Il rapporto tra tasse e Pil rimane stabile nel 2023 al 42,8%, ma il nostro Paese risale dalla 5^ posizione del 2022
Tra i 26 Paesi aderenti all’Ocse, solo in Francia (43,8%) e in Danimarca (43,4%) la pressione fiscale è superiore a quella dell’Italia, sulla base dei dati provvisori del 2023, quando il rapporto tra tasse e Pil è rimasto stabile al 42,8%.
Lo evidenzia l’indagine Revenue Statistics 2024, ricordando però che nel 2022, in questo caso basandosi su dati definitivi, con lo stesso rapporto il nostro Paese si era posizionato al 5° posto, dietro alla Francia (che guidava col 45,8%), la Norvegia, l’Austria e la Finlandia.
Per quanto proprio i redattori dell’indagine ricordino che “un rapporto tasse/Pil più elevato non significa necessariamente che l’ammontare delle entrate fiscali sia aumentato in termini nominali o addirittura reali”, il peso delle imposte che paghiamo è dunque al di sopra della media Ocse attestata nel 2023 al 33,9%.
Le entrate fiscali in Italia
Riguardo all’Italia, l’indagine ricorda che il rapporto tra entrate fiscali e Pil era del 42,5% nel 2021 e del 40,5% nel 2000.
Nel 2022, la quota maggiore sul totale delle entrate fiscali nel nostro Paese era rappresentata dai contributi di previdenza sociale (30,5%), seguite dalle imposte sul reddito delle persone fisiche (25,5%), dall’Iva (16,5%) e dalle altre imposte sui consumi (11,2%).
A completare il quadro, il 6,7% delle imposte sul reddito delle società, il 5,7% delle imposte sulla proprietà e il 3,9% di tutte le altre imposte.
Quanto poi all’attribuzione delle entrate fiscali ai sottosettori delle Amministrazioni pubbliche, il 58% va al Governo centrale, il 30,5% ai fondi di previdenza sociale, il 10,9% alle Amministrazioni locali (con l’Italia tra i 6 Stati in cui la quota è aumentata di oltre il +5% dal 1975 al 2022) e lo 0,6% a quelle sovranazionali.
Il rapporto tra tasse e Pil nei Paesi Ocse
Nel 2023, sottolinea l’Ocse, i Governi dei Paesi che aderiscono all’organizzazione hanno cercato di alleviare il peso del costo della vita, mantenendo sostanzialmente invariato il livello medio delle entrate fiscali.
La pressione fiscale media è stata così inferiore del -0,1% rispetto al 2022, quando si era registrato in -0,04% dal 2021, pur risultando superiore del +0,5% al dato pre-pandemico, visto che nel 2019 era al 33,4%.
E’ sempre il Messico (17,7%, in risalita dal 16,8%) ad avere quella più bassa.
L’Italia è l’unico Stato in cui, tra il 2022 e il 2023, il rapporto tra tasse e Pil è rimasto invariato, mentre il dato è risultato in aumento in metà dei Paesi, a partire dal +2,7% del Lussemburgo. Nei restanti 17 Paesi c’è stato al contrario un calo, più marcato in Cile (-3,2%) anche se, in media, le diminuzioni della pressione fiscale sono state maggiori degli aumenti. Lo scorso anno, aggiunge l’indagine, le entrate fiscali nominali sono aumentate in 31 dei 36 Paesi e il Pil nominale in 33 su 36.
L’evoluzione del rapporto fiscale e del peso delle diverse imposte
Revenue Statistics 2024 estende il confronto anche su un arco temporale più ampio.
Per esempio, tra il 1965 e il 2022 il rapporto medio tasse/Pil nell’area Ocse è aumentato dal 24,9% al 34%, con un primo picco (32,9% nel 1999) e un aumento pressoché costante dal 2010, quando era pari al 31,5%.
Sono 29 i Paesi (a partire dal Giappone, con un +8,2%) in cui la pressione fiscale è aumentata nei 12 anni fino al 2022 e 9 quelli in cui è diminuita (in Irlanda addirittura del -27,7%).
Quanto alle quote delle singole imposte sul gettito totale nel 2022, in media il 36,5% è arrivato da quelle su redditi e profitti (le entrate dell’Irpef, in particolare, sono scese a una quota del 23,6% contro il circa 30% degli anni ’80 dello scorso secolo), il 24,8% dai contributi sociali, il 5,3% dalle imposte sulla proprietà (nel 1965 toccavano il 7,9% medio), il 31,5% da imposte sui consumi (sempre nel 1965 la quota parte era del 38,4%).
Alberto Minazzi