queste cose insieme, abbiamo ciò che io definisco squadra. Ho lavorato tutta la mia carriera per avere questo. Non è facile. È un lavoro quotidiano dalla parte della società, dello staff tecnico, dai giocatori stessi, e tutti quanti. È imparare una lezione di squadra ogni giorno.
DI DAN PETERSON
Identificate le differenze e le analogie siamo pronti a scommettere che vorremmo lavorare tutti in una squadra o ancora meglio vorremmo che la nostra azienda sia un’unica squadra che perseveri gli obiettivi stabiliti dal management. L effetto Ringelmann e la tendenza dei membri individuali di un gruppo a divenire sempre meno produttivi quando la dimensione del loro gruppo aumenta, ossia quando la dinamica del gruppo va a scapito del potenziale individuale .