Il commento del politologo ai dati di Emilia-Romagna e Umbria: “E’ l’unico rito rimasto sempre uguale, bisogna adeguare gli strumenti ai tempi”
In attesa dell’ultimo e definitivo aggiornamento, che sarà pubblicato solo dopo la chiusura delle urne alle 15 di oggi, 18 novembre 2024, il primo significativo risultato che emerge dalla tornata di elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria è l’ennesimo calo di chi si è recato alle urne.
Secondo i dati ufficiali, alle 23 di domenica 17, prima delle due giornate di voto, l’affluenza era infatti ferma rispettivamente al 35,7% e al 37,8%.
Segno della crescente disaffezione nei confronti della politica anche in due regioni in cui l’esercizio della volontà democratica è tradizionalmente alto?
Per il politologo Paolo Feltrin, già professore all’Università di Trieste, la risposta è “non necessariamente”.
“Una parte significativa di elettori – afferma con convinzione – non va a votare perché i politici non danno loro la possibilità di farlo. Siamo sicuri che la gente ce l’abbia su con i politici? I Paesi che hanno strumenti moderni di voto ci dicono che non è così”.
Il voto? Un “rito” di altri tempi
“Il voto – prosegue Feltrin – è ormai l’unico rito, basato su cabina, matita e scheda, che da due secoli è rimasto sempre uguale. Persino la messa, oggi, si può seguire in tv, su internet o su YouTube. Quindi, l’unica possibilità è adeguare il rito del voto alle necessità del 21° secolo. Altrimenti è inevitabile che sempre più gente non andrà a votare”.
Il politologo, al riguardo, ricorda che nel Mondo la politica si è in gran parte attrezzata in tal senso, con tutte le forme possibili. Consentendo per esempio il voto anticipato, anche di un mese (“perché dovrei rinunciare a una vacanza oppure a un funerale, al matrimonio o a una semplice giornata di lavoro per votare?”, si chiede), il voto postale o la possibilità di votare da dove ci si trova (“via internet, utilizzando una green card elettorale”), senza bisogno di dover rientrare nella propria città.
Gli esempi esteri da imitare
“Due anni fa in Germania – cita come esempio Paolo Feltrin – il 43% degli elettori ha votato per corrispondenza o sfruttando una delle altre modalità moderne concesse. E sono convinto che, se questo non fosse stato possibile, almeno metà di loro non sarebbe andata alle urne, facendo scendere anche lì l’affluenza a percentuali simili a quelle attuali in Emilia-Romagna”.
Altro esempio, le recenti elezioni negli Stati Uniti. “Su poco più di 150 milioni di votanti – ricorda – sono stati quasi 90 milioni coloro che hanno votato in maniera non classica. Anche in questo caso, la percentuale raggiunta, tra il 63% e il 64%, in caso contrario sarebbe scesa a meno del 40%”. Questo per concludere anche che “finché non sarà data alla gente la possibilità di andare a votare, non possiamo nemmeno sapere se non lo fa per lanciare un segnale di contestazione ai politici”.
“L’Italia può tornare a un’affluenza tra il 60% e il 70%”
Secondo il politologo, queste ragioni sono alla base di “meno di metà” delle astensioni.
“Utilizzando gli strumenti adatti ai tempi – è secondo lui la conseguenza – l’affluenza tornerebbe a mio avviso anche oggi attorno a una percentuale tra il 60% e il 70%. Che è la norma: guai se andasse a votare il 90% o più degli aventi diritto, perché questo avviene solo nelle dittature”.
“Siamo così sicuri – prosegue il ragionamento – che sia valida l’idea di fondo secondo cui erano “bei tempi” quelli in cui anche in Italia si raggiungevano questi numeri? In realtà, quelle percentuali erano il segnale di un Paese spaccato e a rischio totalitarismo, in cui la gente andava a votare per evitare che si verificasse tutto ciò. Anche la Costituzione usa un’espressione ambigua, riguardo al voto, definendolo un “diritto-dovere”: a casa mia, votare è solo un diritto e mi arrabbierei se mi obbligassero a farlo”.
Il voto sullo smartphone e le colpe della politica
Feltrin cita quindi un altro esempio: quello della Francia, che ha previsto, per certe categorie all’estero, la possibilità di votare online sul proprio smartphone. “Ogni giorno – è la riflessione che invita a fare – si spostano miliardi e miliardi di dollari in rete: sono forse meno importanti di un singolo voto? In Francia, con questa modalità ha votato l’85% degli aventi diritto, confermando che, se si dà alla gente la possibilità di farlo in un certo modo, non è detto che rifiuti di votare”.
Al contrario, secondo il politologo, l’idea di dover ritirare la scheda e procedere con il classico rituale è estranea soprattutto per le nuove generazioni “che si chiedono: cosa vuol dire andare al seggio?”. “E’ esattamente come le chiese vuote – ripropone il paragone – ma la politica preferisce non adattarsi. Giornalisti e politici piangono lacrime di coccodrillo il giorno dopo il voto, ma l’argomento dell’affluenza poi scompare fino alle elezioni successive”.
“Per me – conclude Paolo Feltrin – alla politica non interessa un fico secco di come poter aiutare la gente a votare, altrimenti qualcosa di concreto proverebbe a farlo”.
Alberto Minazzi