Il Sert di Padova spiega come si affronta dal punto di vista medico il diffuso male del gioco d’azzardo patologico.
Tutte le dipendenze sono abbastanza simili, poiché agiscono sulle terminazioni nervose; ma la ludopatia non può essere curata attraverso farmaci, a meno che non sia collegata ad altre psicopatologie, come una grave forma di depressione: occorre fare un percorso diverso che inizia proprio con la definizione della patologia». Antonio Stivanello, vice-responsabile del Dipartimento per le dipendenze dell’Ulss 16 di Padova (struttura che da circa una decina d’anni si occupa anche della dipendenza da gioco d’azzardo), inquadra così, dal punto di vista medico, il sempre più diffuso tema del gioco patologico.
Dottor Stivanello, come ci si accorge che il gioco è diventato un problema? «Ovviamente, non tutti i giocatori sono malati, ma quando si dedicano molto più tempo e molti più soldi di quelli che si vorrebbero investire al gioco, è allora che da soli non si riesce ad uscirne. È difficile che sia il giocatore stesso a chiedere aiuto: più spesso è un familiare a rendersi conto per primo che esiste il problema e a contattarci».
Come opera il Sert? «Il primo passo è un colloquio con una psicologa, per verificare se effettivamente c’è un problema di dipendenza, e a quel punto occorre che il malato lo capisca e lo accetti. Allo stesso tempo viene identificato un familiare, solitamente quello che lo accompagna, che gli faccia da sostegno, ovvero una persona di estrema fiducia alla quale cedere la propria disponibilità economica, visto che, se non hanno soldi in tasca, non si possono spendere. Successivamente, si tiene un altro colloquio con un altro psicologo, per valutare il livello di dipendenza e definire la terapia. Seguono una serie di incontri a cadenza quindicinale: di gruppo, con altri giocatori, o individuali, accompagnati dal proprio familiare di sostegno. Dopo un anno segue una verifica, con la psicologa che valuta i progressi. Se alla base del problema ci sono delle difficoltà familiari, si procede parallelamente anche con la terapia familiare».
Qual è l’età media delle persone che chiedono il vostro aiuto e da che esperienze provengono? «Quelli che si sono rivolti a noi hanno dai 15 ai 75 anni, ma la percentuale più alta è nella fascia di età compresa tra i 39 e i 64 anni. Occorre infatti poter disporre di denaro. Ci sono persone che, dopo essersi ritirate dal lavoro, si ritrovano senza riferimenti: non hanno più gli orari di prima, le responsabilità, i ruoli, mentre spesso al loro fianco la moglie ha ancora il lavoro o abitudini quotidiane e non può capire il loro stato emotivo. I rapporti di coppia si fanno difficili, queste persone non riescono a ricollocarsi e si dedicano al gioco come passatempo, con la speranza di una vincita che farebbe riacquistare loro il proprio ruolo d’importanza. Oppure, ci sono coppie che insieme, occasionalmente, vanno a giocare, ma uno dei due ad un certo punto si lascia prendere senza accorgersene: “Prima o poi mi rifaccio, una volta ho vinto vuole dire che posso farlo ancora…”. E magari cominciano a spendere anche i soldi accantonati per l’università dei figli, impegnano l’oro di famiglia: a quel punto il problema si fa sempre più grave e non riguarda più solo loro, ma l’intera famiglia. O, ancora, all’interno di una difficile situazione di coppia uno dei due avverte un carico di grandi responsabilità e uscire per andare a giocare diventa un modo per evadere: quando il coniuge se ne accorge ne nasce un conflitto ancora più grande, manifestato attraverso il gioco ma già presente».
Esiste una differenza di genere nei malati? Avete più pazienti donne o uomini? «Non c’è differenza, anche se più spesso sono le donne a gestire le entrate economiche, ma proprio queste hanno più ritrosia ad accedere ai servizi pubblici, per vergogna».
Com’è la percentuale di successi e ricadute? «Generalmente nei primi tre o quattro mesi le ricadute ci sono, sarebbe insolito che non ci fossero, e si fa una verifica. Dopo un anno, invece, la percentuale di successo è molto alta. È un po’ come per gli alcolisti: è difficile entrare in un bar a bere un caffè se ci sono le slot machines, così come andare a pagare una bolletta o comprare una marca da bollo dal tabaccaio dove sono esposti gratta e vinci e altre tentazioni. Esistono gruppi di ex-giocatori che si danno appuntamento a prendere un aperitivo o un caffè solo nei bar che ne sono sprovvisti. Questo genera anche l’interesse dei gestori, anche se il guadagno che hanno dalle macchinette è molto alto».
Quindi come potrebbe essere la legge ideale per combattere il fenomeno? «Va benissimo che siano tutelati i minori, ma per gli adulti la proibizione serve a poco, è dimostrato. Quello che invece è importante è che la comunità, il sindaco di una cittadina, riconosca che il gioco è un problema: è il messaggio che è importante. Vanno bene anche le fasce orarie, anche se il giocatore può farlo prima o dopo, ma il messaggio “Fai quello che vuoi, ma sappi che corri dei rischi” raggiunge un largo numero di persone e serve a contenere il problema. In questo caso anche i gestori dei locali sono sensibilizzati, da qui la scelta di alcuni di non avere slot machines o altro nel proprio bar».
Purtroppo le occasioni di gioco sono moltissime, non solo nei locali pubblici. «Certo, una volta esistevano solo i casinò: occorreva recarsi in quel determinato posto, vestirsi in un certo modo, eccetera. Oggi basta andare al bar e non dimentichiamo i siti di giochi online: chi si vergogna a farsi vedere al bar a giocare può farlo nell’intimità di casa sua. Quello che un giocatore non afferra è che le possibilità di vincita sono davvero molto molto basse e non c’è possibilità di previsione, come invece crede il nostro cervello. Questi meccanismi giocano sulla quasi vincita: al gratta e vinci, ogni tanto, 1 o 2 euro li vinci e quella vincita viene quasi sempre reinvestita in un altro biglietto non-vincente; così come alle slot esce una combinazione quasi esatta e il giocatore pensa che rigiocando prima o poi arriverà quella giusta: purtroppo non è così. Se è azzardo, vincere è invece altamente improbabile».
Quanti giocatori avete in carico in questo momento e com’è la situazione rispetto al pregresso? «Alla nostra struttura al momento sono in carico 157 persone: abbiamo notato però, che, nei primi cinque mesi di quest’anno, c’è stata una leggera flessione rispetto allo stesso periodo del 2015. Questo fa ben sperare: anche se il bombardamento pubblicitario è massiccio, noi facciamo anche molta informazione con interventi pubblici aperti alle famiglie, nelle scuole con i genitori, ma anche con i gestori. Come ho già detto, prendere coscienza del problema è il miglior modo per affrontarlo».
Come ci si rivolge a voi? «Si può richiedere un appuntamento, per il quale non occorre nemmeno l’impegnativa del medico di base, attraverso i nostri numeri diretti (049 821 6946 – 049 821 6856) o il numero verde dedicato (800 629 780)».
AZZARDOPATIA: CIFRE, MISURE E CONSIGLI
• Nel 2015, in tutto il Veneto sono stati spesi 5,8 miliardi di euro.
• Il Servizio per le Dipendenze dell’Asl 10 (San Donà di Piave) ha calcolato che il fenomeno della dipendenza del gioco d’azzardo coinvolge circa il 3% della popolazione del Veneto orientale, vale a dire 6.000 persone circa, ed è in aumento.
• Il Servizio per le Dipendenze dell’Asl 12 ha oggi in carico circa 150 persone, per la maggior parte uomini, sui cinquant’anni, che si giocano in pochi minuti lo stipendio dimenticando la famiglia e gli amici.
• Su 400 persone seguite dal Sert di Padova, il 30% è guarito, ma una identica percentuale di persone ha avuto una “ricaduta”. In ogni caso, chi si rivolge al Sert ha una qualità di vita migliore grazie all’aiuto a gestire la patologia che viene fornito a lui e alla famiglia.
• Nel Miranese si contano oltre 500 apparecchi e nel giro di cinque anni i giocatori in cura al Dipartimento per le dipendenze dell’Ulss 13 sono passati da 17 a 105. Sei Comuni hanno già messo in vigore le ordinanze.
• Un elenco delle principali strutture che possono offrire aiuto per affrontare la dipendenza dal gioco d’azzardo, suddivise per Regione, è presente sul sito web del Centro studi nato all’interno del “Gruppo Abele”, l’associazione di don Luigi Ciotti nata per dare aiuto a chi si trova in condizioni di disagio (http://centrostudi.gruppoabele.org/gambling/).