Acquistata da anonimi americani e ristrutturata da Lares Ca’ Dario prova a scrollarsi di dosso le secolari superstizioni
Fermarsi davanti al civico 353 di Dorsoduro significa per ogni veneziano fare un po’ i conti con la razionalità e la superstizione. Su Ca’ Dario gravano infatti secoli di oscure maledizioni e una leggenda che conta tracolli finanziari e morti violente.
La peggiore di tutte porta la data del 19 luglio 1970, quando l’allora proprietario, il conte Filippo Giordano delle Lanze, fu ucciso da un giovane marinaio croato che frequentava. Fu ritrovato la mattina dopo dalla sua governante. Steso in una pozza di sangue, aveva la testa fracassata. Vicino a lui, l’arma del delitto, un vaso d’argento, e tra le mani un quadro di Pietro Longhi. L’ultimo proprietario fu Raul Gardini. Su di lui la maledizione di Ca’ Dario sarebbe calata due volte: con il tracollo finanziario e con il suo suicidio, avvenuto però nella sua casa milanese di Belgioioso.
C’è chi dice che Ca’ Dario sia sorta su un ex cimitero di templari, indicando in questo la causa del cedimento strutturale che la rende pendente a destra e, soprattutto, dei fantasmi da cui Christopher Lambert, il produttore musicale degli Who, diceva di esser talmente tormentato da preferire, il più delle volte, dormire nel chiosco dei gondolieri di Santa Maria del Giglio. Che sia vero o no, Ca’ Dario è diventata per antonomasia il “palazzo maledetto” e molti studiosi del paranormale affermano con convinzione che la ragione di tante sciagure stia nell’energia negativa connessa all’acqua su cui poggia.
Di sicuro non la pensano così i nuovi proprietari (americani che vogliono restare anonimi), i quali, in barba a leggende e superstizioni, hanno acquistato Ca’ Dario decidendo di regalarle una nuova stagione. Il primo passo è stato il lungo restauro della strepitosa facciata in marmo e pietra d’Istria che guarda sul Canal Grande: la stessa che Monet ha dipinto su tela in diverse variazioni di luce e di cui Ruskin ha scritto nel suo celebre “Le pietre di Venezia”.
I lavori sono stati effettuati dalla ditta Lares di Venezia, la stessa che ha riportato in vita la Fenice, che ha restaurato il Ponte di Rialto e le Procuratie Nuove a San Marco. Dice di non essere superstizioso, l’amministratore delegato di Lares Mario Massimo Cherido. Però anche lui, prima di iniziare i lavori, sette anni fa, un’occhiata a che fine avesse fatto il suo predecessore che, all’inizio del 1900, ha effettuato un primo restauro importante sul palazzo, l’ha data. «È morto serenamente a 95 anni. Ho pensato che fosse una buona età», racconta.
Oggi, marmi e pietra d’Istria hanno ritrovato il loro splendore. La facciata che dà sul Canal Grande è stata risanata e liberata dai gravi problemi di cedimenti statici che aveva. Resta sempre pendente a destra, ma gli interventi effettuati, anche sul tetto, dove sono stati recuperati i camini (di cui tre originali del 1479), l’hanno messa in sicurezza e la tuteleranno anche per gli anni a venire. Pulitura, incollaggi, sigillatura dei vari elementi per evitare infiltrazioni d’acqua e sostituzioni di ferro (che ossidandosi crea delle tensioni che il marmo non sopporta) e cemento con acciaio inossidabile hanno tolto un secolo di degrado dovuto all’inquinamento atmosferico derivato dal carbone della vecchia centrale di Fusina e dall’ex produzione industriale di Marghera. Ancora all’esterno, il restauro riguarderà ora la muratura del giardino retrostante.
«Gran parte dei palazzi del Canal Grande – spiega Cherido – erano più arretrati rispetto all’acqua e l’area in cui, nel 1479, l’architetto Pietro Lombardo, su commissione di Giovanni Dario, iniziò a costruire il nuovo Palazzo era considerata periferica. Qui prima del Rinascimento c’erano solo chiese e conventi». Un cimitero dei templari poteva esserci stato davvero? Gli storici non lo escludono ma ancora nessun documento avalla questa teoria…
Le vittime di Ca’ Dario…
Per secoli, i Veneziani hanno anagrammato la scritta che sta sulla facciata di Ca’ Dario (“Urbis Genio Ioannis Darius” – Giovanni Dario in onore del genio della Città) in “Sub Ruina Insidiosa Genero” (“Io genero solo un’insidiosa rovina”) alimentando la leggenda del palazzo maledetto nata per la sorte toccata ai suoi diversi proprietari.
La prima fu Marietta, figlia di Giovanni Dario, per la quale sarebbe stato edificato il palazzo. In seguito al tracollo economico del marito, la donna sarebbe morta di crepacuore e uno dei tre figli, Giacomo, in un agguato a Candia. Secondo la leggenda anche Arbit Abdoll, il ricco mercante di diamanti armeno che lo avrebbe acquistato nel 1800 avrebbe fatto bancarotta e, come lui, l’acquirente successivo, Rawdon Brown.
Nel 1964, era seriamente intenzionato a comprare Ca’ Dario Mario del Monaco che tuttavia, facendo ritorno a Venezia per definire gli ultimi dettagli della trattativa, fece un gravissimo incidente stradale. Pare che le prime parole dette al suo segretario siano state: “Sbrega quee carte!” (straccia quei fogli, ndr). Andò a rogito invece il conte Filippo Giordano delle Lanze, ucciso in una calda sera del luglio 1970 all’interno di Ca’ Dario. Dopo di lui il palazzo fu del produttore musicale Christopher Sebastian Lambert, anch’egli colpito da un tracollo finanziario e per questo, secondo la leggenda, suicida.
Negli anni ’80 fu un ricco uomo d’affari veneziano a sfidare la sorte. Con Fabrizio Ferrari, colpito anch’egli, secondo il mito del palazzo maledetto, da un dissesto finanziario, Ca’ Dario visse un periodo di grande mondanità alla quale presero parte uomini politici (Henry Kissinger e Giulio Andreotti solo per citarne alcuni), attori e finanzieri. Alle numerose feste partecipò spesso anche la sorella Nicoletta, poi morta in un incidente stradale “sospetto”. Nel 1985 acquistò Ca’ Dario il noto industriale Raul Gardini. Morì suicida dopo i rovesci finanziari e lo scandalo Tangentopoli.
…un mito da sfatare
Come racconta lo scrittore e storico veneziano Davide Busato, le cose non sempre andarono come si vuol credere. Giovanni Dario, colui che nel 1479 fece costruire il palazzo vivendovi per diversi anni, morì di morte naturale alla veneranda età di 80 anni. La figlia Marietta invece si spense, è vero, a soli 32 anni ma non certo per il dissesto finanziario della famiglia. Dai diari di Marin Sanudo risulta infatti che la famiglia percepiva cospicui affitti per le sue varie proprietà. Dei figli, uno morì in battaglia a Candia ma il figlio Giovanni (che nel 1522 riprese a vivere a Ca’ Dario) morì ottantenne come il nonno.
Fino al 1659 non ci fu poi alcun mistero o delitto. Ma anche per quelli dei decenni successivi la realtà spesso sfata la leggenda. Il fallimento del ricco mercante di diamanti Arbit, ad esempio, non è suffragato dai documenti storici, mentre è confutata del tutto la storia del proprietario successivo, Rawdon Brown, che secondo la leggenda sarebbe morto giovane e in povertà, sparandosi nella sala da pranzo. In realtà, dopo aver iniziato i restauri di Ca’ Dario, decise di venderlo e si trasferì a Palazzo Gussoni-Grimani della Vida, dove morì soli 5 anni dopo, ma di morte naturale.
Una proprietaria molto nota allora in città, ma sconosciuta alla leggenda di Ca’ Dario, fu la contessa Isabelle de La Baume-Pluvinel. Con lei il palazzo visse forse il suo periodo più artistico e mondano, ospitando pittori e poeti veneziani e francesi, nessuno dei quali, contessa inclusa, fu colpito da maledizioni. Christopher Lambert non morì suicida ma per un’emorragia causata da una caduta dalle scale. Aveva venduto il palazzo qualche anno prima. A chi? Al veneziano Fabrizio Ferrari, che non ebbe alcun crack finanziario. Nel 1985 infatti, la Bavaria Assicurazione, di cui era il titolare, fu ristrutturata e in quell’anno registrò un incremento del giro d’affari del 38%. La sorella Nicoletta morì due anni dopo, nel 1987.