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Viet Tai Chi contro lo stress spaziale: la proposta italiana all’ASI

Viet Tai Chi contro lo stress spaziale: la proposta italiana all’ASI

Al convegno dell’Agenzia Spaziale Italiana, presentato un progetto di allenamento mentale per astronauti ispirato alle arti marziali orientali. In prima linea il Centro Thien Mon di Padova

La condizione mentale che si può provare all’interno di una navicella spaziale in orbita o in una base sperduta nell’Antartide sono esempi perfetti per illustrare una situazione di isolamento dalla quale può facilmente scaturire l’ansia.
Ma può comprendere benissimo queste sensazioni senza la necessità di spostarsi agli angoli del globo o al di fuori dell’atmosfera terrestre anche chi si sia sottoposto a una risonanza magnetica. E di certo non è differente, tra chi si trovi in un tubo per un esame medico o al centro di una spedizione a bordo di un velivolo extraplanetario, la necessità di riuscire a gestire le difficoltà.
E le arti marziali possono aiutarci in tal senso, come ha cominciato a considerare anche l’Agenzia Spaziale Italiana, che ha ospitato, in occasione della conferenza “Isolation 2025”, la presentazione del progetto di allenamento degli astronauti basato sulle tecniche di Viet Tai Chi illustrato dalla direttrice tecnica del Centro Vtc Thien Mon di Padova, Anna Campo.

La presentazione del progetto del Centro Thien Mon alla conferenza Asi

Le arti marziali nello spazio

“In Cina – spiega la maestra di Viet Tai Chi – le tecniche di Tai Chi sono già applicate regolarmente negli ospedali e si è già iniziato a pensarci anche per gli astronauti. Ma anche la Nasa ha degli studi a riguardo, per cui abbiamo pensato che anche noi europei dovessimo darci da fare. E, avendo la fortuna legata al fatto che il Viet Tai Chi, di cui si occupa specificamente il nostro Centro, sia ormai consolidato in Italia da oltre 40 anni, abbiamo provato a dare il nostro contributo, trovando una buona risposta da parte dell’Agenzia Spaziale Italiana”. “Abbiamo iniziato così – prosegue Anna Campo – una collaborazione che ci ha portato ora al convegno Asi per presentare una prima disamina di come questa arte marziale possa essere un’utile contromisura per le persone che lavorano in condizioni estreme, non solo all’interno di un’astronave ma per esempio anche in un sottomarino o in una stazione di ricerca antartica, illustrando la nostra idea di applicazione di queste potenzialità e lavorando insieme per l’individuazione degli strumenti da usare”.

Anna Campo con i maestri del Thien Mon formati con lei

Cos’è e come funziona il Viet Tai Chi

Per capire meglio il progetto, va prima conosciuta meglio questa arte marziale cinese che, tra le varie scuole nei Paesi in cui si è nei secoli diffusa, nel Centro padovano si pratica nella forma vietnamita, che è più vicina alla mentalità occidentale ponendosi obiettivi maggiormente a breve termine. Nata come arte marziale di difesa e autodifesa, all’insegna del concetto comune di “essere forti per essere utili”, il Tai Chi ha visto via via emergere le caratteristiche di pratica mirata per la salute, in cui corpo e mente sono presi in considerazione come uniti in maniera indissolubile, visto che uno agisce sull’altro e viceversa.
“Anche se il termine è inflazionato – commenta Campo – si tratta di una vera e propria visione olistica, in cui, oltre a corpo e mente, non va dimenticato anche lo spirito, in particolare per chi si trova in situazioni estreme come quelle nello spazio, dove sono normali difficoltà a livello di umore o nell’affrontare la solitudine. E il Viet Tai Chi ti consente di allenarti a priori a queste condizioni”.

Anna Campo con allievi e istruttori del Centro Thien Mon

Dalla pratica fisica alla mente

L’idea fondamentale è dunque quella che senza allenamento non si ottiene nulla. La formazione parte così dalla pratica fisica di lavorare sulla respirazione e sul coordinamento di questa con il movimento fisico. “In tal modo – riprende la maestra – già ci stanchiamo meno e ci concentriamo il doppio. Andando avanti, aspetto tipico questo del Viet Tai Chi, si associa poi a ciascun movimento una frase, con significato filosofico, come una sorta di parte di un unico poema. Si parla, tecnicamente, di “forme”, in cui via via ci si abitua a pronunciare o a pensare alla frase specifica quando si esegue la serie di movimenti collegati. A forza di associare queste frasi motivazionali ai movimenti, esse diventano parte di noi anche al di fuori della pratica in palestra, aiutandoci ad affrontare con un atteggiamento più costruttivo e sereno anche le situazioni della vita di tutti i giorni”. Tornando allo spazio, o alle situazioni di limitata mobilità, è quindi proprio il pensiero, collegato alla frase, che ci ricorda le sensazioni collegate, regolando la respirazione e permettendo il rilassamento.

Il progetto

Si tratta di tecniche che sono state mutuate dalla tradizione orientale anche dalle moderne scuole psicologiche, per esempio attraverso le pratiche di training autogeno. Nel progetto specifico, l’obiettivo è quello di riuscire a creare dei protocolli che per chi ha bisogno di superare i momenti di difficoltà.
“Nel corso dell’incontro a Isolation 2025 – ricorda Anna Campo – una delle cose che sono emerse in maniera più evidente sono lo stress e l’ansia da prestazione, per esempio nel mondo della Marina, dove l’errore umano non è concesso. Noi proponiamo esercizi e pratiche di base, più alcune specifiche per determinate situazioni, ma la soluzione, in questi casi, è quella di riconoscere prima di tutto la situazione e poi di prendersi qualche secondo di tempo per risistemarsi mentalmente. Pensiamo però che il Viet Tai Chi possa veramente alleggerire anche una più ampia serie di problemi che stanno emergendo”. Essendo stata lanciata la proposta in un ambito scientifico, ovviamente molte domande poste alla fine dell’incontro hanno riguardato la misurabilità degli effetti. “Il mondo orientale – conclude la direttrice – si occupa molto poco di questi aspetti. Per questo, noi maestri cerchiamo collaborazioni per trovare il modo di effettuare tali misurazioni, per esempio testando i livelli di cortisolo in situazioni di stress. E, a tal fine, abbiamo già iniziato a contattare il mondo universitario”.

Alberto Minazzi

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