Laura Barbiani, Presidente del Teatro Stabile del Veneto, racconta la voglia di teatro del nostro territorio e l’intuizione che l’ha portata a chiamare Alessandro Gassman nel ruolo di Direttore Artistico.
Dal 2002 è Presidente del Teatro Stabile del Veneto. Un’istituzione culturale metropolitana, come la stessa Laura Barbiani la definisce. Un’istituzione che si occupa della gestione in tutto e per tutto del Teatro Goldoni di Venezia e del Teatro Verdi di Padova, ai quali si aggiunge la gestione del ciclo estivo del Teatro Olimpico di Vicenza. Tra i soci vi sono la Regione Veneto, i Comuni di Padova, Venezia e Vicenza, e la Provincia di Padova. Romana che ha messo radici a Venezia dove è arrivata nel 1991 operando nel settore di Beni Culturali, Laura Barbiani è tornata al teatro nel cui ambito aveva svolto attività didattica presso l’Università di Siena nella metà degli anni ’70. Già membro della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, nel Consiglio Direttivo e nel Consiglio di Amministrazione della Biennale, ha accentato l’investitura di Presidente del Teatro Stabile con l’idea di restare qualche anno per migliorare la situazione. Ed è finita per essere confermata anche per il secondo mandato.
Qual è il rapporto tra il territorio metropolitano ed i teatri Verdi e Goldoni? «Tra gli addetti ai lavori si dice che i veneziani a teatro vogliano ridere e che i padovani siano più seriosi. In realtà io credo che questo si spieghi facilmente con il fatto che il veneziano se vuole uno spettacolo serioso ha altre opportunità offerte dagli altri teatri cittadini, viceversa per Padova l’offerta di un certo livello è solo del Verdi. Anche se il pubblico presente in sala più o meno si equivale, al Verdi di Padova abbiamo 3500 abbonati, al Goldoni di Venezia 1200. Il perché è presto detto: il Verdi è l’unico Teatro di un bacino di utenti di 250.000 persone, il Goldoni è uno dei teatri del centro storico lagunare assieme a Fenice, Malibran, oltre alle attività della Biennale. Chiaro quindi che a Padova ci sia abbona anche per essere sicuri di trovare posto mentre a Venezia non c’è questa esigenza».
Lei ha fortemente voluto Alessandro Gassman nel ruolo di Direttore Artistico, perché? «Bisognava rinnovare e ringiovanire, questo chiedevano unanimemente i soci del Teatro Stabile. Ed io ho voluto con determinazione Alessandro Gassman perché ci poteva dare immagine, anche nei confronti dei giovani, e sostanza. Sebbene sia forse più noto per l’attività cinematografico-televisiva, lui è un uomo di teatro. Ogni anno dedica sei mesi al teatro e sei mesi al cinema tenendo ben separate le due cose, esattamente come si fa nel mondo anglosassone. Si pensi poi che è nato come aiuto macchinista di suo padre proprio in teatro».
Ci racconti qualcosa di curioso su Gassman. «Una delle prime cose che ha fatto quando è arrivato è stata mettere mano all’illuminazione delle bacheche per le locandine esterne al Goldoni, come fosse l’ultimo degli elettricisti. La gente si fermava esterrefatta ad osservarlo, chiedendosi se fosse proprio lui. Questo per dare un’idea di quanto sia meticoloso. Il suo arrivo ha portato subito ad un boom di abbonamenti, ma considerato che dopo più di un anno quel trend sta ancora continuando significa che questa voglia di teatro non è solo legata “all’effetto Gassman”. Si pensi che quest’anno gli abbonati del Goldoni sono saliti del 30%, che il Verdi è sempre pieno e che per entrambi ad ogni spettacolo superiamo la previsione d’incasso per quanto riguarda i biglietti venduti».
Allora perché questo tipo di istituzioni fanno sempre fatica a far quadrare i bilanci? «I teatri sono aziende fragili perché i flussi di cassa sono molto rapidi. Si pensi che nel ‘700 e ‘800 gli attori volevano essere pagati tra il primo ed il secondo tempo. Le cose ovviamente sono cambiate ma questa è un’immagine che rende l’idea. Si aggiunga poi che in Italia i costi sono maggiori per esempio di quelli del mondo anglosassone perché lì gli spettacoli stanno fermi per più mesi mentre qui girano di continuo, con tutti i costi che questo comporta. Inoltre nei teatri manca prima di tutto il management, come mancano gli uffici commerciali che in Italia dovrebbero crescere in tutto il mondo della cultura e dello spettacolo. Il teatro è un’attività ad alta intensità umana: ciò significa che l’80% dei costi sono rappresentati dai costi del personale (attori, tecnici e trasporti) e questo costo sale con l’aumentare del costo della vita ma non può essere equilibrato dall’aumento del costo dei biglietti. Questo sbilancio obbliga all’esigenza di un contributo pubblico ed alla capacità di reperire altre risorse per far fronte a quella forbice che si allarga inesorabilmente».
A livello nazionale qualcosa di importante si è mosso relativamente ai contributi per lo spettacolo. «Nell’ambiente tutti hanno accolto con somma soddisfazione la notizia del reintegro del Fondo Unico per lo Spettacolo. Si parla di un contributo nazionale pari a 409 milioni di euro l’anno. Una cifra indubbiamente consistente e fondamentale per la vita di queste istituzioni. Ma se si considera che deve servire a coprire tutto lo spettacolo dal vivo in Italia, si capisce che non può essere sufficiente».
In che senso ritiene metropolitana l’istituzione da lei presieduta? «Noi siamo un’azienda metropolitana a tutti gli effetti ma fatichiamo ad essere identificati come Teatro Stabile: i veneziani ci associano solo al Goldoni, i padovani ci riconoscono ad incentivare il fatto che padovani e veneziani possano frequentare l’uno il teatro dell’altro ma la gente fa fatica. Viviamo le difficoltà di questo territorio in divenire sebbene quest’area per me sia già una grande città. E si badi bene queste difficoltà le riscontro anche nella gestione interna».
Quali difficoltà? «Sebbene noi siamo un unico ente con due sedi, a Padova e a Venezia, contrattualmente io non posso spostare i tecnici da una sede all’altra a seconda delle esigenze perché dovrei riconoscere loro una diaria pari a quella di una trasferta in giro per l’Italia. Eppure per me è solo una questione di mentalità. Io mi divido equamente tra Padova e Venezia e trovo che siano collegate molto bene, sarà che sono romana e queste distanze per me equivalgono al tempo che ci si impiega a spostarsi nel centro della Capitale».
A livello di produzione qual è il legame tra il Teatro Stabile ed il territorio? «Da cinque anni abbiamo avviato un programma di valorizzazione della drammaturgia veneta post-goldoniana. Personalmente reputo che dopo Goldoni siano venuti almeno altri quattro geni come Simoni, Palmieri, Gallina e Rocca. Con i loro testi, che utilizzano molto il dialetto, e con l’aiuto di giovani registi abbiamo realizzato un circuito itinerante che in questi anni è arrivato a superare le 5000 giornate/uomo di lavoro grazie anche alla co-produzione con Teatri Spa di Treviso e la collaborazione del Circuito Teatrale Arteven che è il più grande circuito a livello nazionale. Il successo è stato notevolissimo».
In quale modo secondo lei il teatro appartiene alla vita a all’identità del territorio? «Non è solo un fatto di pubblico, ma di partecipazione alla vita sociale. Il mio auspicio è di sviluppare tutta una serie di relazioni con il mercato perché un Teatro può essere utile in vari modi ed a vario titolo alla vita della città».
DI FEDERICO BACCIOLO
Arte e Cultura +
UN TEATRO METROPOLITANO
27 Aprile 2011