Roberto Lachin a nove anni ha iniziato a sbattere contro gli oggetti.
Quella che inizialmente era stata scambiata per sbadataggine si è preso risolta in una diagnosi pesante.
Roberto soffriva di retinite pigmentosa, malattia che progressivamente lo ha portato a vedere solo una debole luce da un piccolo foro che gli è rimasto al centro dell’occhio.
Questo, però, non lo ha portato a rinunciare alle sue passioni, sfociate in una cintura nera e nella partecipazione vittoriosa ai campionati italiani di judo.
Alla ricerca di una palestra inesistente
“La mia storia con le arti marziali è piuttosto singolare – racconta – Fin da ragazzino, spinto dai cartoni giapponesi sullo sport, desideravo far parte di un gruppo sportivo e fare agonismo. A causa dei miei problemi di vista, che mi hanno portato alla cecità, nessuna squadra o palestra cui mi rivolgevo voleva però prendermi. Ho continuato a cercare negli anni finché, quando meno me lo aspettavo, in età adulta, ho trovato l’occasione. Portai mio figlio di tre anni alla sua lezione di prova di karate al palazzetto dello sport.
C’era poco spazio e i genitori erano stati invitati a tornare alla fine. Io da solo col mio cane guida ho passeggiato dentro al palazzetto e per sbaglio sono entrato in un dojo di judo dove sono stato accolto e invitato a provare la disciplina”.
Lo sport guida nella vita
Da allora, Roberto non ha più mollato: da amatore delle arti marziali in genere ad agonista con il Judo Mestre 2001, per due anni consecutivi è arrivato al secondo posto del campionato Italiano di Judo Fispic.
“Questo sport mi ha dato molto, non solo la possibilità di potermi allenare e stare bene fisicamente – dice – C’è anche una componente sociale molto importante. Io mi alleno assieme a persone normodotate e siamo diventati amici, quasi una grande famiglia sportiva. Questo è molto importante perché spesso i non vedenti tendono a chiudersi in se stessi e frequentano quasi solo altri non vedenti. Il fatto di prepararmi e partecipare alle competizioni di judo mi aiuta poi tantissimo ad affrontare anche i problemi della vita. Uno degli scopi del judo infatti è quello di progredire come individui per se stessi ma anche per la società. Così ho imparato a cercare di migliorarmi per dare una mano a chi ne ha bisogno”.
Tra Venezia e Mestre con Atena
Nemmeno Venezia, che per molti potrebbe sembrare ostacolo insormontabile per un non vedente, per Roberto sembra rappresentare un problema: “Io passeggio per Venezia col mio cane guida Atena e devo dire che Venezia è molto semplice da fruire sia a piedi che con i vaporetti.
Non ci sono strade da attraversare e macchine cui stare attenti, quindi mi sembra ci siano molti meno problemi che a Mestre. Certo, ci sono canali e ponti ma Atena me li fa evitare o attraversare senza difficoltà.
Ci sono anche molti musei e mostre accessibili e con percorsi tattili ad hoc per chi non ci vede. A me piacciono molto quelli del Museo di Asia Orientale a Ca’Pesaro o quello di arte del Peggy Guggenheim. Se proprio volessi trovare un pelo nell’uovo, mi sentirei di dire che la sintesi vocale dei vaporetti che avvisa sulla prossima fermata spesso non è attiva per vari motivi. Questo rende difficile per un non vedente che non conosce la città capire dove scendere per visitare i luoghi desiderati. Ma io risolvo a modo mio usando le applicazioni sullo smartphone che al giorno d’oggi avvisano pure sulle rotte e le fermate dei mezzi pubblici”.
Tanto allenamento e un desiderio
Cintura nera e primo dan, ora Roberto Lachin si prepara a realizzare il suo desiderio: partecipare a qualche competizione con la nazionale italiana.
“E’ molto dura, ma mi tengo in allenamento ogni giorno. – spiega – Anche in tempi di coronavirus utilizzo gli strumenti che ho a casa e 3 volte alla settimana mi collego con il mio Maestro Michele Pasini e tutti i compagni e facciamo video lezioni on line per tenerci in forma per tenerci in forma”.
L’obiettivo: trekking sull’Everest
Per lui che consiglia di prendere la propria disabilità con ironia e di non vergognarsi per ciò che si è, la competizione con la nazionale non è l’unico sogno nel cassetto.
“Vorrei cimentarmi nell’impresa di fare trekking sul monte Everest – rivela- E’ qualcosa di più di un sogno, è un obiettivo e per questo sto studiando assieme a un altro mio amico non vedente come poterci organizzare per dimostrare anche ad altri disabili che con la buona volontà si possono fare molte cose”.
Un esempio per tutti !! Complimenti
Esemplare voglia di vivere. Grazie al “Metropolitano” per averlo fatto conoscere