Gli ebrei a Venezia, tra passato e futuro.
Intervista a Paolo Navarro Dina
“Are you Jewish?”, sei ebreo? Chiedono ai passanti tre ragazzi americani con i caratteristici cappelli neri dalle tese di feltro ai piedi del ponte che porta al Campo del ghetto, cuore della comunità ebraica di Venezia.
Vicino a loro, un banchetto con kippah, il tipico zucchetto indossato dagli uomini e materiale religioso ebraico.
Siamo nel primo ghetto al mondo, nato il 29 marzo 1516 per volere della Serenissima, che destinò agli ebrei un’area in cui potessero vivere la loro comunità.
Non un “ghetto” nel senso di luogo in cui vivono, isolate, delle minoranze etniche o religiose ma un “ghèto” nel significato veneziano dell’epoca: il quartiere in cui si trovavano le fonderie della città.
Ancor oggi tutto, in questo luogo, parla di questa comunità, fondata da ebrei tedeschi che si trasferirono a Venezia nel 1516.
I ristoranti con cibo casherut, i negozi con in vetrina la menorah, il candelabro a sette braccia, persino le scene di vita ebraica riprodotte nelle figurine di vetro realizzate a lume da vendere ai turisti.
O i portali delle sinagoghe con le indicazioni in ebraico, la casa di riposo con vicino il monumento alla Shoah, a quei 246 ebrei deportati tra il 1943 e il ’44 nel campo di concentramento di Auschwitz, dei quali solo otto sopravvissero.
“E’ il ghetto più antico al mondo, e questa è una grande responsabilità che abbiamo e che ci deriva da questa eredità – spiega Paolo Navarro Dina, rappresentante della comunità ebraica veneziana -. Un’eredità che è storia, tradizione, costume, cultura, attività sociali, relazioni con il mondo ebraico. E un rapporto splendido con questa città nel corso del tempo, a parte alcuni momenti oscuri della storia. Il ghetto è il luogo centrale della nostra storia. Ci sono cinque sinagoghe, si svolgono le nostre attività sociali e vive il nostro mondo dove tutto è calibrato. Qui abbiamo i nostri affetti anche se gli ebrei in maggioranza vivono al di là delle mura del ghetto”.
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Attualmente, come vive a Venezia la comunità ebraica?
C’è un ghetto che ha cercato di mantenere una propria vita. Abbiamo una scuola per bambini, dove vanno gli alunni dopo aver frequentato la statale per apprendere il catechismo ebraico. Imparano i rudimenti della lingua ebraica, le preghiere, le feste i giochi, le tradizioni. Qui abbiamo anche la nostra casa di riposo, con al momento tre anziani. Le attività imprenditoriali sono miste: c’è chi ha un’attività di oggettistica ebraica, chi il ristorante o panificio casherut, chi ha locali come se ne vedono tanti per Venezia.
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Che lingua si parla oggi nel ghetto?
Pur essendoci qui la prima presenza di ebrei tedeschi, in ghetto si è sempre parlato un italiano misto a parole veneziane ed ebraiche, una sorta di dialetto, un vernacolo giudaico, ora non più tanto usato.
- E’ una grande comunità quella che vive qui a Venezia?
La Comunità è composta da 450 persone in un territorio che include Venezia, Treviso e Belluno.
Poche le famiglie che vivono nel ghetto di Venezia, anche se tutte le altre ne fanno un punto di riferimento ideale. Qui ci sono le sinagoghe e tutte quelle attività che promuovono l’aggregazione sociale, ne sono il centro, il cuore, l’anima e fanno da collante per tutti.
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Tra i turisti che visitano il ghetto, si nota la presenza di tanti ebrei ortodossi.
Certo. Venezia è uno dei centri dell’ebraismo mondiale. Ha la primogenitura del ghetto più antico del mondo, con alle spalle una storia cinquecentenaria fatta di rapporti con rabbini, filosofi, uomini politici, gente di cultura in generale. La storia stessa della città, le nazioni che hanno costruito le varie sinagoghe, gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi, ecc. han fatto si che questo ghetto sia il punto di riferimento dell’ebraismo mondiale. Al di là del classico turismo religioso degli ebrei che vengono in visita qui come nella città di Venezia, notevole attrattiva, c’è un afflato religioso che li porta a vedere quelle che sono tra le più antiche sinagoghe del mondo. Per questo il ghetto di Venezia è conosciuto da tutte le nazioni, ed è una meta dei gruppi religiosi, delle comitive, così come può essere il ghetto di Praga o la Fonderia … di Toledo.
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Come si vivono invece gli episodi caratterizzati da antisemitismo con atti di ostilità verso lo stato di Israele, sempre più frequenti in Europa?
Ma noi l’abbiamo sempre detto e lo diciamo in continuazione che il concetto di antisemitismo ha subito una recrudescenza che si è sviluppata anche con l’antisionismo. Dal punto di vista squisitamente politico sappiamo che l’antisionismo spesso e volentieri nasconde il più verace antisemitismo. Ne prendiamo atto.
Le comunità ebraiche sono molto attente a quello che succede e cerchiamo di condannare immediatamente tutti questi episodi di intolleranza in maniera decisa quando è necessario, esprimendo la nostra contrarietà, l’amarezza. -
C’è paura di ritrovarsi vittime di episodi di intolleranza o di attentati?
No, non bisogna avere paura. La paura non fa parte della nostra vita. Altrimenti vorrebbe dire che chi ci vuole male ha raggiunto il proprio risultato. Non cediamo al ricatto della paura, perché non abbiamo paura. Semplice.