Il 26 agosto 1898, a New York, nasceva Marguerite Guggenheim, detta Peggy.
La più grande mecenate di arte contemporanea del ‘900.
Dal 1949 ha vissuto a Venezia, scegliendo la città lagunare e l’Italia come propria patria.
Peggy Guggenheim ha lasciato il segno. E’ mancata a Camposanpiero il 23 dicembre 1979. E da allora, non c’è figura che abbia saputo sostituire l'”ultima dogaressa”.
Il trentennio veneziano
L’eccentrica mecenate americana ha avuto infatti il merito di aver visto “prima” di tanti altri quella che era la potenzialità di artisti emergenti del suo secolo e di farla conoscere al mondo.
Collezionista, curatrice di mostre, pigmalione di razza, discussa e chiacchierata.
Sfrontata a tal punto che, alla fine della sua vita, rivela le numerose relazioni amorose tra e dopo un paio di mariti (Laurence Vail e Max Ernst) nel libro autobiografico “Una vita per l’arte” e nel docu-film uscito qualche anno fa “Arte addicted”.
“All’epoca il sesso e l’arte erano indivisibili nelle nostre menti. Non amo guardare al passato, non ne ho nostalgia, ci tornerei solo per avere più amanti” racconta di sé stessa. “La vecchiaia è la cosa più terribile che possa capitare, ma ho ottenuto quello che volevo, è stato un successo e ne sono fiera. Però, lasciatemelo dire, un tempo tutto era più divertente”.
Le feste di Peggy. Porte aperte per i veneziani
Sì, divertente, perché Peggy era sempre al centro dell’attenzione, a capo di quel vortice di incontri ed eventi che la vedeva regina, anzi, dogaressa, nella sua casa veneziana, Palazzo Venier dei Leoni tra l’Accademia e La Salute, sempre illuminato la notte, da dove provenivano musiche e canti.
Perché lì si ritrovavano i maggiori artisti, gli intellettuali e le celebrità del tempo, tutti, o quasi, generosamente a suo carico.
Tennessee Williams, Jean Cocteau, Truman Capote, Marlon Brando, Igor Stravinskiy solo a menzionare coloro che firmarono i suoi libri per gli ospiti.
A Venezia la conoscevano tutti. Anche perché aveva aperto sin dal suo arrivo le porte della sua casa museo ai veneziani, che potevano visitarla tre volte alla settimana.
Peggy: un personaggio eccentrico
Riconoscibile dai suoi eccentrici cappelli e occhiali a farfalla, girava spesso in gondola o si aggirava tra le calli con i suoi amatissimi cagnetti terrier Lasha Apsos che qualche vecchio gondoliere ancora ricorda di averle chiuso per scherzo in uno sgabuzzino di un bar provocando la sua disperazione.
Aveva deciso di vivere a Venezia, perché “Venire qui, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro”.
Fino alla morte, a 81 anni. Le sue ceneri riposano accanto a quelle dei suoi quattordici cagnolini nel giardino di Palazzo Venier.
La mecenate che ha fatto conoscere i maggiori artisti al mondo
I trent’anni veneziani sono importantissimi per la storia dell’arte contemporanea del XX secolo. Iniziano con la Biennale d’Arte di Venezia del 1948, dove Peggy è invitata anche grazie al pittore veneziano Giuseppe Santomaso. Presenta una mostra, allestita nel Padiglione greco grazie all’architetto Carlo Scarpa, dove fa conoscere all’ambiente artistico italiano, che si sta affrancando dal Ventennio, opere che appartengono al Futurismo, al Cubismo, al Surrealismo, all’Astratto e all‘Espressionismo Astratto.
E’ il debutto di Jackson Pollock, di cui poi organizzerà nel 1950 una mostra nell’Ala napoleonica del Museo Correr. La mostra “Peggy Guggenheim.
L’ultima dogaressa” inizia proprio con delle opere di Pollock e altri espressionisti astratti americani. Nelle sale fanno seguito delle sculture di Jean Arp ( Testa e conchiglia ), Alberto Giacometti (Piazza) e Costantin Brancusi ( Uccello nello spazio ) che assieme alla Scultura equestre di Marino Marini, visibile dalla porta d’acqua del museo, sono state le protagoniste della prima esposizione che Peggy organizzò nel 1949 qualche mese dopo aver acquistato Palazzo Venier.
Peggy tra Vedova, Moore, Magritte, Kandinsky, Mirò e Picasso
Poi ci sono gli Italiani. Appena arrivata a Venezia, Peggy inizia a frequentare Santomaso e Emilio Vedova (in mostra con Sbarramenti ), che intuisce essere uno dei massimi rappresentati dell’avanguardia europea. Conosce e sostiene lo spazialista Tancredi Parmeggiani ( Composizione ) e Edmondo Bacci ( Avvenimento #247 ). Colleziona le astrazioni poetiche di Kenzo Okada ( Sopra il bianco ), la percezione geometrica di Piero Dorazio ( Unitas ) e il monumentale dipinto di Grace Hartigan, unica donna tra gli espressionisti astratti. Si rivolge negli anni ’50 e ’60 all’Arte britannica e acquista diverse opere di Henry Moore, Francis Bacon ( Lo studio per scimpanzè ) e Alan Davie ( Il tamburino d’oro ).
Si interessa alla produzione del gruppo CoBrA (dalle iniziali delle città di provenienza degli artisti Copenhagen, Bruxelles e Amsterdam) e a quella dell’Arte Optica e Cinetica. In esposizione anche il celeberrimo surrealista Impero della luce di René Magritte, acquistato nel 1954, dove un paesaggio notturno è inserito nella luce del giorno. Nel corpo principale del Palazzo sono invece esposte le opere che la collezionista ha acquistato dal 1938, quando a Londra apre la prima galleria “Guggenheim Jeune” fino al 1947, quando chiude la galleria museo “Art of this Century” di New York. Il percorso include fra le altre opere di Giacometti, Ernst, Kandinsky, Mondrian, Picasso, Dalì, Mirò, con tanto di riproduzione tattile in rilievo per i non vedenti. Esposta eccezionalmente la grande opera Scatola in una valigia di Marcel Duchamp, da poco restaurata, quella volta realizzata appositamente per Peggy con assemblati svariati materiali quali pelle, ceramica, carta, vetro, legno, ottone, ferro e acetato.
Grazie Peggy