A fianco delle numerose aziende vinicole che caratterizzano il nostro territorio metropolitano, grande successo hanno anche quelle che coprono la “filiera del vino”: dalle imprese che si occupano della costruzione di botti da più di 200 anni a chi invece si è inventato il riciclaggio dei tappi in sughero.
Nel nostro territorio metropolitano, a fianco della presenza di numerose aziende vinicole che lo caratterizzano, vi sono anche realtà imprenditoriali che hanno sviluppato il loro core business sulla “filiera del vino” riscuotendo successo su scala nazionale e internazionale. Una di queste realtà è la Garbellotto SpA, azienda specializzata nella realizzazione di botti, tini e barili in legno. Dire che questa realtà trasuda storia è eufemistico: nata infatti nel 1775 è una delle undici aziende italiane bicentenarie a vantare la conduzione attraverso i secoli da parte della stessa famiglia.
«Questa non è un’azienda a conduzione famigliare, ma una famiglia aziendale – esordisce Piero Garbellotto che assieme ai fratelli Piergregorio e Pieremilio rappresenta l’ottava generazione alla guida dell’azienda – ci sono operai che hanno preso il posto del padre e del nonno, che hanno vissuto l’azienda da bambini tanto quanto noi, crescendo e respirando questo mestiere che richiede manualità, ma anche grandissima esperienza e conoscenza del legname».
Non è però questo il segreto che ha portato quest’azienda, che conta di circa 70 dipendenti e 16 milioni di fatturato, ad avere segnato nel 2012 il miglior risultato della sua storia e nell’estate 2013 al superamento del budget dell’anno. Che sia un’azienda estremamente particolare lo si capisce visitandola. All’esterno enormi pallet di legname. Solo una parte, con caratteristiche estremamente precise, è utilizzato per le botti e viene lasciato ad asciugare all’esterno e non in essiccatoio, con tempi e modalità definiti, perché altrimenti non si otterrebbero legnami con le stesse capacità di ossigenazione e di aromatizzazione dei vini e dei liquori, mentre il resto viene venduto ai mobilifici. Alcuni dettagli colpiscono nella ricerca della perfezione. L’utilizzo di una paglia particolare, che si trova solo in laguna di Venezia, che funge da isolante e ossigenante tra un asse e l’altro, il braciere che viene acceso all’interno delle botti per tostare il legno in modo da ottenerne ulteriori profumi, le doppie curvature dei fondi studiate meticolosamente. Ricerca nel passato e nella natura che vede come contraltare macchinari realizzati e brevettati appositamente per ridurre i tempi di fresatura o le presse speciali per inserire i cerchi. Davanti a un’azienda così piena di apparenti contraddizioni chiediamo a Piero Garbellotto, 33 anni, qual è il segreto del successo crescita dell’azienda di famiglia? «Guardare avanti e correre dei rischi. Oltre quattro anni fa con i miei fratelli avevamo capito che si prospettava un periodo davvero duro e abbiamo pensato che dovevamo inventarci strategie nuove». Quali sono state? «Avevamo bisogno di guardare fuori dai confini nazionali per capire quali mercati potevano essere in espansione nel nostro settore. Abbiamo deciso di mettere a disposizione un budget importante per andare all’estero a promuoverci e per intraprendere nuovi rapporti commerciali, per capire cosa chiedevano i clienti. La divisione “grandi capacità”, ad esempio, è nata così per produrre tini di grandi dimensioni in grado di poter approcciare anche il mercato degli aceti sia in Italia che all’estero. Abbiamo anche investito nella ricerca: una collaborazione con l’Università di Udine ci consentirà di essere gli unici in grado di certificare il tipo di aromatizzazione che si ottiene da ogni botte».
Non subite la concorrenza di chi produce vasche in acciaio, in fondo sono più economiche e molto più facili da mantenere? «Con una minima percentuale di costo in più si ottengono risultati completamente diversi di ossigenazione e cessione di aromi, ma anche estetici. La cantina per un’azienda vinicola è il salotto in cui invitare gli ospiti con attenzioni architettoniche e di luce molto curate. Avere delle vasche in acciaio equivale a portare gli ospiti in cucina».
Progetti per il futuro? «Stiamo realizzando una nuova fabbrica molto più grande che ci potrà consentire varie possibilità di sviluppo. Insomma un ulteriore investimento ma senza dimenticare di restituire qualche cosa al territorio, come ci aveva insegnato nostro padre. Lo facciamo per esempio sponsorizzando assieme alle famiglie Maschio e Polo l’Imoco volley, la squadra femminile di Conegliano».
Un’altra azienda storica a conduzione familiare legata al mondo vitivinicolo che ha visto crescere il proprio successo anche in anni difficili, è la padovana Bonollo. Produttori di grappe e liquori il cui primo documento doganale ufficiale risale al 1908. Circa 60 dipendenti, oltre a 150 agenti un fatturato di 32 milioni di Euro. A Elvio Bonollo che gestisce “solo”come quarta generazione l’azienda, abbiamo chiesto quali sono le chiavi del loro successo scoprendo alcune affinità coi Garbellotto. La grande attenzione, la cura ai dettagli e la ricerca partendo dalla materia prima. La vinaccia, in questo caso, materiale solido e particolarmente deperibile che deve essere trasportato velocemente, ma con la massima cura per poter essere trasformato dalle mani dei maestri distillatori. La capacità dei Bonollo di capire che i gusti della clientela evolvevano e che necessitava un nuovo prodotto più vivace, più morbido con maggiore finezza, è stata un’arma vincente.
«Un’intuizione che ha portato a collaborazioni importanti con le università italiane e a pesanti investimenti in innovazione e ricerca fino a definire il Sistema Unico di distillazione Bonollo, un supporto tecnologico innovativo per chi deve creare questi capolavori che vede affiancati agli alambicchi, strumenti di misura e di analisi sempre più precisi e raffinati – spiega Elvio Bonollo – con l’obiettivo di consentire al maestro distillatore di dare il suo fondamentale valore aggiunto definendo vivacità, intensità e toni del prodotto. È nato un po’ così uno dei nostri must: la Grappa Of Amarone Barrique. Un prodotto più da degustazione tra amici, raffinato e intenso che ha, di fatto, spostato il target di consumo, non solo per fascia di attenzione, ma anche territorialmente andando d espandersi nel mercato del centro e sud Italia per i locali di alta gamma».
Anche una maggiore attenzione al packaging è stata importante? «La particolare bottiglia che si distingue per il fondo ellittico le sue spalle morbide, i materiali che viaggiano tra passato e futuro come il rame ad esempio, ha portato la grappa di Amarone Of a distinguersi e ci ha consentito di attivare azioni di brand extention per valorizzare tutta la produzione».
Interessante e innovativa realtà della filiera è anche la coneglianese Amorim Cork Italia, leader per la produzione nazionale di tappi di sughero che ha avviato un percorso etico coinvolgendo alcune cantine del Veneto e del Chianti classico. Di fatto si tratta di un’azione di riciclaggio dei tappi usati, attività a cui si sono affiancate non solo le imprese ma anche associazioni di sommelier. Le finalità non sono solo ecologiche ma legate anche alla raccolta fondi destinati a diverse Onlus attive nel territorio. L’azienda fondata nel 1870 con casa madre in Portogallo è giunta alla IV generazione di guida famigliare e si è sviluppata con sedi in tutto il mondo. In Italia fattura oltre 35 milioni e produce più di 350 milioni di tappi.
A rappresentarne il pensiero l’AD italiano Carlos Santos. «Bisogna dare un senso a tutto. Anche a un tappo. La responsabilità di impresa finisce solamente con la chiusura totale del cerchio. Se è possibile dare una nuova vita a un rifiuto allora Amorim deve essere il motore di questo processo, deve essere in prima linea per sensibilizzare il consumatore e le autorità competenti».