Uno studio danese quantifica l’incidenza della qualità del liquido riproduttivo sulla longevità maschile
La qualità dello sperma è associata alla durata della vita degli uomini?
La domanda che si è posta un team di ricercatori del Copenhagen University Hospital-Rigshospitalet è solo apparentemente bizzarra. Anche perché, come testimoniano i risultati dello studio, appena pubblicato sulla rivista “Human Reproduction”, la risposta è inequivocabilmente positiva.
Infertilità, malattie e durata della vita
L’esito della ricerca non deve sorprendere, in quanto, come sottolinea lo stesso studio, era già stato suggerito che l’infertilità maschile e la qualità dello sperma potessero essere indicatori di morbilità e, di conseguenza, di mortalità, anche se finora non era stato valutato a fondo il ruolo giocato dalla malattia sottostante presente nel soggetto al momento della valutazione della qualità del liquido riproduttivo. “La maggior parte degli uomini infertili – sottolinea lo studio – si presenta senza grandi comorbilità al momento della loro valutazione della fertilità, poiché sono ancora relativamente giovani”. Normalmente, questi esami vengono infatti effettuati quando una coppia ha difficoltà a concepire. “Ma la rilevanza per la salute pubblica della qualità dello sperma – aggiungono i ricercatori – può estendersi oltre la fertilità e la riproduzione” ed “è ben noto che a livello di gruppo, gli uomini infertili hanno più comorbilità al momento della valutazione della fertilità rispetto agli uomini fertili comparabili”.
Un “tesoretto” da 2,7 anni di vita
Lo studio si è allora posto l’obiettivo di determinare l’associazione tra qualità dello sperma e mortalità e valutare l’impatto della salute dell’uomo prima della valutazione della qualità dello sperma. E il risultato a cui si è pervenuti è che “gli uomini con un numero totale di spermatozoi mobili superiore a 120 milioni potrebbero aspettarsi di vivere 2,7 anni in più (80,3 contro 77,6, ndr) rispetto agli uomini con un numero totale di spermatozoi mobili superiore a una forbice tra 0 e 5 milioni”.

Lo studio
Per ottenere questa quantificazione, i ricercatori si sono basati sulle valutazioni della qualità dello sperma (volume, concentrazione e proporzione di spermatozoi mobili, cioè in grado di muoversi e nuotare, e morfologicamente normali) di 78.284 uomini che si sono rivolti al laboratorio pubblico di analisi dell’area di Copenaghen, in Danimarca, tra il 1965 e il 2015.
I dati sono stati quindi rapportati alla mortalità verificatasi nel corso del seguente follow-up, durato in media 23 anni, nel corso del quale si sono verificati 8.600 decessi.
La lettura dei risultati e le prospettive
All’interno del campione complessivo, 59.657 uomini avevano consegnato i propri campioni di sperma tra il 1987 e il 2015: un periodo per il quale erano disponibili anche ulteriori informazioni, in particolare sul loro livello di istruzione e sulle malattie precedenti alle analisi. In ogni caso, sottolinea lo studio, avendo a disposizione grazie ai numeri elevati del campione l’intera gamma di qualità dello sperma, da molto buona a completamente priva di spermatozoi mobili, “tutti i parametri dello sperma erano associati negativamente alla mortalità in modo dose-risposta sia nella popolazione totale che nella sottopopolazione più recente e l’aggiustamento per i livelli di istruzione e le diagnosi precedenti non ha cambiato le stime in quest’ultimo”. Non è stato in altri termini possibile spiegare le associazioni sulla base di questi ulteriori parametri. “Tuttavia – si conclude – trovare biomarcatori rilevanti per identificare i sottogruppi di uomini a maggior rischio sarà fondamentale per avviare strategie di prevenzione pertinenti”.
Alberto Minazzi