In principio furono i “cesendelli”. Poi i “còdega”. Seguirono gli “impissaferai” e infine… luce fu!
E’ il 2006 quando Elizabeth Gilbert pubblica il suo libro autobiografico “Mangia, prega, ama”. Se conservate quel libro, risfogliatelo e cercate il passaggio in cui la protagonista arriva a Venezia. Ad attenderla in laguna l’amica americana di cui Liz scrive: “Linda è luminosa come una lucciola. Nel Medioevo, a Venezia, si poteva pagare un uomo perché ti accompagnasse con un lanternino nella notte, spaventando ladri e demoni. Lo chiamavano il còdega. Ebbene Linda è la mia accompagnatrice, il mio còdega”.
Chissà come la Gilbert è venuta a conoscenza di questo personaggio che appariva nelle calli veneziane solo al calar delle tenebre. Ebbene, oggi vogliamo essere i vostri còdega per guidarvi in un viaggio nel tempo. Vi faremo incontrare dogi ma anche personaggi popolari, cesendeli e ferai, società francesi, monete e premi internazionali.
Per raccontarvi questa storia straordinaria, però, dobbiamo tornare alla Venezia del XII secolo.
I provvedimenti per la sicurezza
Se avessimo camminato di notte per la città avremo avuto di sicuro paura. Per sua stessa conformazione, Venezia era molto pericolosa ed era facile perdersi in quel dedalo di strette calli, cadere dagli sdrucciolevoli ponticelli di legno e finire dentro un canale, o peggio ancora, complice l’oscurità, diventare preda dei tanti ladri e assassini.
Fu così che il doge Domenico Michiel, nel 1128, ordinò che nelle ore notturne, nelle zone meno sicure, ci fossero dei “cesendelli impizadi”, cioè dei lumicini messi sotto i capitelli votivi, tremule luci che avrebbero dovuto ardere tutta la notte.
Questa misura non fu tuttavia sufficiente perché agguati, assassinii e furti aumentarono nel corso degli anni.
Nel 1450, quindi, fu emanato un altro provvedimento che obbligò i cittadini a usare un lume nelle uscite notturne.
Le calli cominciarono a popolarsi di torce e i facoltosi veneziani, pur di non reggere una lanterna in mano, erano disposti a pagare il servizio.
El còdega
Nacque così il còdega, un mestiere umile, popolare. E anche se c’è chi fa risalire l’etimologia al greco “odegos” (che significa guida), quasi con certezza il termine si riferisce alla cotica di maiale, il grasso che veniva bruciato nelle lampade.
Facciamo di nuovo un salto temporale, eccoci al 1732. Anticipando di quasi mezzo secolo altre grandi città italiane, il Consiglio dei Dieci delibera che tutta Venezia venga illuminata e ordina l’installazione dei primi ferai (fanali) alimentati ad olio di oliva in zona Mercerie e San Marco. Ancora una volta si tentava di porre rimedio ai problemi legati alla sicurezza notturna. Ma quelle fiammelle palpitanti rendevano l’atmosfera così romantica da attrarre un sempre maggior numero di visitatori stranieri.
Tuttavia, siccome l’illuminazione era a carico dei privati (fu istituita una tassa speciale che esonerava solo i più poveri), molte zone restarono ancora per molto tempo al buio.
Il còdega pian piano perse la sua ragion d’essere e al suo posto ecco apparire tra le calli veneziane l’impissaferai che, munito di scale e lunghe pertiche, accendeva e spegneva i fanali.
Gaetano Zompini, famoso incisore veneziano, disegnò i ritratti di queste due figure popolari nel suo libro Le arti che vanno per via nella città di Venezia.
Gli impissaferai
La produzione dei ferai aumentò negli anni tanto che all’inizio del 1800 se ne contavano più di duemila, di cui 76 in Piazza San Marco.
Immaginate dunque la magnificenza del salotto dei veneziani al calar delle tenebre, lo scintillio dei mosaici della Basilica, le deboli luci riflesse sulle facciate delle Procuratie in gara con la volta stellata. In quanto a bellezza Venezia gareggiava alla pari con le capitali europee dove l’illuminazione era arrivata più di un secolo prima!
I progressi tecnologici erano tuttavia destinati a cambiarne ancora il volto.
L’illuminazione a gas
Nel 1839 la Congregazione municipale stipula un contratto per la fornitura del gas con la ditta francese “De Frigière, Cottin et Montgolfier-Bodin” (da tutti chiamata semplicemente ”La Lionese”) che insediò la prima officina di distillazione del carbon fossile a San Francesco della Vigna stoccandolo nello storico gasometro.
Fu subito un successo. Le cronache raccontano che “nella zona di San Marco si potevano già contare anche più di 500 botteghe illuminate con il nuovo sistema, i cui proprietari erano disposti a pagare alla società distributrice ben 7 centesimi all’ora per ogni fiammella accesa”. Il 22 agosto 1843 ne dà conto la Gazzetta Privilegiata di Venezia che testimonia con toni romantici l’arrivo della luce a Venezia: “La Piazza muta, a vederla, in un mare d’argento, e quell’onda di luce, quella luce siderea, che in ogni parte egualmente si diffonde e campeggia…”
L’eccezionalità di questo evento portò addiritturaal l’emissione di una medaglia d’argento con impresso su un lato Lucifero e il motto FIAT LVX e dall’altro la parola VENISE (con sopra la corona turrita rappresentante la corona d’Italia) e intorno COMPAGNIE DECLAIRAGE AV GAZ. L’autore un certo Jean Baptiste Salmason, medaglista francese.
Dopo Piazza San Marco, l’illuminazione a gas venne estesa anche nel resto della città ma non mancarono le proteste dei veneziani per via dell’odore sgradevole e del reticolo sempre più fitto di tubi di ghisa e piombo che causava problemi di sicurezza agli edifici. Ancora pochi decenni ci separano dall’avvento dell’energia elettrica.
Elettricità: una rivoluzione durata 900 anni
Sul finire del XIX secolo ci furono i primi esperimenti alla Giudecca e nel 1889 nacque la Società anonima per l’illuminazione elettrica di Venezia che serviva inizialmente solo i privati in una ristretta zona del centro.
Nel 1922 il Comune decise di sostituire definitivamente il gas e iniziarono i lavori di razionalizzazione delle rete finchè, nel 1927, tutti i ferai vennero riconvertiti a energia elettrica.
Si trattò di una rivoluzione di mezzi e strumenti durata quasi 900 anni.
In Piazza San Marco scomparvero gli eleganti lampioni in ghisa, sostituiti da punti luce sospesi.
Scomparvero anche gli impissaferai e le pertiche vennero sostituite da automatismi.
Il mestiere del còdega, invece, in qualche modo continua a sopravvivere! Alberghi e agenzie di viaggio propongono ai propri ospiti, soprattutto a carnevale, pacchetti emozionali per vivere Venezia nelle ore serali accompagnati da moderni codega.
Questo storico e suggestivo personaggio veneziano ha dato anche il nome al Codega Award, riconoscimento internazionale che premia i progetti e le soluzioni di illuminazione più innovative.
Storia molto interessante. Complimenti 🙂
Sostituirei il termine “fanali” con “lampioni”. Anche “cesendelli” mi sembra improbabile, perché la elle nel dialetto veneziano è pressoché inesistente.
Un tuffo nel passato di una Venezia sempre meravigliosa
Articolo molto interessante, coinvolgente e ben scritto. Complimenti.
Una delle città più belle del mondo, articolo stra interessante. Mi ricorda molto la lampada in stile veneziano che ho comprato per mio figlio https://www.italianlightstore.com/9560-pirati-vascello-3d-sospensione-cameretta-bambino.html
Buongiorno. Leggo con molto, moltissimo ritardo questo interessante articolo. Sarei interessato a sapere di più (e dove posso trovare altre fonti attendibili su questa specifica parte: “Sul finire del XIX secolo ci furono i primi esperimenti alla Giudecca e nel 1889 nacque la Società anonima per l’illuminazione elettrica di Venezia che serviva inizialmente solo i privati in una ristretta zona del centro”.
Avrei piacere di essere contattato per ricevere risposte.
Sto preparando una ricerca su questo specifico argomento.
Molte grazie da subito.