La preoccupante scoperta di ricercatori americani: le particelle di micro e nano plastiche costituiscono ormai lo 0,5% dell’organo umano
Volendo scherzarci sopra, la domanda “ma cosa hai in testa?” può assumere un nuovo significato. Ma c’è poco da ridere.
Perché i risultati di uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori dell’Università statunitense del New Mexico, appena pubblicati sulla rivista Nature Medicine, hanno evidenziato un progressivo aumento delle particelle di micro e nano plastiche all’interno del cervello umano, che ormai avrebbero raggiunto quantità pari a un cucchiaino.
Il nostro organo, dunque, risulterebbe oggi composto di materia cerebrale solo al 99,5%. E il restante 0,5% di plastica potrebbe avere pericolosi effetti sulla nostra salute. Per esempio, pur servendo ulteriori studi per trovare eventuali nessi causali, l’accumulo di microplastiche è risultato 6 volte più alto in caso di diagnosi documentata di demenza.
Micro e nano plastiche nell’organismo umano
Le moderne tecniche per rilevare la presenza di microplastiche ambientali e nanoplastiche nei tessuti ne hanno confermato la presenza nel cervello, nel rene e nel fegato, dopo che precedenti studi avevano già identificato particelle plastiche in polmoni, intestino, sangue, midollo osseo, placenta (con nessi nei parti prematuri), latte materno, testicoli e sperma. Il particolato trovato nel cervello, con dimensioni tra 500 µm e 1 nm di diametro, è lo stesso che ha aumentato esponenzialmente la presenza nell’ambiente nell’ultimo mezzo secolo, inquinando perfino l’Everest o gli oceani.
A formare questi depositi, spiega lo studio, è principalmente il polietilene, ovvero il più semplice dei polimeri sintetici e la più comune fra le materie plastiche. Un materiale usato, per esempio, per fabbricare sacchetti di plastica o contenitori di vario tipo. E le proporzioni di polietilene, aggiunge l’abstract del lavoro, sono ospitate dai tessuti cerebrali più che dagli altri organi. Attraverso il microscopio elettronico, è stato possibile notare che questi materiali “si presentano in gran parte come frammenti simili a frammenti su scala nanometrica”.
L’aumento negli anni dell’accumulo delle microplastiche nel cervello umano
I ricercatori hanno lavorato su campioni di fegato, rene e cervello umano di 52 persone decedute tra il 2016 e il 2024, confrontandoli poi con ulteriori campioni di tessuto cerebrale da decessi tra il 1997 e il 2013.
Le concentrazioni di plastica, è emerso, non sono state influenzate dall’età, dal sesso, dalla razza/etnia o dalla causa della morte. L’anno del decesso è invece risultato un fattore significativo, con una crescita delle microplastiche nel tempo sia nel fegato che nel cervello.
In particolare, si è registrato un aumento della massa di plastica nel cervello di circa il 50% negli ultimi 8 anni.
Le concentrazioni di microplastiche del cervello sono risultate in generale superiori, fino a 7-10 volte, rispetto a quelle trovate in reni e fegato, ma comparabili ai dati più recenti relativi alle placche carotidi. L’obiettivo cui mirava lo studio era quello di cercare di chiarire meglio la distribuzione tra i vari tessuti e la dose interna delle microplastiche negli esseri umani.
E la conclusione alla quale sono arrivati i ricercatori è dunque che “i dati attuali suggeriscono una tendenza all’aumento delle concentrazioni di micro e nano plastiche nel cervello e nel fegato”.
La plastica nel cervello e il “caso demenza”
La misura in cui micro e nanoplastiche causano danni o tossicità all’uomo, che vi entra in contatto tramite cibo, acqua o aria, non è chiara. Studi recenti ne hanno associato per esempio la presenza nell’organismo a una maggior infiammazione della carotide e al conseguente aumento del rischio di eventi cardiovascolari come ictus e infarto.
Le microplastiche, ha detto un’altra ricerca, possono anche causare danni neurologici nel cervello dei topi, bloccandone i vasi sanguigni.
Nello studio dell’Università del New Mexico è stato invece osservato nei cervelli di persone alle quali era stata diagnosticata una forma di demenza un accumulo maggiore rispetto al resto del campione, con notevoli depositi nelle pareti cerebrovascolari e nelle cellule immunitarie. Si è così ipotizzato, pur senza ancora comprovati nessi causali, che segni distintivi della demenza come l”atrofia del tessuto cerebrale, la compromissione dell’integrità della barriera emato-encefalica possano aumentare le concentrazioni di micro e nanoplastiche nel cervello.
Alberto Minazzi