Il comportamento degli zebrafish suggerisce ai ricercatori delle Università di Pisa che la “risonanza motoria” tipica di questo gesto risalga a oltre 200 milioni di anni fa
Cosa accomuna esseri umani e pesci? Anche se verrebbe spontaneo rispondere “nulla”, in realtà non è così. E il punto di contatto individuato dagli scienziati è alquanto curioso: lo sbadiglio. Non solo. Oltre ad adottare il medesimo atteggiamento umano, gli zebrafish, piccoli pesci d’acqua dolce presi specificamente in considerazione dagli studiosi, si “contagiano” a vicenda. Un comportamento che finora era stato documentato solo in mammiferi e uccelli, lasciando credere che fosse esclusivo degli animali a sangue caldo con sistemi sociali evoluti. La recente scoperta di un team delle Università di Pisa, pubblicata sulla rivista scientifica Communications Biology, apre dunque nuovi scenari sull’origine di questa “risonanza motoria”, suggerendo che le radici del contagio potrebbero risalire a più di 200 milioni di anni fa.
Cosa si è scoperto con lo studio
Non solo gli esseri umani dunque, bensì anche i pesci, vengono contagiati dagli sbadigli dei loro simili. D’altra parte questa specie di pesci è nota per le sue capacità sociali e le somiglianze genetiche con l’uomo. I lori sbadigli, tuttavia, nulla hanno a che fare con il sonno, come invece spesso avviene per noi. Lo studio degli esperti l’ha dimostrato. Agli zebrafish protagonisti dell’esperimento è stata sottoposta la visione di altri loro simili che sbadigliavano. L’osservazione su come si comportassero ha portato a scoprire che la tendenza era quella di copiare l’atteggiamento con una frequenza doppia rispetto al video mostrato loro. Il particolare interessante emerso è che accompagnavano al gesto anche una sorta di stiracchiamento, definito “pandiculazione”. Questo è un comportamento noto in uccelli e mammiferi, che lo utilizzano per rispristinare l’attività neuromuscolare e precedere un cambiamento motorio come un cambio di direzione nel nuoto.
Lo sbadiglio di gruppo: uno strumento di coesione sociale
Viene da chiedersi: perché i pesci sbadigliano in gruppo? La professoressa Elisabetta Palagi del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa spiega che la domanda sui motivi per i quali gli zebrafish sono in grado di sbadigliare in gruppo potrebbe trovare una risposta nella natura sociale di questi piccoli pesci. “La sincronizzazione tra individui – sottolinea l’esperta – è fondamentale per i banchi di pesci. Coordinarsi significa aumentare la vigilanza, migliorare la ricerca del cibo e difendersi meglio dai predatori. In quest’ottica, il contagio dello sbadiglio si configura come un raffinato strumento di coesione sociale.
Un comportamento che porta indietro nel tempo
La sbadiglio che accomuna pesci ed esseri umani è una sorpresa proprio perché fino a questa scoperta si riteneva che questo comportamento non appartenesse agli animali a sangue freddo. Un altro tassello interessante dello studio delle Università di Pisa riguarda l’evoluzione di questo comportamento, che potrebbe risalire a moltissimo tempo fa. Come ha fatto notare Massimiliano Andreazzoli, uno dei ricercatori che ha lavorato alla ricerca, il contagio dello sbadiglio è un tratto ancestrale emerso nei primi vertebrati sociali e mantenuto da alcune linee evolutive fino a oggi. Il biologo ha anche prospettato un’altra possibilità e cioè che si tratti di un meccanismo emerso in modo indipendente in diverse specie, a testimonianza del ruolo cruciale che la coordinazione sociale ha avuto e ha tuttora nella sopravvivenza.
Il ruolo sentinella dello zebrafish nella ricerca su salute e ambiente
Lo Zebrafish o pesce zebra è un pesce d’acqua dolce di piccole dimensioni, dai 4 ai 6 cm quando è adulto, originario dell’Asia meridionale il cui nome prende spunto dalla caratteristica livrea che si compone di bande alternate orizzontali di colore blu metallizzato e bianco. E’ semplice da allevare in laboratorio e negli ultimi decenni è diventato uno degli organismi modello più utilizzati in diverse aree della ricerca sia di base, sia applicata. L’istituto Superiore di Sanità spiega che il suo genoma è stato completamente sequenziato e possiede più del 71% di geni ortologhi, vale a dire che derivano da un gene ancestrale e che si sono originati per speciazione, che codificano per proteine con funzioni uguali o molto simili rispetto a quelli umani. Questo permette di comprendere i meccanismi enzimatici e molecolari di malattie correlabili all’uomo partendo dallo studio di uno zebrafish.
Per le sue caratteristiche, lo zebrafish si dimostra particolarmente utile per rilevare gli effetti dell’esposizione a contaminanti ambientali e per individuare i diversi modi di azione con i quali le differenti sostanze chimiche agiscono sullo sviluppo embrionale dei vertebrati. Il suo ruolo nel monitoraggio ambientale è essenziale per garantire la salute degli ecosistemi e indirettamente quella umana. Lo zebrafish si è dimostrato anche un eccellente biondicatore per la valutazione della qualità idrica e per rilevare l’eventuale presenza di inquinanti chimici all’interno della colonna d’acqua o dei sedimenti. Il reparto Ecosistemi e Salute dell’Iss, impiegando in diversi test ecotossicologici gli stadi giovani di questo pesce, da anni si occupa di indagare gli effetti delle sostanze chimiche inquinanti sulla salute degli ecosistemi. Lo zebrafish trova impiego in numerosi studi e progetti come quello della valutazione dell’impatto dei farmaci veterinari sull’ambiente acquatico e quelli relativi alla qualità delle acque nel tratto urbano del fiume Tevere a Roma.
Silvia Bolognini