Fu grazie alla carne di maiale se venne costruita la Basilica di San Marco
C’è chi la definisce una ‘tendenza’ e chi la considera la chiave per ottenere ottimi, e quanto mai impensati, risultati. Alla base, studi di qualche decennio fa secondo i quali, se le mucche ascoltano musica classica, producono più latte. Ma scommettereste sul fatto che facendola ascoltare ai maiali le loro carni risultino più gustose?
A quanto pare è davvero così. Ad affermarlo è Pierluigi De Meneghi, allevatore di Spresiano (Tv), che coccola a suon di musica i suoi maiali. Al ritmo di Radio Birikina, secondo lui, non solo le loro carni sono speciali ma i suoi animali risultano più felici e sani.
Pop, anni ’60 o le hit del momento?
I maiali di De Meneghi si sollazzano infatti nella porcilaia con la musica della radio. Ogni due ore, e per venti minuti, si godono la programmazione dell’emittente di Castelfranco Veneto. Ma com’è nata questa idea? De Meneghi, che per i suoi musetti ha vinto il premio “Musetto d’oro” conferito dall’Ingorda Confraternita di Riese Pio X, ha svelato che la chiave sta nel consiglio di un suo amico veterinario il quale, diversi anni fa, gli ha raccontato di alcuni studi sull’effetto della musica nelle mucche che poi lui ha riscontrato anche sui maiali. De Meneghi, che è un allevatore sopra le righe, ha colto il consiglio al balzo. Per un maggior benessere dei suoi animali, li alleva all’aperto, d’estate garantisce docce fresche ristoratrici e prepara lui stesso l’alimentazione a base di mais, farina e orzo. Insomma, i suoi sono maiali viziati e lo ricambiano regalando carni morbidissime.
Una Ingorda Confraternita
A confermarlo è stata l’Ingorda Confraternita del Musetto” di Riese Pio X che, sulla base del proprio motto, “Glutinosum oportet esse”, (“bisogna che el pete” per chi non mastica di latino) ha premiato De Meneghi. Vien da sorridere ma la Confraternita, benché scherzosamente abbia invitato ad astenersi dal partecipare al Premio “se vegetariani, se magri, se tristi” è una cosa seria: tutela, infatti, la storia e la tradizione dell’insaccato veneto.
Il musetto veneto
Merce rara il musetto, quello artigianale. I veri intenditori lo sanno. A volte la sua ricerca si trasforma in una caccia al tesoro. Chi acquista quelli industriali, semplicemente non sta mangiando il vero “musetto”. Che, come dice il nome, viene fatto macinando le carni del muso del suino insieme a cotenna, sale e pepe, il tutto insaccato in un budello naturale. Nel veneziano e nel resto del Veneto, i produttori che utilizzano tecniche artigianali lavorano l’impasto a mano. Gli additivi artificiali sono messi al bando. A fare da conservante ci pensa infatti il sale e per aroma si usa il pepe. La pezzatura di un musetto artigianale si aggira intorno al mezzo chilo.
Tra storia e leggenda: Venezia e la carne di maiale
Partiamo col dire che fu grazie alla carne di maiale se venne costruita la Basilica di San Marco.
Vi ricordate come il corpo di San Marco venne trafugato da Alessandria d’Egitto? La leggenda racconta che Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, marinai veneziani, riuscirono a eludere i controlli e rubare la preziosa reliquia con un abile stratagemma. Lo nascosero infatti sotto un carico di carne di maiale, severamente proibita ai musulmani, e riuscirono a portare il corpo dell’evangelista in laguna.
Ma passiamo alle testimonianze storiche. E’ provato che i primi allevamenti di suini in città risalgono addirittura al V-VI secolo. A scoprirlo, nel 2013, sono stati gli archeologi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia durante una campagna di scavi a Torcello. I ritrovamenti hanno permesso di ricostruire la dieta degli antichi abitanti lagunari, dieta che prevedeva soprattutto carne di maiale alla quale, nei secoli successivi, si aggiunsero quelle di capra, di pecora e bovine.
I Luganegheri
A Venezia nel XIV secolo la lavorazione della carne di maiale era un’attività fiorente, tanto che nacque la corporazione dei Luganegheri. Vi erano radunati salsicciai, lardaroli, pizzicagnoli e anche preparatori e venditori di minestre. La loro sede era nella Chiesa di San Giacomo di Rialto. Pensate che verso la fine del 1600 diventarono talmente influenti che riuscirono a comprare un terreno alle Zattere dove far pascolare i maiali importati (il loro allevamento era proibito in città) e dove potevano lavorare la carne per poi venderla direttamente.
Musetto: morbidezza e succulenza in tavola
Sulle tavole imbandite dei nobili veneziani, quelle descritte nelle commedie del Goldoni ma anche quelle dei quadri del Longhi (uno su tutti il Convitto in casa Nani alla Giudecca), protagoniste erano le carni perché i pesci venivano riservati ai giorni di magro. D’inverno non mancavano tagli succulenti di carne di maiale, mortadelle, luganeghe, ossocollo e verosimilmente anche musetti perché “del maiale non si butta mai via niente”, ora come allora.
Ma sulla tavola dei giorni nostri il musetto viene visto con un occhio di traverso. D’accordo, è una bomba calorica, garantisce valori di colesterolo alle stelle, però volete mettere quella sensazione di poetica grassezza in bocca?
Prepararlo è semplice: si fora il musetto con una forchetta, si copre di acqua fredda e si pone a sobbollire lentamente almeno un paio d’ore. Immaginate adesso la sua entrata trionfale sulla tavola, preceduto da fette abbrustolite di polenta gialla, montagne fumanti di purè o le invernali “verze sofegae”. Ah non dimenticate il tocco finale: qualche cucchiaiata di cren, quella salsa che esplode in bocca e che in caso di raffreddore potrebbe tranquillamente sostituire il Viks.