“Quella volta il maestro Giuseppe Carli mi ha detto: “O vai avanti tu, o io vado via”. Nessuno si era fatto avanti, e quindi l’ho rilevata io. Ora sono qui da quasi 35 anni”.
Paolo Brandolisio, 51 anni, maestro remèr, ha bottega e laboratorio al numero 4725 di Castello a Venezia. Fa forcole e remi per i gondolieri. Proprio una forcola su una colonna di Calle Rota indica la bottega sulla corte, una porta che si apre su un mondo fermo al Novecento.
“La bottega è stata aperta nel 1929 dal papà del mio maestro che ne aveva già una vicino a questa ed è restata la stessa da quando l’ho rilevata” dice Paolo fermando il lavoro di pialla su un remo.
L’ampio laboratorio, illuminato da un lucernario che si apre in mezzo al tetto a spiovente, è una meraviglia di legni e aste grezze o semilavorate. Da una parte un fascio di lunghi remi finiti in attesa di essere scelti e maneggiati dai gondolieri. Addossate a un muro, delle forcole appena sgrezzate e, accanto, delle sagome che sono servite a disegnarle. Dalla parte opposta, qualche forcola finita, qualcuna di curiosa a tre scalmi, arredi lignei di gondole che ora adornano gli architravi, qualche quadro, madonne e angioletti che tengono compagnia tra scaffali di colle e vernici. Al centro c’è un desco con pialle di diverse misure, seghetti, scalpelli e due morse di legno. L’unico macchinario moderno è una sega elettrica circolare.
- Mai sentito l’esigenza di cambiare, rimodernare la bottega?
No. Quando sono arrivati i mezzi moderni, si è andati oltre l’artigianato. Se si usa il pantografo per fare una forcola, non è la stessa cosa.
- Che cos’è un artigiano?
E’ colui che lavora un materiale o qualcosa e gli dà del suo una volta che ha imparato ad usare gli attrezzi. Quindi c’è il valore instrinseco dell’oggetto che è forgiato anche dal rapporto diretto con il cliente, con le cose belle e le cose brutte che porta, ma è questo il valore dell’artigiano. Ci si forma rapportandosi con il cliente oltre a quello che si è appreso dal maestro. Quando non si capisce questo, il mestiere sparisce.
- Mai voluto cambiare, comperare un attrezzo per velocizzare il lavoro?
L’esigenza di cambiare è venuta anche a me. Ma, per quello che penso io, se hai certi valori, li metti in pratica, sennò spariscono e si diventa qualcos’altro. Qualcosa che non è brutto, non è bello, ma diverso. Il rapporto con questo lavoro sarebbe differente e non sarei più un artigiano. Dunque, se vogliamo salvare questi lavori, dobbiamo procedere come sono stati concepiti.
- Come va il lavoro in questo settore?
Il settore va bene e a Venezia ci sono altre tre botteghe oltre la mia. Ho avuto un allievo, ha bottega anche lui. Ai tempi del mio maestro i gondolieri lavoravano da marzo a settembre e lui chiudeva un paio di mesi in inverno. Con il turismo odierno, si lavora tutto l’anno. Ma ci sono dei problemi.
- Quali? Me ne elenca qualcuno?
Fondamentalmente i problemi dell’artigianato sono sempre stati gli stessi, nessuno li ha mai risolti. Parlo di Venezia, dove i posti sono quelli che sono e, con gli affitti attuali, tutti hanno chiuso o aperto da altre parti. Poi mettere a norma costa moltissimo. Se devi fare un bagno, devi scavare almeno un metro sotto per la fossa biologica e tra gli altri deve venire anche un archeologo per valutare cosa si trova. Questo è un costo che grava sul lavoro, per dirne un paio.
- Ci sono dei costi a Venezia che altrove non ci sono…
Non solo. Se a Venezia facciamo una politica di mercato di bassa qualità, ovvio che la qualità man mano sparisce. In tutta Italia l’artigianato è stato lasciato andare. Non dico avere un occhio di riguardo, ma lasciare che l’artigiano sia in condizione di lavorare. E invece continuano a oberarti di burocrazia, che costa. L’ultima è la fattura elettronica. Lavoro ne ho, tanto, ma…
- C’è qualcuno interessato ad imparare questo mestiere?
Sì, ci sono ragazzi che vorrebbero imparare, ma il posto è quello che è, e con le norme attuali dovrei avere uno spogliatoio, degli armadietti, ecc… Se decidiamo che queste cose valgono, dobbiamo fare qualcosa, altrimenti succede come trent’anni fa, quando Carli mi disse: O vai avanti tu, o io chiudo. E nessuno se ne accorgerà, usciranno un paio di articoli sul giornale e poi più nulla. Mi rendo conto che sono diventato un po’ polemico come lo era il mio maestro. Ma se i discorsi sono gli stessi, vuol dire che niente è cambiato da quella volta. Eppure, qui ci sarebbe da lavorare.