Lavoro +

«Ciò che diventa, era»

«Ciò che diventa, era»

M3_Aljamo_3Il segreto del successo dei fratelli Alajmo ristoratori veneti di fama internazionale, sta nell’idea di innovare tornando alle origini. E nel non accontentarsi mai.

Il Veneto sa produrre invidiabili eccellenze anche nella ristorazione e nell’alta cucina. Per chi lavora in questo ambito, il massimo e plastico riconoscimento di tale eccellenza, sono le ambitissime tre stelle Michelin, che la celebre guida rossa riconosce con estrema parsimonia e solo dopo una attenta verifica di conformità a requisiti qualitativi oltremodo rigorosi. Le Calandre è uno degli otto ristoranti italiani che possono fregiarsi delle tre stelle Michelin e mantiene da anni una presenza stabile nella classifica dei “The World’s 50 Best Restaurants”. Artefici di tale successo, cuore e mente del celebre ristorante di Sarmeola di Rubano e di altri tre locali, di cui diremo a breve, sono Raffaele e Massimiliano Alajmo, padovani, provenienti da una famiglia di ristoratori di cui rappresentano la terza generazione. Forse la più fortunata a giudicare dai risultati. Raffaele, classe ’68, manager, designer e sommelier dell’azienda di famiglia, ha saputo interpretare al meglio il concetto di ristorazione metropolitana, inteso come capacità di coniugare inventiva ed innovazione con la qualità del cibo e del servizio offerto. Massimiliano, classe ’74, dopo un apprendistato maturato nelle cucine dei più grandi chef europei, nel 2002 diventa il più giovane chef al mondo ad aver ottenuto le tre stelle Michelin. Sempre insieme, “Max” e “Raf”, trasformano un piccolo ristorante di provincia in uno dei più rinomati ristoranti italiani e del mondo. Oltre a Le Calandre, la famiglia Alajmo gestisce il ristorante La Montecchia a Selvazzano, il Quadri che è l’unico ristorante che si affaccia in Piazza San Marco a Venezia ed il Caffè Stern a Parigi. Oggi il gruppo che fa capo alla famiglia Alajmo, comprende un centinaio di collaboratori e una decina di aree di attività. Un impegno considerevole per i due affiatati fratelli padovani, con i quali, nell’intercapedine temporale tra una sfilza di appuntamenti, abbiamo parlato del loro modo di intendere la grande ristorazione metropolitana.
Massimiliano Alajmo, che cosa distingue un bravo chef da uno chef di livello internazionale, tale da meritare le tre stelle Michelin? «Questa è una domanda che andrebbe fatta alla guida Michelin che dà le tre stelle a qualcuno dicendo che vale il viaggio e che quindi lo porta a livello internazionale. Per quanto mi riguarda ho sempre fatto il mio lavoro e ho avuto questo riconoscimento di cui sono onorato, però la distinzione, più che quella banale del mangiar bene o mangiar male in un posto, non so darla».
Per il suo ristorante lei ha in testa un tipo ben preciso di cucina sia pure con tutte le variabili possibili, oppure differenti modi di mangiare, insomma cosa si mangia alle Calandre? «Alle Calandre si mangiano dei piatti classici e dei piatti stagionali. La nostra cucina è in continua evoluzione, facciamo delle ricerche sulla leggerezza, sulla digeribilità, sulla salute, sulla salubrità degli ingredienti; quindi l’evoluzione è sempre legata alla ricerca dell’ingrediente e la sua messa in valore, e non si fermerà mai»
M3_Aljamo_2
 
Ci spieghi come è avvenuta la sua formazione di chef, il suo apprendistato. «Non posso dire di essere nato in cucina, ma c’ero molto vicino. Sono sempre stato vicino a mia mamma che è stata la nostra prima chef, perciò le prime radici e le prime informazioni le ho avute da lei e poi da mio zio Giovanni, anche lui chef. Inoltre, durante la scuola alberghiera ho sostenuto degli stage estivi: il primo da Alfredo Chiocchetti che è stato il mio primo maestro fuori dalla famiglia, che aveva il ristorante “Ja Navalge” a Moena, a seguire sono stato da Marc Veyrat quando aveva il ristorante ad Annecy, e per ultimo da Michel Guérard a Eugénie-les-Bains. Tre posti completamente diversi, che mi hanno dato una visione di cucine completamente diverse: tre grandi maestri»
Cosa significa per lei inventare ed innovare in cucina? Si può innovare all’infinito? «È una domanda difficile. Inventare, innovare, sono verbi utilizzati moltissimo, ma non sono così facilmente collocabili. In cucina si possono inventare o provare degli accostamenti nuovi, delle sensazioni nuove, delle cotture nuove. Credo di sì, che si possa innovare all’infinito, perché come crescono la tecnologia, i sistemi di cottura, le ricerche, di pari passo si creano nuove esigenze, nuove possibilità di cucinare; con l’apertura dei confini il mondo è diventato piccolissimo si scoprono nuove spezie, nuovi ingredienti. Infinito è una parola grandissima però credo che ci sia molto spazio per provare cose nuove e non solo. A volte tornare alle origini risulta una novità. Appunto, il nostro motto è: “cioè che diventa, era”».
Cosa ne pensa dell’inflazione di chef e di programmi di cucina in televisione? È un bene o un rischio? «Non amo i cuochi in televisione, mi piacciono in cucina o nei ristoranti. Credo che sia un rischio perché si dà una mala informazione ai ragazzi. Mi fermo qui».
Tra i tanti che prepara ai suoi ospiti, qual è il suo piatto preferito, quello che prepara più volentieri? «Pane e olio».
Si parla spesso di cucina creativa: quali sono gli ingredienti più originali che vengono utilizzati nella sua cucina? «L’acqua. Più originale di quella?»
Pensa di concedersi un “buen retiro” un giorno, oppure uno chef di alto livello come Lei non smetterà mai di lavorare? «Sono già in “buen retiro”. Le Calandre è il mio nido».
Raffaele Alajmo ripercorriamo un po’ la storia della vostra attività. Come nasce e come si sviluppa? «La storia è un pochino lunga, solo questa è una domanda che richiede parecchio tempo. La sintetizzo: siamo la terza generazione dentro i muri delle Calandre, prima c’era il nonno Vittorio, che è il papà della nostra mamma Rita. Dopo il nonno Vittorio sono subentrati i nostri genitori e adesso siamo noi, terza generazione diretta. è cresciuta piano piano e penso che crescerà ancora. In questo momento abbiamo circa dieci attività distinte, 130 dipendenti, abbiamo come sede Padova, Venezia e Parigi. Diciamo che il grande cambiamento è stato quello di portare un’attività di famiglia ad un’attività aziendale: questa è una trasformazione che è tutt’ora in corso, che comporta l’inserimento di più persone e più modelli e livelli decisionali»
Ad un certo punto arrivanoM3_Aljamo_1 le tre stelle Michelin. È stato un obiettivo pianificato con determinazione? E qual è stato il segreto di questo successo, insomma come si fa oggi a diventare ristoratori di livello internazionale? «Se fosse stato un obiettivo pianificato, direi che il risultato a cui siamo arrivati significa che la determinazione era giusta. In realtà questa non riguardava il riconoscimento, bensì il fare le cose fatte bene e in questo la Michelin ci ha gratificati fra i primi in assoluto. Quindi il segreto probabilmente è stato quello della determinazione nostra nel cercare di non accontentarsi e, invece, fare le cose al massimo; e qualcuno l’ha riconosciuto».
Oltre a Padova, la vostra attività è presente a Venezia e Parigi. Due città simbolo di un’Europa immersa nell’arte, colta ed elegante. Quindi gestirci un locale presuppone un’idea non banale della ristorazione. Che tipo di lavoro ha svolto? «Nessun tipo di lavoro. Diciamo che l’espressione dei nostri ristoranti e delle nostre proposte segue la nostra evoluzione. Siamo noi i primi clienti dei nostri locali, siamo esigenti; non posso dire che siamo intrisi d’arte e di cultura però ci proviamo e in ogni caso viviamo a contatto con tantissime persone che si occupano di arte e di cultura, frequentiamo dei bei posti e certe cose poi alla fine vengono naturali».
La cucina di qualità deve essere necessariamente molto costosa? «Assolutamente no. I ristoranti che hanno un servizio di alta qualità sono costosi e questo perché costa la manodopera, il personale, il servizio. è un po’ come se lei mi chiedesse “Dormire in un albergo è sempre molto costoso?” dipende se si trova solo il materasso e le lenzuola o se ci sono tutta una serie di altri servizi: i ristoranti sono esattamente la stessa cosa»
Avete anche pubblicato un libri intitolato “Fluidità”. Di cosa tratta? «È il nostro secondo libro, la continuazione del nostro dialogo iniziato su “In.gredienti” e che quindi porta una parte descrittiva che racconta le nostre esperienze, la nostra crescita, sia aziendale che professionale e l’evoluzione delle ricette della cucina e della filosofia di Massimiliano»
E poi avete creato una vostra linea di prodotti alimentari…«Sì, è stata una selezione di ingredienti di base della cucina di Massimilano che è in divenire. Tutti gli elementi che possono servire a lui per cucinare in qualsiasi parte del mondo e che si possa portare via»
è partito Expo, il cui tema è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Il Veneto ha molto da dire in questa manifestazione internazionale? «Credo di si, come credo molto nel Veneto in quanto è una delle Regioni italiane con un’offerta sia turistica, che gastronomica e culturale, così ricca e varia da non poter non essere una delle Regioni che meglio si esprimerà per l’Expo».
Lei coltiva una grande passione per i vini. «Si, questa è la classica domanda, perché in un ristorante lo chef è facilmente definibile, mentre chi lavora in sala, o è un sommelier o non si sa cosa sia. Se è questo a cui si riferisce io sono il “non si sa cosa sia”. La passione per i vini ce l’ho, così come ce l’ho per la musica, per l’abbigliamento, per l’architettura, per il design, per la cucina… curiosità sempre»
Dieci aree di attività, cento collaboratori: come fate a seguire tutto questo? «In realtà sono 130 i collaboratori in Italia e 18 all’estero. Come facciamo a seguire tutto questo? Con la delega: inserendo quindi a vari livelli dei collaboratori con delle responsabilità in più, che portano avanti un’idea, un progetto che è condiviso fra tutti».
Come è maturata la decisione di investire sul caffè Quadri di Venezia? Con quali obiettivi? «L’investimento su Caffè Quadri fa parte del nostro piano di internalizzazione. Venezia è una vetrina del mondo e la più internazionale dell’Italia».
In futuro pensate a nuove acquisizioni o ad aprire nuovi ristoranti? Quali peculiarità dovranno avere rispetto a quelli che gestisce ora? «E chi lo sa…Voglia di crescere ne abbiamo sempre. Curiosità non ci manca. Si vedrà».