Il tecnico padovano, che nella sua carriera ha ottenuto grandi successi in campo nazionale e internazionale, spiega il suo profondo legame con il mondo agreste a cui non ha mai rinunciato
Nevio Scala è un uomo di calcio: oltre 250 presenze in serie A da giocatore e 20 anni da allenatore, in Italia e all’estero. Ma, a differenza di molti suoi colleghi, il suo sogno, quello vero, non è mai stato cucirsi lo scudetto sul petto, alzare al cielo una Coppa dei Campioni o vincere un Mondiale. No, il sogno di Nevio Scala è sempre stato quello di fare l’agricoltore e lavorare la terra nel suo paese d’origine, Lozzo Atestino, ai piedi dei Colli Euganei. «Il calcio è stato il mio lavoro e mi ha permesso di raggiungere i miei obiettivi, ma la mia vita è la terra» ha dichiarato recentemente, in più occasioni. Questo non gli ha impedito di entrare nella storia del pallone, non tanto come giocatore (1 Scudetto, 1 Coppa delle Coppe e 1 Coppa Campioni è, comunque, il suo prestigioso palmares), quanto come principale artefice di quel miracolo sportivo che è stato il Parma di metà anni Novanta, portato dalla serie B fino ai vertici del calcio italiano ed europeo. Una storia insolita, ma proprio per questo ricca di fascino.
Mister Scala, dai campi di calcio a quelli di terra, che rappresentano oggi la sua occupazione principale. Com’è nata questa scelta? «Sin da bambino ho sempre sognato di avere un’azienda agricola e di fare l’agricoltore e grazie al calcio ho realizzato questo sogno. Negli anni sono riuscito ad acquisire e ampliare l’azienda che mio padre aveva in affitto quando ero piccolo. Oggi la gestisco insieme a mio fratello e produciamo mais, frumento, barbabietole, pomodoro, tabacco e altri prodotti. È un lavoro e insieme una passione, che mi dà tante soddisfazioni, anche se oggi fare l’agricoltore e vivere di agricoltura non è facile. Io sono stato fortunato perché grazie al calcio ho avuto le risorse per andare avanti, ma con l’agricoltura non si diventa ricchi e per chi oggi vuole iniziare da zero è davvero dura».
Nessuna nostalgia della panchina? «Ogni tanto ci penso, ma sono soddisfatto della mia vita attuale. Certo, non mi sento di escludere a priori un ritorno al mondo del calcio, ma dovrebbe arrivare una proposta seria e accetterei solo se avessi la possibilità di lavorare in un ambiente sereno o magari di vivere una nuova esperienza all’estero. Io però non sono come altri allenatori che senza panchina diventano matti. La mia mente è sempre stata alla mia campagna, ai miei cani, al mio trattore, alle mie passioni originarie e ora che posso godermele a tempo pieno, sono felice. Forse questo mi ha dato la possibilità di non subire lo stress in maniera eccessiva, come vedo capitare tuttora a molti colleghi».
Il legame con la sua terra d’origine va al di là dell’azienda agricola che oggi gestisce. Ha sempre avuto un rapporto molto stretto con Lozzo Atestino, dove tornava spesso sia da calciatore che da allenatore. «Sì, assolutamente. Oltre ad essere molto legato ai miei genitori, cui devo molto, lo sono sempre stato anche alla mia terra. Appena potevo, un giretto sul mio trattore lo facevo volentieri, come lo faccio adesso. E da allenatore mi serviva come valvola di sfogo per lo stress che il calcio ti fa accumulare durante la settimana. Forse il successo che ho avuto è dovuto anche alla filosofia che mi ha sempre accompagnato: il calcio è una professione che ti dà grande visibilità, successo e soddisfazioni, ma non è mai stata la mia unica ragione di vita».
Parliamo di calcio. Quello veneto non sta attraversando un periodo felice: esclusa Verona, che ha due squadre in serie A, Padova, Treviso, Vicenza e Venezia sono dovute ripartire dalle serie minori: «È una grande delusione, soprattutto per Vicenza e Padova, che sono due realtà cui sono molto vicino e che meriterebbero di stare dignitosamente almeno in serie B. Ma servono competenza, professionalità e programmazione, cose che forse nelle ultime gestioni sono un po’ mancate. Prenda il mio Parma, che era una “provinciale”: con Pastorello direttore e Ceresini presidente abbiamo stupito l’Italia spendendo pochissimo. L’aspetto economico in una società è importante, ma soprattutto servono le persone giuste al posto giusto e che sappiano scegliere i giocatori giusti. Io ho avuto la fortuna di trovarle a Parma, ma anche in Ucraina e in Germania. All’estero, poi, ho vissuto esperienze che mi hanno arricchito molto non solo dal punto di vista calcistico e, non posso negarlo, economico, ma anche umano».
«Forse il successo che ho avuto è
dovuto anche alla filosofia che mi ha
sempre accompagnato: il calcio è una
professione che ti dà grande visibilità,
successo e soddisfazioni, ma non è mai
stata la mia unica ragione di vita»
Lei è ricordato anche per aver lanciato molti giovani, tra i quali Gigi Buffon in quel lontano Parma – Milan del 1995. Giusto oggi puntare su di loro, anche in Nazionale, per rilanciare il calcio italiano? «Si deve puntare su di loro! Io la trovo una cosa normalissima: perché aspettare che un giovane bravo compia 22, 23 o 24 anni quando a 18 è già in grado di giocare in serie A? Se un ragazzo è valido, non importa quanti anni ha. Ma bisogna ricominciare dalle giovanili. L’allenatore è bravo quando riesce a far innamorare il ragazzino del pallone, ora facciamo il contrario e ci concentriamo solo sulla tattica. Quando un ragazzino si avvicina al settore giovanile gli parliamo già di linea, di fuorigioco, di raddoppio e sa che succede? Che si stufa e sceglie un altro sport. Dobbiamo tornare a far divertire i ragazzi».
Nevio Scala è nato a Lozzo Atestino, in provincia di Padova, il 22 novembre 1947. Ex centrocampista, in serie A ha giocato con le maglie di Roma, Vicenza, Fiorentina, Inter, Foggia e Milan, con il quale ha vinto 1 Campionato italiano, 1 Coppa delle Coppe e 1 Coppa dei Campioni. Da allenatore ha iniziato sulla panchina delle giovanili del Vicenza, per poi passare alla Reggina in serie B e nel 1989 al Parma. Con i ducali ha ottenuto subito la promozione in serie A, vincendo negli anni successivi Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Supercoppa europea e Coppa Uefa. Finita l’avventura sulla panchina degli emiliani e dopo una breve parentesi al Perugia, è stato tra i primi allenatori italiani a emigrare all’estero, tra Germania, Ucraina, Turchia, Russia. Nel 1997 ha vinto la Coppa Intercontinentale con il Borussia Dortmund e nel 2002 ha trionfato in Ucraina sulla panchina dello Shakhtar Donetsk conquistando Campionato e Coppa. L’ultima esperienza da allenatore risale al 2004/2005 in Russia con lo Spartak Mosca.
Come si vede Nevio Scala nel prossimo futuro: agricoltore o allenatore? «Il mio futuro è aperto a tutto, non ho priorità. Ma non ho rimpianti o rammarichi, solo bei ricordi. Se dovesse arrivare una proposta seria entro un paio d’anni, mi siederei a un tavolo ad ascoltarla. Ma ho anche una bellissima famiglia che mi reclama e io qui, nella mia campagna, sto benissimo». Nevio Scala, oggi, è un uomo sereno. Il suo sogno, in fondo, lo ha già realizzato.