Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci, frequenti, nel dire che il suo cognome ha in comune con il famoso Roiter (Fulvio) solo una lontana parentela dovuta al fatto che entrambi in nonni erano cugini. “Ho dovuto aggiungere anche il cognome di mia madre per evitare fraintendimenti” spiega Riccardo Roiter Rigoni, fotografo e scrittore, conosciuto soprattutto per le sue foto innamorate di Venezia che generosamente posta in rete e hanno generato dei libri.
Sono scatti del ruggente mare d’inverno sui litorali veneti, sono le spettacolari immagini aeree che scatta dagli elicotteri che si alzano in volo dall’aeroporto Nicelli del Lido verso il centro storico e le isole, che riprese dall’alto sembrano punteggiare una invisibile ragnatela sull’acqua che tutto unisce; sono i murazzi di Pellestrina, un esile nastro teso tra mare e laguna; sono i ghebi tra le barene, labirinti che affiorano durante le maree.
E ora anche il famoso ponte di barche che, come 69 anni fa, dal 31 ottobre al 10 novembre scorsi ha unito, in occasione delle festività dei defunti, Venezia dalle Fondamenta Nove all’isola di San Michele, dove si trova il cimitero. “Con Silvia Rigon della Fly Venice parlavamo di quelle foto del ponte di 70 anni fa, riprese da terra – spiega Roiter Rigoni – Così ci siamo chiesti perché non riprenderlo dall’alto. E così siamo partiti a bordo del Robinson 44, un volo di 6-7 minuti, il tempo di girare attorno l’isola di San Michele. Anche perché, come mi diceva il professor Giorgio Pecorai (decano e memoria storica del Lido scomparso nel 2009, ndr) “Ricordati che ogni foto di attualità un domani sarà una foto d’epoca“. Ecco, queste foto potranno essere “memoria” di un momento che mancava dal 1950”.
Anche se l’intento è quello semplicemente di documentare un fatto, il fotografo volante non si limita a scattare. Le sue foto sono sempre accompagnate da pensieri, riflessioni profonde che colpiscono sempre il lettore. “Il ponte può piacere oppure no ma secondo me è stato affascinante vedere questa passerella di barche che, come una cerniera, collega due mondi: quello dei vivi e quello dei morti. Uno spazio fisico, temporale e spirituale dove si instaura un canale di comunicazione diverso. Una di quelle esperienze che, secondo me, ti capitano nella vita per permetterti di guardare l’infinito in un modo completamente diverso, anche se per poco. Tempo sufficiente però per esserci arrivati vicini”.
“La fotografia è dialogo”
Riccardo vive al Lido. Il pallino per l’arte dello scatto ha una data precisa, il 1 dicembre 2001.
La sera prima, un pensiero, la voglia insopprimibile di fissare l’alba, dalla diga degli Alberoni. “Ho chiesto a mio padre se poteva prestarmi la macchina fotografica. Erano ancora gli anni della pellicola. In macchina c’era un rullino da 24 con ancora 12 scatti da fare. Quella mattina sono andato in diga. Ma il cielo era tutto coperto e sono riuscito a cogliere il sole mentre stava sorgendo, poi appena sbucato in uno spiraglio tra le nuvole e ancora mentre ne veniva inghiottito, prima che iniziasse a piovere. Le ho sviluppate e mi hanno dato una certa sensazione. Un’amica, alla quale le avevo fatte vedere, aveva espresso una serie di emozioni diverse dalle mie. Ma intanto avevo capito che la fotografia era una forma di dialogo che poteva nascere, con cui si poteva fare da tramite. E poi avevo capito che se cerchi il sole, lo trovi. Tutto è partito da lì”.
Una foto al giorno per non farsi ingabbiare dalla routine
La spinta a continuare, ad avere costanza e familiarità con l’obiettivo, riceve inaspettatamente linfa dalla routine quotidiana. “Ho iniziato a lavorare molto presto, subito dopo le superiori, e ho avuto un momento di crisi. Perché da un lato sono stato fortunato ad aver trovato un lavoro. Però mi chiedevo “Ma la mia vita sarà solo questa?” Lavoro dal lunedì al venerdì, anche il sabato certe volte, il weekend e poi si riparte. Mi pareva di essere il criceto che gira dentro la ruota. E allora mi sono imposto di fare una foto al giorno per cercare di uscire dalla paura che tutti i giorni fossero uguali. Nel tempo libero, in pausa pranzo o dopo il lavoro, cercavo di cogliere qualcosa del mio cammino di vita, per non finire intrappolato nella routine”.
Venezia nelle immagini, Venezia nei libri
Riccardo scatta foto su foto, che piacciono agli amici, le spedisce loro via mail periodicamente, si fa conoscere nel suo piccolo, nella sua isola. Fino a quando comincia a collaborare con il Granviale Magazine del Lido. Una sera del 2007 l’editore Giacomo Baresi gli chiede “Sai, vorremmo proporre un nostro libro fotografico e abbiamo pensato di farlo con le tue foto”. Nasce così il suo primo lavoro “Venezia sensation”, una serie di immagini suggestive del capoluogo lagunare. Di seguito, l’incontro con Stefano Soffiato di Venessia.com, un’ agorà virtuale che raccoglie tutte le voci dei cittadini veneziani. Riccardo spedisce un pacchetto di foto ogni tanto, Soffiato ne pubblica una al giorno sui social . Nel 2012, Don Roberto Donadoni della Marcianum Press, vuole avere in catalogo un libro fotografico, e nasce così “Venezia, momenti senza tempo” con la prefazione del cardinale Angelo Scola. Nel 2016 arriva anche il terzo lavoro, “Il mare d’inverno esiste davvero” (Duck edizioni). E in cantiere, c’è già il quarto, un libro di fotografie aeree.
Riccardo Roiter, un fotografo volante
A volare inizia nel 2013. Al Lido c’è l’aeroporto Nicelli e Riccardo, con gli amici piloti, il primo dicembre porta in cielo una maschera da fotografare, la dea nordica della luce Brigit. Nascono gli scatti “Messaggi di luce”. Ma il fotografo volante ricorda molto volentieri quella foto, scelta tra migliaia nel 2015, per la copertina del libro “Marco Patriarca amato da tutti. I 35 anni a Venezia del cardinale Cè”. “Ero alla Curia per una manifestazione e il patriarca si era fermato a parlare con una persona – racconta sempre Riccardo – M’ha fatto un bellissimo sorriso e in quel momento ho fatto click! Ho avuto fortuna”. E’ poi un susseguirsi di collaborazioni. Nel 2018 un prestigioso Folder di Poste Italiane con le più belle foto su Venezia, l’immagine del manifesto della Vogalonga, gli scatti per il “Gioco dell’oca a Venezia”, patrocinato dalla Regione, per l’autrice Debora Basei. Nel 2019 la copertina del catalogo e il manifesto della mostra alla Bevilacqua la Masa “Cinquant’anni di luna nuova” con l’immagine “Moonwalkers”, delle persone che camminano in riva alle Zattere e si rispecchiano in una pozzanghera su cui è riflesso il globo argenteo.
Venezia nelle parole
E poi c’è la scrittura. Che coltiva forse più della fotografia. “Come la luna alle porte dell’alba” è titolo del romanzo edito nel luglio di quest’anno.
Un progetto che l’ha tormentato per diverso tempo, una storia che si svolge tra Lecco, il Lido della Mostra del Cinema e dell’Ospedale al Mare.
“Nel libro il protagonista è colui che lo legge. Perché Sandro, l’interprete che racconta, non viene mai descritto e non si descrive mai” spiega Riccardo. Il merito di Roiter Rigoni è quello di possedere la chiave che apre la porta, nella maniera più naturale, ai sentimenti, alle sensazioni, alle emozioni che scaturiscono dalle riflessioni di Sandro. Riesce ad abradere la scorza del lettore più duro, lo costringe a fare i conti con sé stesso mentre la storia si dipana e le situazioni di Sandro si sovrappongono alle proprie esperienze di vita. E poi c’è il tema, caro a Riccardo, del destino dell’ex Ospedale al Mare, dove fu l’ultimo nato degli anni ’70, il 31 dicembre 1979. Il nosocomio, eccellenza della sanità italiana, è visto anche come condizione umana.
“Tanti sono i temi trattati – riprende Roiter Rigoni – Ci sono il ricordo, la rivalutazione, la ristrutturazione, cosa farne dell’Ospedale. Spero soltanto che ne venga conservata la memoria e che non venga stravolto. Perché è un luogo, un terreno sacro. Lì le morti, le nascite, le sofferenze emanano energie che si sentono ancora. Bisogna avere il massimo rispetto delle strutture dell’ospedale. Che sono degli scrigni, perché se i muri parlassero, racconterebbero tantissime storie. E poi c’è la luna, che è la metafora del viaggio di chi si ritrova sulla terra ma da un’altra dimensione. Come chi può aver subito un incidente, chi ha una malattia degenerativa o una malattia che si è risolta e ritorna alla vita che però non è più la stessa. Perché bisogna ricalcolare tutto, riconsiderare ogni cosa perché non si è più quelli di prima”. Ne deriva e si affronta anche il sacro. Dice Riccardo con schiettezza. “Adesso la Fede è sempre più relegata a cosa “privata”, da manifestare sottovoce per non “disturbare” chi ha altre sensibilità. Non ci si appella più a Dio perché si crede di aver il controllo su tutto, anche quando i limiti umani emergono in modo evidente”. Non può essere che così: per il fotografo volante, lassù, più in alto, tutto è più chiaro.
Ho iniziato ad ammirare le foto, poi a leggere un libro…. è sempre un piacere. Per arrivare a tanto devi essere un tutt’uno con Venezia, vedere più che con gli occhi, con il cuore, percepire odori, suoni, anche le più piccole fumature. Esperienza si, ma tanta sensibilità. Sono convinto che questo tuo “lavoro” possa aiutare a rivalutare una Venezia che pochi, sopratutto turisti sanno apprezzare.
Attraverso i tuoi scatti caro Riccardo…mi tuffo in una straordinaria galassia di emozioni…la mia Venezia…vista, rivista e fotografata…ma il tuo sguardo è andato oltre…grazie per queste splendide immagini che ci regali! Mi presento, sono Katia Gastaldello appassionata di fotografia…
Mi chiedo come un professionista così giovane possa avere uno sguardo e un’anima così grande e matura …. ogni immagine, ogni racconto sono un viaggio senza fine… Grazie!!!