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La notte dell'epifania a Venezia arriva la Marantega barola

La notte dell'epifania a Venezia arriva la Marantega barola

di Alberto Toso Fei

Ai tempi della Serenissima il tempo tra il Natale e l’Epifania non segnava il passaggio nel nuovo anno, che avveniva invece il primo marzo.
Nei territori dello Stato Veneto infatti il computo del calendario avveniva “More Veneto”, ovvero “secondo l’uso dei Veneti”, e la date venivano segnate appunto con le iniziali “MV”. E se in Italia, per tradizione, la notte dell’Epifania a portare i doni ai bambini è la Befana, una vecchia che – a cavalcioni di una scopa, come le streghe – scende dai camini a riempire le calze dei bambini che si sono comportati bene, lasciando cenere e carbone in quelle dei più discoli, a Venezia la vecchia viene chiamata Marantega (nome che deriverebbe dal latino Mater Antiqua, corrotto nel dialettale Mare Antiga, che si affibbia ancora oggi a qualche anziana burbera e magari non proprio curata d’aspetto).


Erano anni duri: la minaccia per i bambini cattivi era anche quella di pigliare qualche bastonata dalla vecchia, assieme allo spiacevole carico nella calza.
Per questo i più piccoli, subito dopo averle lasciato una tazza di caffelatte con del pane e aver messo la calza sotto il camino (quando ancora ve n’era uno in ogni casa, anche le più povere), prima di andare a letto le cantavano questa filastrocca:

Marantega barola / T’ho parecià la tola Adesso vago in leto / Xe un ano che te speto / Go meso qua la calzeta mia / Impenissimela de robe bone /

E po scampa via”.

 

L’epifania ai tempi della Serenissima

Ai tempi della Repubblica, il giorno dell’Epifania il doge assisteva alla messa solenne a San Marco, mentre una folla di bambini festosi aspettava con impazienza fuori della chiesa il termine della funzione.
Alla fine, tra le risa dei patrizi, lo sciame” di ragazzini andava a San Zaccaria, dove venivano aperte le porte del convento e le monache distribuivano piccoli marzapani, panetti zuccherati, ciambelle e scalette.

Sulla torre dell’orologio uscivano ad ogni ora i tre Re Magi preceduti dall’angelo a riverire la Madonna, e sulla Piazzetta c’erano nel pomeriggio i teatrini di marionette che rappresentavano “el gran viazo dei Maghi” e la “Marantega” col coro cantato a piena gola dai piccoli spettatori:

Vecia Marantega / bruta scarpìa / Se no ti porti / scampa pur via”.

 

La marantega e gli animali parlanti

Sempre a proposito dell’Epifania, per antica tradizione si dice che gli animali, nel corso della notte, abbiano la possibilità di parlare, e su questo fatto circola un’antica storiella, per dissuadere i curiosi…
C’era una volta un contadino che possedeva una stalla piena di bestie, e non aveva mai voluto credere al fatto che gli animali, la notte dell’Epifania, si mettessero a parlare. Arrivata che fu la notte fatidica si nascose nella stalla, senza che nessuno lo vedesse, per constatare di persona se questa storia fosse vera o meno.

Arrivata la mezzanotte uno dei buoi si mise a raspare per terra, in maniera talmente insistente che un altro bue alla fine gli chiese: “Si può sapere cosa stai facendo, con tutto questo raspare per terra?”.
Al che il primo rispose: “Faccio una buca per seppellirci il mio padrone”.


Immaginatevi il contadino! Prese tanta di quella paura che i suoi inservienti, il mattino successivo, lo trovarono lungo disteso nella stalla. Si avverò così quel che aveva detto il bue: l’uomo morì perché aveva voluto conoscere i segreti di Dio.

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