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SCUSATE SE NON LI CHIAMO MODELLINI

SCUSATE SE NON LI CHIAMO MODELLINI


Volano davvero e sono costruiti con una tecnica unica nel suo genere. Sono gli aerei, apprezzati in tutto il mondo, del padovano Paolo Severin
Per realizzare una bella riproduzione in scala non c’è nulla da inventare, basta semplicemente copiare il vero aereo. L’ho scoperto quando ho realizzato la prima riproduzione del Fieseler Storch: il risultato è stato semplicemente straordinario». È iniziata così l’avventura del padovano Paolo Severin nel mondo del modellismo. Una passione che ben presto ha letteralmente spiccato il volo, proprio come i modelli che lui stesso realizza in scala. Aerei che lo hanno reso uno specialista, unico nel suo genere, apprezzato in tutto il mondo e che hanno fatto del suo laboratorio nel padovano uno dei luoghi di “pellegrinaggio” di appassionati e curiosi.
Come ha cominciato a costruire questi “modelli” che lei chiama semplicemente aerei? «Gli aerei, i pionieri del volo e tutto ciò che è ingegno, inventiva e soprattutto sfida, non legata alla competizione ma al raggiungimento di un risultato diverso da quelli conseguiti finora in questo campo, mi hanno sempre appassionato. Quando mi sono accorto che non è poi così difficile percorrere strade finora sconosciute, mi sono impegnato sempre più, grazie anche allo stimolo dato delle soddisfazioni che continuavo e continuo tutt’ora a raccogliere. Ciò che mi appassiona è anche la storia dell’aviazione e il coraggio dei tanti eroi che l’anno fatta».
Questo tipo di passione ha un gran giro di estimatori? «I miei prodotti costituiscono una nicchia nel mondo dell’aeromodellismo. Comunque se consideriamo il mercato mondiale e l’interesse che si è creato attorno ai miei kit, posso dire di avere non pochi estimatori. Normalmente anche chi non è un appassionato di aeromodellismo rimane colpito dalla complessità e dalla qualità dei miei aerei».
Ha ricevuto riconoscimenti per i suoi lavori? «Da diversi anni i miei modelli vengono pubblicati in molte riviste sia in Italia che all’estero. Recentemente ho spedito il mio ultimo articolo a Model Airplane News, la più diffusa rivista di aeromodellismo americana».
Quanto è difficile reperire i pezzi per arrivare a costruire questi aerei in scala? «A parte i motori, che si trovano normalmente in commercio, tutti gli altri pezzi vengono auto-costruiti utilizzando materiali vari, alcuni reperibili normalmente in ferramenta o in magazzini di legname, altri, più difficili da reperire, provengono da prodotti aeronautici, molti dei quali devono essere importati. Per quanto riguarda invece la mia esclusiva tecnica costruttiva, che prevede per le strutture l’utilizzo di tubi saldati come nei veri aerei, faccio produrre questi ultimi da una trafileria specializzata».
Lavora da solo o ha una sua équipe? «Alcuni amici aeromodellisti appassionati collaborano occasionalmente alla produzione dei miei kit, che rimangono comunque un prodotto estremamente artigianale».
Per fare quello che fa lei è necessario avere svolto specifici studi di ingegneria? «Evidentemente no, visto che ho solo la licenza media, ma sinceramente non so se mi fiderei a volare su un aereo progettato da me. Anche se devo dire che finora i miei modelli hanno dimostrato un’affidabilità di tutto rispetto».
Quanti in Italia fanno quello che fa lei? «Che io sappia sono l’unico in Italia, e probabilmente al mondo, a costruire con questa tecnica che ho io stesso ideato. Di aeromodellisti ce ne sono tanti, il mercato però tende sempre più al “giocattolismo”, gli appassionati che hanno voglia di costruire sono sempre meno. Le nuove generazioni di aeromodellisti hanno sempre meno tempo e spazio per costruire, per coltivare questa passione occorre molto spazio e non tutti ne dispongono».
Quanto costa realizzare un modello e fino a che cifra è pensabile venderlo? «Il kit del mio Bücker Jungmeister costa 4200 euro, ai quali vanno aggiunte le spese per motore, impianto radio, materiale di copertura, verniciatura e, mediamente, 70 ore di lavoro. Per un aereo pronto al volo si può arrivare quindi tranquillamente a 10.000 euro».
I suoi acquirenti provengono anche dall’estero? «Soprattutto dall’estero, la Francia è finora il mercato migliore, non per niente vanta la più antica tradizione aeronautica».
Qual è il modello che le ha dato maggior soddisfazione una volta realizzato? «Il Bücker Jungmeister è quello più apprezzato, ma quello che preferisco è il Fieselr Storch, quello che i nostri vecchi chiamavano la “Cicogna”. Il suo volo lento e stabile costituisce un’autentica gioia per gli occhi».
E quello invece che si è rivelato il più complesso da realizzare? «Sicuramente l’Arrowbile. Era un aereo/automobile costruito in 6 esemplari da Waldo Watermann negli USA. La sua ricostruzione è stata una vera e propria impresa e ho dovuto risolvere infiniti problemi. Alcuni aeromodellisti americani ogni tanto mi chiedono di produrlo in kit, ma finora non me la sono sentita di affrontare la produzione in serie di un aereo così complesso».
Mediamente quanto impiega per realizzare uno dei suoi aerei? «Per realizzare un prototipo si possono impiegare 3 o 4 mesi, per metterlo in produzione, normalmente serve altrettanto tempo».
Quanti ne ha realizzati fino ad ora? «Sinceramente non li ho mai contati, sicuramente diverse decine».
Per lei questo è un hobby o un lavoro? «Era un hobby che si è trasformato in lavoro, non so se ci ho guadagnato… e non mi riferisco ai soldi».
Cosa ha provato la prima volta che un suo aereo ha volato? «È una sensazione difficile da descrivere, anche perché a quei tempi il primo volo si risolveva quasi sempre con una scassatura. Ma quando si riusciva a stare in aria qualche minuto la soddisfazione era impagabile».
Per lei è più emozionante volare o far volare uno dei suoi aerei? «Sicuramente far volare un aereo. Parlo naturalmente del collaudo, poi quando si è presa confidenza con la “bestia” è solo puro divertimento».

 
DI FEDERICO BACCIOLO
 

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