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Lisa Berkani, l’anima combattiva della Reyer che ha conquistato il basket italiano

Lisa Berkani, l’anima combattiva della Reyer che ha conquistato il basket italiano

Alla seconda stagione con la Reyer Venezia, è ormai una beniamina dei tifosi orogranata. Con lo scudetto e la Supercoppa 2024 in bacheca, si racconta tra passione per il basket, competitività, e determinazione

Lisa Berkani, guardia classe 1997 alla seconda stagione nella Reyer Venezia femminile, ha conquistato tanti cuori orogranata al Taliercio insieme a due trofei che hanno impreziosito la storia del club: lo scudetto e la Supercoppa 2024.
La chiamano “El Tornado”, un soprannome nato al campetto, e chiacchierare con lei non è banale.

  • Partiamo dalla domanda più facile: perché il basket?

Ho iniziato a giocare a cinque o sei anni, perché mio fratello Brice giocava anche lui. Da allora non ho mai più lasciato la palla, la porto con me letteralmente ovunque fin da quando ero bambina. Dormivo con la palla, ci andavo anche a scuola.

  • Tuo fratello il primo modello: ce ne sono stati altri?

Quando ero piccola ero pazza di Kobe Bryant. Più di ogni altra cosa però sono stata sempre molto competitiva e non stavo mai ferma. Ero un maschio mancato, volevo i capelli corti come mio fratello e gli altri ragazzini, avevo anche iniziato a giocare a calcio. Ero anche bravina.

  • Un maschio mancato: sappiamo che ti piace misurarti in palestra anche con i maschi, perché?

Fin da quando ho iniziato, sia nel calcio che nel basket, volevo dimostrare di poter competere con loro. Inoltre mi piace molto guardare la pallacanestro maschile, non solo per il diverso livello di atletismo ma anche per le letture e situazioni di gioco. In questo senso ho sempre ammirato giocatori e giocatrici che giocassero soprattutto per vincere, al di là dello spettacolo. Nomi? Ragazze come Gabby Williams, Emma Meesseman, Maya Moore, Diana Taurasi, Brittany Griner… Vincenti, non solo spettacolari.

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  • A proposito di spettacolo: il tuo gioco è spettacolare ed estremamente riconoscibile. Tu cosa pensi?

Non voglio che si pensi a me come una specie di attrazione da circo. Non voglio esserlo, non gioco per questo. Chiaramente di questi tempi una clip sui social media gira molto più veloce del risultato di una partita, in pochi guardano tutto ma si accontentano di un highlight. Io vorrei che si parlasse di più di come difendo, perché lo adoro, così come adoro creare gioco per le mie compagne.

  • Parlavi dell’essere competitiva, per questo ti piace difendere?

Sì, perché mi dà molta energia anche per essere più efficace in attacco. Inoltre se so di affrontare un’avversaria molto forte, sapere di averla limitata o di averle reso la vita particolarmente difficile è una cosa molto gratificante per me. È un altro modo di cercare di dimostrare di essere la più forte.

  • Sei a Venezia ormai da un anno e mezzo: quello che hai trovato è ciò che immaginavi?

In realtà non avevo aspettative particolari. In passato me ne creavo e spesso sono rimasta delusa. Della bellezza di Venezia non devo certo spiegare nulla, la cosa più positiva per me è che penso di aver incontrato belle persone.

  • Oltre al basket, alla Reyer ti sei fatta conoscere anche per il tuo stile, outfit compreso. È una delle tue passioni?

La moda mi è sempre piaciuta. Non so perché ma è stato sempre così, ho dovuto chiedere a mio fratello da dove venisse questa passione e mi ha detto che fin da bambina ho sempre cercato di avere uno stile particolare, nonostante la nostra infanzia non sia stata affatto facile e con pochi mezzi a disposizione. Oggi guardo sempre come si vestono giocatrici e giocatori, ma mi piacciono anche i look molto eleganti. Quando vado a cena fuori mi vesto sempre come se dovessi andare all’Eliseo, e che importa cosa pensano gli altri? Mi fa stare bene.

  • Un anno e mezzo di Reyer vuol dire anche un anno e mezzo di Italia: cosa rappresenta per te?

Oggi mi ci sento a casa. A Venezia ho trovato i miei posti dove andare, i ristoranti in cui mi piace cenare con le altre, il mare al Lido o a Jesolo. Mi rasserena, anche d’inverno. Inoltre mi piace andare a vedere partite in giro, ogni volta che posso, ed è sempre l’occasione per vedere città diverse o conoscere persone nuove e interessanti.

  • Torniamo allo sport. Basket ma anche calcio nel tuo passato in campo e nel tuo presente da appassionata. Con Mike James e Kylian Mbappé come personaggi preferiti, giusto?

Nel basket Mike James per me fa veramente storia a sé, il mio preferito per distacco. Mi piacciono però molte altre guardie di altissimo livello come Shane Larkin, TJ Shorts, Stephen Curry, Damian Lillard, Luka Doncic… Nel calcio, è vero, adoro Mbappé: da bambina volevo essere come Zinedine Zidane, mi piaceva anche Didier Drogba, poi crescendo ho conosciuto la storia di Mbappé e mi ci sono rivista in tante cose, anche se naturalmente in proporzione lui è cento volte più forte di me. Mi ha colpito una sua intervista in cui diceva che non basta avere talento, serve anche il giusto timing nell’incontrare le persone giuste al momento giusto. E un po’ di fortuna.

  • Non è un discorso un po’ fatalista?

Potrebbe esserlo, ma io non lo sono. Ovviamente sono consapevole che prima di arrivare a parlare di piccoli dettagli che fanno la differenza bisogna prima fare molti passi da soli”.

  • Parli di basket con una passione incredibile: non corri il rischio di esagerare, di non avere spazio per altro?

Capisco la domanda, ma per me guardare una partita in tv o dal vivo, giocare al campetto o allenarmi da sola è come andare in terapia. Sono cose che mi permettono di conservare l’aspetto più puro e genuino del gioco, senza le complessità della vita da professionista. Quindi no, non corro il rischio di un ‘burnout’, anzi, quando smetterò di giocare continuerò a coltivare la mia passione nello stesso modo.

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  • Parli spesso con la stessa passione di tuo fratello Brice, al quale sei molto legata.

Assolutamente. Lui è molto diverso da me, ha dei ritmi molto più compassati, insegna matematica, a scuola era tra i ragazzi più dotati. Sicuramente è molto più riflessivo rispetto a me, formiamo un bel mix.

  • Tornando al campo, all’essere competitiva: che rapporto hai con la sconfitta?

Ora va molto meglio, prima era un disastro. Piangevo ad ogni sconfitta, se perdevo giocando male poteva non bastarmi una settimana per riprendermi. Ora riesco ad accettarla meglio, cerco di vederla sempre come una possibilità di crescita, soprattutto però se le avversarie sono state oggettivamente migliori. Se si perde per demeriti propri allora no, l’accetto poco.

  • E con la vittoria?

Io voglio vincere sempre, anche contro me stessa quando tiro da sola. Quando vinco mi sento potente, mi sento ripagata di mesi di lavoro, provo grande soddisfazione. Vincere ti avvicina o ti fa raggiungere obiettivi collettivi e individuali, ma la cosa più bella è vedere le persone felici, anche perché riesci a capire chi è davvero genuino e chi non lo è anche nella gioia di una vittoria. Poi adoro le persone, è bellissimo vedere ragazzini che ti vengono incontro felici per una foto o semplicemente per un sorriso.

  • Il tradizionale giro di campo a fine partita è l’occasione ideale allora.

Sì, tranne se perdiamo. In quel caso preferisco uscire dal campo e non far vedere alle persone una parte di me che non mi piace mostrare. Preferisco deludere per la mia assenza che per un mio comportamento sbagliato.

  • Se ripensi alla bambina Lisa Berkani, assomiglia a quella che sei oggi?

No, penso di essere cambiata molto.

  • In che cosa pensi di essere cambiata?

Non accettavo gli errori, mai. Dopo uno sbaglio avrei potuto lanciare una sedia e spaccare tutto. Avevo fretta di riuscire, di dimostrare di essere migliore di tutti. Ora mi sento più serena e sono riuscita ad accettare meglio certe situazioni.

  • Riformulando, sei diventata la Lisa Berkani che speravi?

Assomiglio molto a ciò che volevo diventare. La mia infanzia è stata molto molto complicata, ovviamente non penso di essere perfetta e mi piacerebbe migliorarmi sempre, senza cambiare la mia natura.

Pietro Scibetta

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