Intervista
a Sauro Gelichi,
archeologo e docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia
La storia delle origini di Venezia è intrisa nella leggenda, in narrazioni che sono diventate punti di riferimento ai quali non si sono sottratti nel tempo nemmeno storici e archeologi. E’ così che la tradizione fissa la data di nascita di Venezia il 25 marzo 421. In laguna, tuttavia, secondo altre fonti, già si trovavano insediamenti abitati risalenti all’epoca romana. Alcuni ritrovamenti legati a scavi recenti hanno indotto infine alcuni studiosi a ritenere di poter anticipare di un paio di secoli la data di nascita della città lagunare.
“Contrariamente a quanto si può immaginare -sostiene il professor Sauro Gelichi, archeologo e docente ordinario all’Università Ca’ Foscari di Venezia- i secoli formativi dell’insediamento lagunare restano ancora in gran parte inspiegati“.
–Professore, si può pensare davvero di individuare una data di nascita di Venezia?
– Indicare una data di nascita precisa per Venezia, come spesso per altri luoghi, non è possibile. Non esiste. Più che inseguire una chimera, è invece interessante analizzare i processi di lunga durata che hanno portato alla formazione della nostra città. Per questo, più che le fonti scritte, può essere utile l’archeologia. Negli ultimi decenni sono stati realizzati molti scavi nella laguna, ma sono nella stragrande maggioranza dei casi inediti: bisognerebbe conoscerne i risultati per proporre delle ‘nuove narrazioni’ sulle fasi formative delle società lagunari, finora ricostruite solo sulla scorta delle fonti scritte. Come è noto, tali fonti (e prima fra tutte, anche per antichità, l’Istoria Veneticorum di Giovanni diacono), ci riportano la notizia che, spinti dalle pressioni delle invasioni barbariche, molti abitanti delle città di Terraferma si spostarono verso la laguna. Così sarebbe nata Venezia. Tuttavia prendere questi testi ‘alla lettera’ è semplicistico.
– Gli scavi e i ritrovamenti archeologici, dunque, potrebbero contribuire a questo: ma in che modo?
-Certo. Molte persone, ingenuamente, pensano che l’archeologia consista solo nel portare alla luce oggetti: in realtà questa opinione è riduttiva. L’archeologia ha senso solo se comprende e interpreta processi storici, per poi costruire narrazioni da condividere con le comunità. Le ricerche archeologiche realizzate a Venezia e in laguna in questi ultimi anni hanno rappresentato un notevole salto di qualità rispetto al passato, ma la documentazione prodotta in quelle circostanze non è stata resa pubblica.
–In realtà Venezia è stata interessata negli ultimi trent’anni da molti scavi e dei vari ritrovamenti è stata data notizia.
Come ho detto, molti scavi non vuol dire, automaticamente, molta buona archeologia, molta buona narrazione. Di ogni ritrovamento si è fatta molta pubblicità sui quotidiani ma poco di tutto questo si è tradotto in una quantità di informazioni e di dati utilizzabili e verificabili dalla comunità scientifica.
–Quindi siamo punto e a capo?
– Non esattamente, anche se le nostre principali conoscenze sulla laguna sono ancora legate ai pochi scavi pubblicati.
–Su Venezia le fonti materiali sconfessano alcune fonti scritte?
Non sono poi molte le fonti scritte su Venezia. Però le poche note hanno contribuito alla costruzione di alcuni miti. Il primo è quello delle origini legate al mondo antico, un collegamento creato per darsi una sorta di pedigree in un momento, quello in cui scriveva Giovanni Diacono, molto importante per la costruzione di un’identità civica, politica e culturale della città. Il secondo è il mito della bizantinità: il rapporto della città lagunare con Bisanzio è indiscutibile, ma non ha prodotto una società che è un calco di quella costantinopolitana, come spesso si tende a credere. Le testimonianze archeologiche dimostrano come molti degli aspetti che caratterizzano le comunità lagunari sul piano dei comportamenti socio-culturali (modi di costruire gli edifici, di stare a tavola, di alimentarsi, anche di concepire la ritualità funeraria ad esempio) sono molto più vicini a modelli che riscontriamo nelle società contemporanee di Terraferma che non ai cugini di Bisanzio. Il terzo mito è quello delle origini selvagge, di una comunità che in qualche modo si è fata da sola: un mito funzionale a giustificare l’esistenza della futura città stato.
Quindi cosa ci dicono le fonti materiali note sulla nascita di Venezia?
La laguna all’inizio non è Venezia, che non esiste: è semplicemente uno spazio costellato da isolette, favorevole alla coltivazione del sale e all’ esercizio della pesca. Ma la laguna resta un luogo difficile dove vivere, dove non c’è acqua e anche l’approvvigionamento alimentare non è semplice. Dunque abitare stabilmente la laguna comporta delle scelte che hanno conseguenze ben precise: la preoccupazione di difendersi dai nemici non può costituire la sola ragione di queste scelte. Meglio allora guardare alla formazione dei primi insediamenti stabili in laguna come la conseguenza di un lungo processo, non come il frutto di una migrazione improvvisa ed irreversibile.
–Quando è iniziato questo processo?
Non si può dirlo ancora con precisione, ma qualche idea ce l’abbiamo. I primi insediamenti stabili, strutturati, socialmente organizzati si possono datare tra il V e VII secolo. E’ questo un periodo chiave, che prelude poi alla nascita di comunità autonome, le quali, a sua volta, si dotano di una loro specifica organizzazione sociale. Sono molte le aree della laguna dove questi processi possono essere analizzati e spiegati dalla fonte archeologica. Sicuramente uno dei più significativi resta Olivolo, l’isola dove nel 775/776 venne creato la sede vescovile, San Pietro di Castello, la prima chiesa di Venezia. In questo luogo sta probabilmente una delle chiavi per comprendere le ragioni di una scelta così estrema e radicale: forse una buona archeologia riuscirà a raccontarcelo.
Un commento su “Venezia tra scavi, miti e chimere”