In equilibrio tra la terra emersa e l’acqua, nella Laguna di Venezia c’è un ambiente unico nel suo genere, in cui il fascino di una lussureggiante biodiversità fa il paio con un bagaglio inestimabile di antichi saperi: le valli da pesca.
Fazzoletti di terra più o meno grandi delimitati da arginature, presentano un aspetto selvaggio sebbene forgiato dalla presenza dell’uomo, che proprio nel rispetto e nel mantenimento delle caratteristiche naturali originarie vi pratica la caccia e la pesca.
La prima, più per diletto. L’altra, secondo competenze e consuetudini tipiche dell’allevamento estensivo del pesce, che qui prende il nome di vallicoltura.
Attività dalle radici vecchie di secoli, affidate alle mani esperte del capovalle, che opera per conto dei proprietari di un tale patrimonio così delicato e fragile, così affascinante.
Una tela complessa, in cui le fila dello zigzagare tra i fondali di orate, branzini e cefali si intreccia alle traiettorie descritte nel cielo dai fenicotteri o dai coloratissimi gruccioni.
«Quello delle valli da pesca – racconta il veneziano Davide Prevedello, appassionato conoscitore delle valli da pesca, consulente finanziario impegnato nel tempo libero a tramandare i segreti della Laguna – è un mondo che ci riporta indietro nella storia a recuperare la vita rurale nella Laguna di Venezia».
Un passato remoto, abitato da popolazioni locali alle quali non era di certo sfuggito il comportamento dei pesci al cambiare delle stagioni e che, a furia di ingegnarsi, negli anni hanno trovato un modo per farli crescere nei bacini e nei canali delle valli, per pescarli una volta raggiunta la giusta taglia e poi venderli al mercato.
Nati nel mare, i pesci più piccoli salivano spontaneamente verso la laguna su richiamo delle sue acque più calde per via della scarsa profondità (la cosiddetta montata del pesce, oggi invece il novellame viene perlopiù preso da pescatori esperti che poi approvvigionano le valli da pesca) e tornavano al mare all’arrivo delle temperature più rigide (è tra l’autunno e l’inverno che avviene la raccolta del pesce definita in gergo fraìma, intercettato mentre attraversa il lavoriero, un imbuto terminante in un canale di pesca chiamato colauro in cui sono presenti delle griglie).
«È compito del capovalle – precisa Prevedello – decidere e organizzare le uscite per la pesca e la caccia, i giorni di tratta. Giornate imperniate attorno a tradizioni secolari, a riti di una cultura orale tramandata da una famiglia nobiliare all’altra, da un imprenditore veneto all’altro. Un tempo ad esempio per la valle ci si muoveva in sandolo vogando alla valesana e la sera prima della battuta di caccia ci si ritrovava tutti davanti al fuoco del camino del casone, antico manufatto presente nelle valli da pesca».
Sono 33 le valli da pesca della Laguna di Venezia.
Di varia grandezza, sono concentrate principalmente a nord e a sud.
Tra queste, Valle Cavallino, anticamente appartenuta a una famiglia di armatori e ora portata avanti da una cordata di soci di cui fa parte Paola Fantin, che nel definire il fascino delle valli non usa mezze misure: «La valle da pesca esercita lo stesso fascino dell’Africa: una volta che ti colpisce, non ti molla più», dice.
Di cosa fosse il richiamo di una valle, del resto, lo sapeva bene uno dei suoi più illustri frequentatori: lo scrittore americano Ernest Hemingway.
«Per chi ama la natura, è impossibile resistere alla magia dei tramonti che rendono la valle affascinante in ogni periodo dell’anno, al canto notturno degli usignoli, alla meraviglia dei voli di migliaia di anatre – spiega ancora Fantin -.Il nostro impegno quotidiano è finalizzato al mantenimento del particolare stato di questo patrimonio unico nel suo genere e alla salvaguardia della meraviglia di biodiversità che lo contraddistingue, oltre che alla sopravvivenza della scienza e dei mestieri che vi gravitano intorno».
L’ESPERTO
Branzini, orate, cefali. «I prodotti che arrivano nei nostri piatti direttamente dalle valli da pesca – garantisce il veneziano Andrea Chinellato, biologo marino che insieme a quattro amici ha messo in piedi “Itticosostenibile”, una realtà finalizzata alla vendita e alla valorizzazione delle produzioni ittiche locali – sono di pregio dal punto di vista organolettico e nutrizionale. Si tratta di pesci che si sono nutriti attingendo alla catena alimentare presente nella valle, niente mangimi né trattamenti sanitari, cresciuti in ambienti controllati e nel rispetto dei tempi naturali. Il nostro motto è portare la tradizione in tavola, rispettando il più possibile l’ambiente: perché mangiare, in fondo, è un altro modo per conoscere la storia della Laguna».
LUCIANO, IL CAPOVALLE
«Da mio nonno a mio padre, da mio padre a me: praticamente, sono venuto al mondo in una barena».
Una vita intera con negli occhi il paesaggio delle valli da pesca. Luciano Enzo è nato a Jesolo nel 1953 e ha iniziato a lavorare in valle quando aveva appena 14 anni.
Oggi è il capovalle di “Valle Cavallino”, a Jesolo, incarico che ripone nelle sue mani l’intera gestione dell’attività venatoria e la responsabilità della produzione e della vendita del pesce che qui si alleva.
«Ho iniziato – racconta – sulle orme di mio padre, lo aiutavo con la manutenzione. Questo mestiere lo fai solo se ce l’hai nel sangue e io lontano dalla valle non sono capace di trascorrere neanche un giorno. Arrivo al mattino presto e rimango fino a sera. Il mio lavoro consiste nel controllare costantemente e con attenzione che i diversi spazi che compongono la valle da pesca mantengano invariate le loro caratteristiche naturali, affinché l’ambiente risulti ideale per la crescita e l’alimentazione dei pesci e per la sosta degli uccelli migratori».
«Avere cura di una valle da pesca significa – va avanti Luciano – verificare salinità, temperatura, ossigeno, profondità, salubrità degli specchi d’acqua. Ricambiare l’acqua, pulire i fondali, scavare i canali, se sono alterati ricreare argini e barene, fare le coperture per proteggere i pesci dai predatori. Un lavoro ciclico, che si spalma senza interruzioni lungo tutto l’anno: dal periodo della semina, a primavera, fino al momento della raccolta, tra l’autunno e l’inverno. Non c’è cartellino da timbrare e non è un lavoro faticoso. Però – precisa – per farlo serve tanta passione. Servono innanzitutto amore per gli animali e per la natura. Poi, tanto meglio se dall’amore si ricava anche un profitto».
«Un tempo – ragiona a voce alta Luciano – era normale per le famiglie di mezzadri arrotondare lavorando in valle. Spesso mi chiedo a chi passerò il testimone un domani. I miei figli hanno preso strade diverse e ad oggi non ho ancora una risposta. Nell’attesa di una soluzione, io intanto vado avanti».
Complimenti per la presentazione
Siete bravissimi, si può visitare?