A Venezia si dice: “ti xe duro come un bacaeà”. E non è proprio un complimento. Significa essere rigidi come uno stoccafisso, ai limiti dell’autolesionismo. Ma è peggio se diventa “ti xe un bacaeà”, che un po’ è sinonimo di “mona”, e si usa per additare una persona poco sveglia, come chi “casca dal pero”.
Modi di dire a parte, in Veneto si usa chiamare baccalà quello che nel resto del mondo si chiama stoccafisso. E questo ha sempre generato qualche confusione, pur parlando sempre e comunque di merluzzo, pesce diffusissimo nei mari del nord che può raggiungere i cinquanta chili di peso ed il metro e mezzo di lunghezza.
Il pesce che è diventato uno dei più tipici piatti veneziani, infatti, è un merluzzo artico di origine norvegese essiccato con aria fredda.
Del merluzzo ancora oggi si dice sia come il maiale: non si butta niente dalla testa alla coda, interiora comprese (lingua, uova, olio di fegato).
Ma è mangiar di magro e per questo appaga, da secoli, spiriti forti e carni deboli. Talmente magro che il merluzzo (gadus morhua), declinato nei secoli in baccalà, essicato sotto sale, o stoccafisso, essicato dal vento gelido del nord, è il cibo quaresimale per eccellenza.
Nutriente, versatile in cucina e pure economico, nei secoli è stato un po’ il pesce della salvezza.
Il principe della cucina frugale da accompagnare con ingredienti altrettanto ordinari e che non a caso a Genova chiamavano ancora fino agli inizi del novecento il branzino dei poveri.
Recentemente, è diventato protagonista di un libro, “Serenissimo Baccalà” (Editecno srl, Biblioteca dei Leoni) scritto da Ermanno Tagliapietra e Michela Dal Borgo e impreziosito dagli interventi di Arrigo Cipriani ed Edoardo Pittalis. La chiave di lettura scelta da Ermanno Tagliapietra, patron dell’omonima azienda fondata a Mestre dal padre Angelo, e Michela Dal Borgo, funzionaria di lungo corso presso l’Archivio di Stato di Venezia, è sicuramente singolare.
Serenissimo baccalà
Racconta la storia dei Tagliapietra di Burano e degli usi e costumi che sulla trasformazione e il consumo del merluzzo si sono imposti nei secoli, dalla battitura dello stoccafisso all’ammollo prolungato in acqua per ammorbidirne le carni e renderle lavorabili. Non è solo la cronaca di una saga familiare importante, giunta alla terza generazione alla guida dell’azienda. Ma è una storia d’amore per quello che il prodotto ha rappresentato e rappresenta a Venezia; è ode alla fatica, quella dei pescatori e dei lavoratori – trasformatori; è poesia, narrazione disincantata, infantile di Ermanno, quel bambino che contemplava meravigliato gli orizzonti lagunari oltre i muretti che delimitavano gli orti di famiglia a Burano.
Lo stesso stupore provata nei numerosi viaggi alle isole Lofoten e che si rinnova ogni volta. La stessa gratitudine reiterata e composta per i battitori a mano, per i molitori che rullavano lo stocco, per i ristoratori, gli osti, le confraternite.
Ma è poi storia di un mestiere incardinato tra le corporazioni. I venditori di “pesci secchi e/o salati facevano infatti parte dell’arte dei salumieri, fino al 1653 unita a quella dei casarolli, i venditori di formaggi. E’ storia di importazioni, di dazi da imporre e contenere, da riformare. Di conflitti tra mercanti (importatori) e salumieri (commercianti). Di controllo sulla sanità e l’igiene pubblica per garantire la qualità dei generi alimentari e il benessere della popolazione. Locali idonei (areazione, scolatoi) e divieto di tenere i baccaladi in acqua e calce, uso in voga all’epoca per renderli più bianchi e pesanti con conseguenti “perniziosissimi effetti alla salute” e illeciti guadagni. Insomma, come ha rammentato Arrigo Cipriani nel suo intervento,”lo stoccafisso è una roba seria”.
Venezia capitale del baccalà
Sono migliaia le ricette che da decenni impreziosiscono le carte della ristorazione europea, soprattutto italiana, attenta alla tradizione e all’innovazione.
I primi a farne uso e commercio furono i vichinghi, gli antichi abitanti della Scandinavia: cibo prezioso per le traversate ma anche divisa riconosciuta da barattare con i popoli dell’Europa del Nord. Ma c’è un punto fermo, riconosciuto dalla storiografia internazionale, che fa di Venezia, la Serenissima, la capitale del baccalà, il vero baricentro della scoperta del merluzzo e della sua diffusione nel mediterraneo e oltre. Fu il nobile veneziano Piero Querini nel 1432, capitano da mar, dopo essere naufragato in acque norvegesi, oltre il circolo polare artico, a scoprire l’abitudine, diffusa nell’arcipelago delle isole Lofoten, di appendere questi pesci mozzati della testa per lasciarli essiccare al sole. E a portarne una piccola quantità a Venezia durante il viaggio di ritorno. Da allora ci vollero decenni per parlare di consumo di massa. Allo storico Alberto Tenenti dobbiamo la scoperta, all’Archivio di Stato di Venezia, del mercante fiammingo Marco Manart, quale primo importatore privilegiato dei bacaladi a Venezia. Correva l’anno 1596. E a Bartolomeo Scappi, cuoco tra gli altri di Pio V, la consacrazione nei suoi scritti del pesce e della sua preparazione.
Il Festival del baccalà
Entrato nel linguaggio comune, nelle cucine di ogni casa e in ogni ristorante, il baccalà è protagonista anche dell’oramai decennale Festival triveneto del Baccalà, competizione itinerante, organizzata dalla Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato, la Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina e dalla Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati.
Vi partecipano gli chef delle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, proponendo le ricette più creative e innovative a base di stoccafisso.
L’azienda Tagliapietra di Mestre (VE), tra le leader in Italia nell’importazione, lavorazione e commercio di prodotti ittici ed in particolare del merluzzo, assegna così alla migliore ricetta il Trofeo Tagliapietra: un premio che quest’anno sarà consegnato in occasione del galà finale, in programma per sabato 16 maggio 2020, e che rimarrà nelle mani dello chef autore del miglior piatto per un anno intero.
Le ricette
Le ricette tradizionali, in Veneto, restano comunque il mantecato, alla vicentina o “conso” (condito).
Riportiamo, sempre dal libro, quella del baccalà mantecato alla veneziana secondo la Dogale Confraternita del Baccalà mantecato Veneziano.
Ingredienti (4 persone): 300 gr di baccalà (stoccafisso) già bagnato e diliscato polpa e pelle; 3 dec di olio vergine di oliva poco profumato; 1 spicchio d’aglio, alloro, lomone, sale e pepe
Preparazione: mettete il baccalà in una pentola copritelo con acqua fredda e leggermente salata e portare in ebollizione. Cuocete per 20 minuti con aglio, una fettina di limone, una foglia di alloro. Mantecate la polpa del pesce una volta tolti aglio, limone e alloro, con un cucchiaio di legno o con una planetaria versando a filo l’olio come per fare una maionese alternando anche un po’ di liquido di cottura per renderlo più cremoso. La misura dell’olio può dipendere dalla qualità del pesce usato. Portarlo a fine mantecatura con ancora qualche pezzo intero. Aggiustate di pepe e sale. Si accompagna con polenta fresca “bianco perla”.