Maurizio Mauro non ha saltato una Vogalonga. Dal 1975 a oggi, puntualmente, si è presentato a ogni singola edizione.
Emozioni diverse ogni anno, ma un immutato amore per il remo, per Venezia e per le sue tradizioni. E Maurizio, che a novembre compirà 69 anni, c’è anche quest’anno. Quelli come lui, li hanno ribattezzati “Cavalieri della voga”. Erano 28 dieci anni fa, quando gli organizzatori hanno voluto consegnare loro un ringraziamento speciale. Oggi sono rimasti una ventina. Ma non mollano. Hanno ancora tanto da dare. E hanno tanto da raccontare.
Maurizio Mauro lo ha fatto per Metropolitano.it, donandoci questo suo ricordo di un’avventura lunga 45 anni.
Le mie Vogalonga: il ricordo di Maurizio Mauro
La Vogalonga è come una donna per un uomo e forse viceversa: la prima forse non è la migliore in assoluto, ma le emozioni che hai provato la rendono indimenticabile e, scavando sotto sotto, la più amata. Emozioni date dalla sensazione di aver raggiunto una grande impresa, l’iniziale senso di incertezza e di inadeguatezza su te stesso, l’impegno profuso prima durante e dopo la conquista, la dolcezza che ti pervade poi.
Verso la prima volta
Fin da quando, nel 1975, era uscita la notizia che in primavera si sarebbe realizzata questa impegnativa vogata non competitiva per riaffermare i valori della più spontanea e autentica venezianità, tra gli amici, tra tutti coloro che a Venezia avevano preso in mano un remo serpeggiava il desiderio di parteciparvi.
Certo una bella impresa senza eguali, più di 30 Km da percorrere. Mio cognato, che alla fine del percorso avrebbe riportato le “stimmate” dell’impresa era tra i più convinti a partecipare. Io e Roberto, mio compagno di numerose edizioni, eravamo riusciti a farci prestare da Armando Dal Gesso, noto ex regatante e al momento “squerarol” a tempo perso, una barca frutto dei diversi rimaneggiamenti di una vecchia battella di cui negli anni era rimasta poco più della prua. Nonostante fosse squerarol, Armando non riteneva conveniente lavorarci ancora. E pertanto ci si accontentava che galleggiasse e che potesse essere vogata alla veneta, condizione essenziale per partecipare a quella prima edizione della Vogalonga.
Dalle tavole consunte si intravedeva che un tempo l’imbarcazione doveva essere dipinta di verde scuro. Le altre barche non erano da meno. L’avvento dei barchini a motore aveva praticamente quasi estinto la flotta di barche a remi dei privati. Era ben difficile veder partecipare agili barchette come si vedono oggi. Allora bisognava rivolgersi a coloro che ancora avevano qualche imbarcazione da lavoro, oppure a qualche “fittabatele” dei pochi ancora rimasti, che affittavano residuati con remi a cui mancavano solo le foglie per essere scambiati per rami d’albero.
Una gara tra amici
Ciò nonostante, tutti si sono impegnati per poter partecipare nel migliore dei modi a questa vogata non competitiva. Che tanto non competitiva alla fine non era. Salvo alcuni abilissimi vogatori, che affrontavano allenati il percorso con velocissime “venete” e lo percorrevano in meno di due ore, gli altri sapevano bene che l’impresa sarebbe stata più ardua.
Ciò nonostante era importante comunque arrivare una barca prima dei propri amici, per poter esercitare l’antica arte veneziana dello “sfottò” e non subirla. Allora si ricorreva ai trucchi più raffinati. Già diversi giorni prima si elemosinava dai vari “luganegheri” lo strutto per poi stenderlo alla vigilia caldo sul fondo della barca dietro la sapiente guida di Armando, che tante volte lo aveva fatto per le sue regate. Come oggi molti si illudono di diventare campioni di sci adoperando la sciolina adeguata, anche noi ci illudevamo che le nostre performances si sarebbero ingigantite con queste soluzioni tecniche.
Ma le battelle pesanti rimanevano pesanti e l’unico olio buono era l’olio di gomito.
La prima Vogalonga
La mattina della domenica però eravamo tutti là in bacino di S.Marco.
Poche barche agili, ma tante vecchie imbarcazioni: caorline da carico, batelle per portare “rovinassi”, sandoloni. La pesante caorlina da carico dei frati cappuccini del Redentore, che vogavano rigorosamente in saio francescano. Perfino alcune peate, tra cui spiccava quella dei portuali, enorme, spinta da un numero imprecisato di nerboruti portuali il cui bicipite sfiorava a volte la circonferenza della coscia di altri più modesti regatanti.
Il momento della partenza è sempre il più emozionante. La prima volta di più. Il bacino S.Marco, fino a quel momento liscio per il divieto di transito imposto alle barche a motore, in un solo momento, allo scoppio del cannone, si increspava come percorso da mille motoscafi.
La massa di barche si muoveva all’unisono, spinta dai vogatori che sembravano illudersi di essere alla cavata di una vera e propria regata, con distanze limitate, e non alle prime vogate di un percorso ben più lungo. Già alla girata di Sant’Elena quasi tutti venivano già a più miti consigli, rallentando il ritmo a una cadenza molto più adeguata. Poi man mano avanti, a godere della Laguna, a imprecare con qualcuno che, meno esperto, perdendo la vogata si metteva di traverso. A prendere in giro gli amici come Franco, altro “Cavaliere della Vogalonga”. Che ha avuto la disavventura di cadere una sola volta in acqua dalla poppa della sua imbarcazione. Però sfortunatamente quando passavo io; e, da quella volta, è stato ovviamente vittima del mio dileggio. E poi a scambiarsi il vino con gli amici della vogata, conosciuti e sconosciuti, fino a Mazzorbo, dove i generosi buranelli avevano preparato frittura di pesce per tutti.
L’arrivo in centro storico
Ma la parte più emozionante era ed è l’entrata trionfale nel canale di Cannaregio, tra due ali di folla che assiepavano ed assiepano tuttora le rive. I richiami degli amici, gli innumerevoli alzaremi in loro onore, i richiami e i commenti di conosciuti e sconosciuti. Questa è la fase della Vogalonga in cui si percepisce il passare del tempo. Non solo per la composizione della folla, più o meno composta da veneziani o da turisti, ma per il tenore dei commenti e dei richiami. Da quelli più lusinghieri delle ragazzine sul nostro fisico atletico dei 25 anni della prima edizione, al “viva i barboni” delle signore. Che alludevano alle barbe incolte di Roberto, Stefano e mio fratello Antonio, che sottolineava il suo ruolo con una ricchissima e fluente barba. Man mano gli anni passano e allora le signore, sempre ridenti, evidenziavano il progressivo appesantimento fisico con “viva la barca dei panzoni”. Tutto comunque con garbo , allegria,piacere di essere li felici e insieme a conosciuti e sconosciuti.
45 anni, uno diverso dall’altro
Nel corso di questi 45 anni ci sono state regate e regate. Non è mancato il brivido (in un’edizione c’è stato un fortunale con vento e pioggia a dirotto e rovesciamento di numerose imbarcazioni). E nemmeno il buon palato. Per due edizioni ho partecipato all’organizzazione dell’ARCI dedicata al buon vino, alla riscoperta delle migliori tradizioni culinarie italiane e allo slow food puntando a realizzare totalmente i principi di non competitività della Vogalonga. Obiettivo: arrivare rigorosamente ultimi dopo aver degustato durante tutto il percorso i migliori prodotti della nostra Laguna. La Vogalonga, dicevo, è come una donna: se la si vuole vivere pienamente è necessario rinnovarsi. Ma emozionarsi con l’ultima come con la prima: emozione diversa, ma pari alla prima per intensità, fantasia, piacere, amore.
Bello e sentito dall’intimo.