La decisione della Corte: non c’è incostituzionalità, ma deve intervenire il Parlamento. Salta il referendum?
Il percorso iniziato dalle Regioni Veneto, Lombardia e Piemonte per ottenere dallo Stato l’attribuzione di ulteriori competenze può proseguire, anche se non si potranno applicare tutte le indicazioni contenute nell’impianto della legge Calderoli.
Al di là delle possibili letture politiche che si possono dare, è questo il succo dell’attesa decisione della Corte Costituzionale in merito al ricorso presentato da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania: la legge nel suo complesso non è incostituzionale, anche se alcune specifiche disposizioni sono state ritenute illegittime.
Di conseguenza, queste parti del testo andranno modificate.
A farlo, ed è questa l’altra importante indicazione della Consulta, dovrà essere il Parlamento.
Una previsione che, tra le conseguenze concrete, porterà alla probabile cancellazione del referendum che i promotori puntano a svolgere a giugno 2025.
Il testo su cui era stata avviata la raccolta firme, infatti, dopo l’intervento delle Camere non sarà più lo stesso, con novità sostanziali proprio su alcuni tra i punti maggiormente oggetto di contestazione.
Sarà comunque la Corte di Cassazione a decidere il destino della consultazione popolare.
I princìpi costituzionali nella decisione della Corte
La Corte Costituzionale ha dunque ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità posta dalle 4 regioni ricorrenti.
Il Collegio, come è stato spiegato ancor prima del deposito della sentenza, ha però aggiunto che il 3° comma dell’articolo 116 della Costituzione, quello che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia, “deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”.
Ovvero non va dimenticato che l’Italia “insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia” riconosce anche “i princìpi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.
In questo quadro, “l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
In altri termini, i giudici ritengono che, nell’attuazione dell’articolo 116, “la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. Deve essere dunque il principio costituzionale di sussidiarietà a regolare la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.
I profili di incostituzionalità della legge Calderoli
Sono stati quindi elencati i passaggi specifici della legge che contengono profili di incostituzionalità.
In primo luogo, la previsione della “possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie”.
La Corte ritiene infatti che “la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”.
Vi sono poi diversi punti critici sul delicato ma cruciale nodo della determinazione dei Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili sociali. Per la Consulta sono infatti incostituzionali il conferimento al Governo di una delega priva di idonei criteri direttivi, la previsione che l’aggiornamento avvenga con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) e il ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio 2023 per la determinazione fino all’entrata in vigore dei previsti decreti legislativi.
Gli ulteriori passaggi che richiedono un intervento sono infine la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; la facoltatività per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica; l’estensione alle Regioni a statuto speciale della procedura per quelle ordinarie.
Il ruolo del Parlamento e le scelte della Consulta
La decisione dei giudici conclude sottolineando che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”, fermo restando che “la Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.
Una riattribuzione alle Camere del loro ruolo costituzionale che va ad aggiungersi alle altre conseguenze del pronunciamento, giustificato dalla ricerca di evitare il rischio di aumentare i divari tra regioni, come quella dell’impossibilità di riproporre gli stessi contenuti per i quali è stata accertata l’incostituzionalità. Tanto più che gli esperti ritengono che i rilievi abbiano ripercussioni sull’intero impianto della legge e non solo sulle specifiche norme espressamente richiamate.
Tra i 3 scenari astrattamente possibili alla vigilia della riunione del Collegio, i giudici hanno dunque scelto quella, intermedia tra il totale accoglimento dei ricorsi e il loro respingimento, di operare correzioni parziali. Una strada che, come detto, è destinata a incidere sulla decisione della Cassazione, chiamata a pronunciarsi relativamente all’ammissibilità dei 2 quesiti referendari proposti, che chiedono l’abrogazione parziale o totale della legge Calderoli.
Le altre interpretazioni della Consulta
Oltre ai rilievi di incostituzionalità accolti, la decisione della Corte Costituzionale contiene intanto anche altre ulteriori indicazioni che incideranno sulla concreta applicazione della legge. La Consulta ha infatti fornito la sua interpretazione “in modo costituzionalmente orientato” di alcuni passaggi. Una lettura di cui dovranno tenere conto in futuro anche i giudici che dovessero essere chiamati a esprimersi in merito a eventuali vicende dibattute relativamente alla concreta attribuzione di funzioni alle Regioni.
Così, allora, “l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo”; “la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere” e “in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata”; “se il legislatore qualifica una materia come “no-Lep”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
Inoltre, “l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso” e “la clausola di invarianza finanziaria richiede che si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”.
Alberto Minazzi