Sei in barca, in mezzo al mare e devi catturare una balena. Hai con te una macchina fotografica, un binocolo e un cucchiaino. Come fai?
La domanda potrò sembrare a molti impossibile, oppure portare solo a riderci sopra, ma per Giuseppe Baù (“Beppi” per tutti, “Ragionier Baù” paradossalmente per gli amici, ma a lui va bene così e quindi nulla da aggiungere…) è stato, forse, il primo passo verso una passione.
Quella per il gioco in tutte le sue forme, che lo porta ancora adesso, alla tenera e tonda età di 70 anni, a cercare il “divertimento intelligente” non solo giocando ma anche creando giochi (già tre prodotti, più nel cassetto quello che considera il suo capolavoro) e addirittura – fatto più unico che raro – diventando una carta da gioco lui stesso, con l’onore della pubblicazione de “Il Bau” e della sua caricatura in un gioco della ditta Venice Connection alcuni anni fa, un quartetto della serie “Adventure Cards”.
Una carta per Bau’
“Il quartetto è un classicissimo gioco di carte – spiega Baù – Lo scopo è quello di ricomporre i “poker”, ovvero i gruppi di quattro carte dello stesso valore o colore. Io, o per lo meno la mia versione disegnata, sono parte di una di queste composizioni, nella variante “Heroes” del gioco. Che poi qualcuno ancora si ricordi di come sia finito in una carta dei quartetti questo è in realtà il vero mistero”. Sulla storia della balena, invece, poco da aggiungere: “Naturalmente io non riuscii all’epoca a risolverla, avevo forse sette o otto anni, ma lì non mi sono fermato e non ho certo intenzione di invecchiare senza far altro. Magari domani inventerò un nuovo modo di cacciare le balene”.
Non ci stupirebbe, con un personaggio qual è di fatto Baù.
Il gioco come amore o avventura
Fisico imponente, capelli per anni portati con una lunga coda, orecchino con (ovviamente) un dado e una personalità forte, debordante, con un carattere che sembra a prima vista difficile e che nulla perdona, ma che si sa fare in quattro per quelli che considera veri amici e compagni da sempre di gioco, Baù ama ogni tipo di gioco.
Dai giochi di ruolo a quelli da casinò, dall’enigmistica ai videogiochi, dai classici del tavoliere ai nuovi giochi in scatola, per arrivare fino alla conta virtuale progressiva dei numeri di targa visti per le strade .
“Sono due le strade per approcciarsi al mondo del gioco- spiega Baù – La prima è una questione d’amore, con nulla da dimostrare se non la nostra capacità di stare con gli altri, di saper interagire e rispettare tutti: strada piena di fascino e sentimenti. L’altra strada, invece, è quella dell’avventura, del mistero: girare per Puerto Rico o Catan (nomi di due famosi giochi di società, N.d.A.), costruire strade e commerciare merci, guadagnare miliardi e sentirsi Zio Paperone: una prova prima con sé stessi e poi con gli avversari”.
Prove che Baù ha superato egregiamente, arrivando a vincere il primo titolo italiano di Giocatore dell’Anno, per poi diventare apprezzato consulente sulla qualità dei prodotti (i suoi trancianti giudizi negativi restano esemplari).
Il gioco fa parte di Venezia
Veneziano, Baù pensa che il gioco sia connaturato alla città.
“Qui il gioco galleggia nei canali da sempre – dice – anche se Casanova preferiva i tetti per scappare. La mia esperienza con i “ragazzi” delle ditte Venice Connection e Studiogiochi è stata fondamentale”. Dario De Toffoli, Leo Colovini e Dario Zaccariotto sono stati suoi compagni di avventura; Alex Randolph, il primo al mondo ad aver ottenuto dalle case editrici che il nome dell’autore fosse apposto sulla copertina del gioco, è considerato un “maestro”. Grazie alla collaborazione con “i veneziani” sono nati anche i giochi scritti da Baù e distribuiti nella “madre patria” del gioco di società: la Germania.
Tra questi De Gouden Eeuw, gioco di sviluppo, trasporti, conquiste e cultura fra le varie province dei Paesi Bassi nel 17° secolo e le nuove ricche colonie e Poker Carré, dove le carte si calano e si piazzano sul tavolo con un meccanismo simile a quello del domino, ma nelle file e nelle colonne per vincere si devono formare le combinazioni del Poker.
Dal gioco al collezionismo
Oggi Beppi Baù non vive più a Venezia. Si è trasferito a Spinea. Continua però a produrre idee nel suo nuovo “regno”, circondato da un magazzino con una delle più ampie collezioni di giochi che un privato abbia (oltre a coppe, targhe, trofei e settimane enigmistiche quasi del tutto risolte), una moglie, Cinzia, che – a sua volta “contagiata” – si è laureata con una tesi sul gioco (e una ovvia dedica al marito) e un gatto che si limita a protestare per le invasioni del suo spazio vitale.
Nel tempo è nata in lui anche una seconda meravigliosa mania di collezione, quella dei Puffi, numerosissimi e in costante aumento.
“E’ normale che dal gioco “giocato” si passi alla collezione, alla ricerca del “gioco perfetto” – che non esiste – e alla conseguente voglia non facile di crearlo. Il mio segreto è che in realtà il gioco perfetto ce l’ho nel cassetto e un giorno forse lo tirerò fuori. Magari scoprirò che perfetto non era, magari nemmeno piacerà, ma almeno io ci ho provato”. Per ora, però, non esiste verso di farglielo scoprire: resta (e forse resterà) un mistero degno della biblioteca di Babele.
E a proposito di provarci: torniamo per un attimo alla balena che ha introdotto la storia. Avete trovato una soluzione? Io forse sì, e la propongo a Baù, che, con la sua solita mezza risata, dice: “Fuochino” e poco altro. Volete sapere quale è la risposta? Come nelle migliori riviste di enigmistica, la soluzione nel prossimo numero.