Le denunce segrete
di Alberto Toso Fei
La tragedia di Otello comincia con una denuncia.
Nel cuore della notte, il senatore Brabanzio viene svegliato da urla e strepiti che rimbombano sotto il suo palazzo.
Qualcuno è venuto a rivelargli – e probabilmente, come si può facilmente verificare oggi, alzando appena la voce nelle anguste calli veneziane, rivelandolo anche a tutti i vicini – che sua figlia è fuggita e convolata a nozze clandestine con un capitano Moro.
Nella realtà le denuncie a Venezia venivano fatte in una forma molto più discreta, o scrivendo delle memorie chiamate raccordi in cui si offrivano allo stato notizie utili per la sua salvaguardia in cambio di favori o remunerazione, oppure affidandosi a una bocca silenziosa ma potenzialmente letale, la cosiddetta Bocca di Leone.
Contenitori di denunce
Se per molti secoli le denunce segrete furono depositate in apposite cassette di legno appese all’esterno dei palazzi oppure lasciate in qualche luogo pubblico o – ancora – affidate a delle terze persone, è probabilmente alla fine del Cinquecento che venneno istituite le Bocche di Leone, mascheroni di pietra nella cui gola si potevano infilare le denunce.
Se ne può ancora osservare una di grande bellezza sulla Loggia Foscara, al primo piano di Palazzo Ducale, sul versante della Piazzetta; ma ve n’è un’altra murata sulla facciata della chiesa di San Martino a Castello, e una terza ai Gesuati, per i delitti “contra la sanità per il Sestier de Ossoduro”.
Come racconta lo storico Paolo Preto nella sua affascinante storia dei servizi segreti e dello spionaggio a Venezia, in più luoghi della città comparivano alcune bocche per denunce segrete, che spesso avevano la forma di un muso di leone, che venivano utilizzate per raccogliere segnalazioni contro coloro che si fossero macchiati dei crimini più vari.
Denunce segrete ma non anonime
Le chiavi delle cassette erano tenute da magistrati, ognuno per la propria competenza.
Attenzione, però. “segrete” non significa “anonime”; non era infatti così facile, contrariamente a quanto si possa credere, accusare qualcuno: una legge del 30 ottobre 1387 ordina che le accuse senza firma dell’estensore, poste nella cassetta del Consiglio dei Dieci, siano bruciate senza tenerne conto.
Altra legge del 1542 stabilisce che possano essere accettate denunce anonime in materia di bestemmia, purché nel testo siano citati almeno tre testimoni presenti al fatto.
Se nel 1602 il veneziano Pier Maria Contarini esalta il ruolo delle denunce segrete per la salvaguardia dello stato poiché “altro rimedio non è contra la tirannide che la secretezza delle accuse”, l’inglese Charles Burney nel corso della sua visita a Venezia – a fine Settecento – riferisce che la principale Bocca di Leone di Palazzo Ducale è coperta di ragnatele e inutilizzata da un paio di secoli.
La disavventura di Da Ponte, convivente
Eppure, a incappare tra le maglie della giustizia per mezzo di una di queste bocche, posizionata nei pressi della chiesa di San Moisè fu, esattamente in quel periodo, Lorenzo Da Ponte, librettista di Mozart, che il 28 maggio 1779 fu accusato con queste parole: “tal indegno… seduse una moglie, che seco lui fa convivere lontana dai sacramenti, procreando con lei parti nefandi e inlegitimi”.
Pochi anni più tardi, dopo la caduta della Repubblica, questa pratica diventerà pretesto e simbolo negativo del dispotismo aristocratico del regime veneziano, alimentando diverse leggende nere prive di fondamento.