Dati e riflessioni al centro del convegno di Venezia. Tra interventi e tavole rotonde, i numeri e la “questione settentrionale”
“Dire che l’autonomia differenziata unisce e non divide non è una provocazione: l’Italia è molteplice e l’unica possibilità che abbiamo è fare “ex pluribus unum”, cioè di tante una sola cosa”.
Con queste parole, Mario Bertolissi, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università di Padova, ha iniziato il suo intervento alla Scuola grande San Giovanni Evangelista, cuore del convegno organizzato dalla Regione Veneto per celebrare la “1^ Giornata dell’autonomia – Verso la concreta attuazione della volontà popolare”.
L’appuntamento veneziano si è aperto con i saluti istituzionali del ministro Calderoli, ai quali hanno fatto seguito quelli del presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, che si è soffermato prima di tutto sul ruolo della Regione nel dare impulso a quanto poi verificatosi a livello nazionale.
“Il Veneto – ha affermato – ha fatto da apripista con un referendum che finalmente ha smosso quella parte della Costituzione che ancora non è stata attuata”.
Ma che rappresenta “l’elemento chiave dell’identità e della cultura del popolo veneto, e ne è espressione nella quotidianità, nel lavoro come nella vita sociale”.
“L’autonomia – ha sottolineato Ciambetti – è per i veneti un modus vivendi, un modello di pensiero che si ritrova anche negli istituti democratici e nell’amministrazione del territorio”.
A dimostrazione di ciò, il presidente ha citato come esempio “il recente piano di interventi per limitare i danni dalle periodiche alluvioni con il quale si sono trovate soluzioni e risorse, si è messo in sicurezza il territorio senza nulla chiedere e senza aumentare le tasse ai cittadini”.
Il travagliato percorso verso l’autonomia
Tale modus vivendi non è però prerogativa solo del Veneto.
Proprio la nuova legge sull’autonomia potrebbe estenderlo anche agli altri territori coinvolti, che possono beneficiare della possibilità, aperta dalla legge Calderoli approvata qualche mese fa dal Parlamento, di avviare concretamente la trattativa con lo Stato già prevista dalla Costituzione.
A rilevarlo è stato il costituzionalista Mario Bertolissi che, dopo la presentazione da parte della Cgia di Mestre dei numeri che illustrano oggettivamente le differenze territoriali oggi presenti in Italia sul piano della finanza pubblica, ha provato a sintetizzare i motivi per i quali il percorso iniziato da alcune Regioni, Veneto in primis, per ottenere la devoluzione di maggiori forme di autonomia, possano costituire una grande opportunità per tutti.
Il costituzionalista Bertolissi: bisognava dare al Veneto la possibilità di sperimentare
Uno degli autori più citati dal costituzionalista è stato Toqueville. Per esempio ricordando che “diceva che un conto è raccontare la storia dell’autonomia, un conto dire cosa comporta.
“Volendo trovare una parola che riassuma quello che vuol fare il Veneto – ha proseguito – scelgo “responsabilità”. Non è vero che bastano i soldi: la differenza è fatta dalle persone e dalla qualità. Cito di nuovo Toqueville, quando sottolineava che mentre in Inghilterra si facevano funzionare le cose, nella sua Francia “si discettava”, si preferiva scrivere libri astratti sul governo, vedendo ogni giorno di tutto meno che delle cose”.
“Lo stesso Luigi Einaudi – ha concluso – diceva di non poterne più della “confraternita dei dottrinari”, che vogliono una giustizia perfetta, complicata, che distrugge 10 per avere 1. Se si fosse usata saggezza, si sarebbe creata una corsia preferenziale per il Veneto, dandogli la possibilità di sperimentare”.
L’autonomia differenziata nel contesto italiano
L’autonomia differenziata dà alle 15 Regioni ordinarie la possibilità di chiedere più competenze in 23 materie.
“In realtà solo in teoria, non in pratica perché – ha scandito Bertolissi – deve esserci un interesse oggettivo, provato dai fatti, preciso e non generico, documentato e non farlocco. Non dipende dai territori o dalla popolazione che ci vive”.
L’esempio citato è proprio quello del Veneto e di Venezia, “con la loro storia, contrassegnata da pluralismo e autonomia”.
“Il Veneto – ha ricordato – è l’unica regione che confina con due regioni speciali, rispetto alle quali ha meno competenze, meno risorse finanziarie e così via. Nelle classifiche nazionali – ha rimarcato – il Veneto è però sempre ai primi posti, a iniziare dai lea, i livelli essenziali di assistenza. L’autonomia differenziata serve a questo e potrebbe valere per esempio anche per l’istruzione, caratterizzata sempre da disservizi che si toccano con mano all’inizio di ogni anno scolastico”.
L’autonomia e la “questione settentrionale”
Prima di Bertolissi, a salire sul palco della Scuola Grande era stato il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason, che ha tracciato, attraverso un quadro ricco di numeri, lo stato della situazione.
“L’autonomia – ha premesso – ha due caratteristiche. La prima è la necessità, perché l’inefficienza diffusa mostra che la situazione attuale non risponde alle esigenze di ogni cittadino e che ci sono disuguaglianze inaccettabili. In secondo luogo, è una scelta strategica: maggior responsabilizzazione significa rispondere ai cittadini che hanno votato e dare, con le stesse risorse, servizi migliori e maggiori”.
Affiancando alla cosiddetta “questione meridionale” una “questione settentrionale”, Mason ha affrontato il tema “con dati sulla situazione del decentramento in Italia, una mappa della spesa pubblica territoriale e l’analisi di quanto spende lo Stato nel Veneto”. Dati che “evidenziano che c’è un forte accentramento della spesa pubblica”, ha chiosato.
Le Pubbliche Amministrazioni, in Italia, spendono mille 83 miliardi. 83 sono per interessi, 402 per gli enti di previdenza. Ciò che resta va alle Amministrazioni locali, alle quali arriva quindi il 44,8% della spesa pubblica. 20 anni fa, ha ricordato il segretario Cgia, era il 56%. “Nei Paesi federali – ha aggiunto – la quota di spesa locale risulta maggiore rispetto a quella italiana. In Svizzera, Belgio, Spagna, Germania e Austria, per esempio, la spesa per le amministrazioni locali supera il 70%. Ed è allarmante il riaccentramento della spesa pubblica nel nostro Stato”.
La spesa dello Stato in Veneto
Mason si è quindi addentrato in particolare sulla situazione in Veneto, dove, facendo la media degli anni dal 2019 al 2021, la spesa della Pubblica Amministrazione è di 57 miliardi, di cui il 12,7% di spesa in conto capitale e il restante 87,3% di spesa corrente, con un peso del 28,8% per le Amministrazioni locali e del 45% della previdenza.
La spesa pubblica per abitante è dunque di 11,770 euro.
“Se però si detrae quanto è stato dato da ciascun abitante, cioè la spesa per la previdenza – ha fatto notare – per ogni cittadino veneto arrivano in realtà 6.391 euro”
Il Veneto è dunque all’ultimo posto tra le regioni per spesa pubblica per abitante.
“Al Sud la spesa pubblica sfiora il 60% del Pil (58,9%), al Nord è al 36,4%, in Veneto al 35,7%. Togliendo le pensioni, non supera il 20%”, ha quantificato il segretario.
“Lo Stato in Veneto spende, nella media tra il 2020 e il 2022, 18 miliardi di euro, il 50% dei quali nelle relazioni con le autonomie locali: 9 miliardi, di cui 5 e rotti per la sanità, su una spesa sanitaria complessiva che supera abbondantemente i 10 miliardi, visto che non c’è l’Irap e l’addizionale Irpef obbligatoria. Ci sono poi 3,3 miliardi per l’istruzione e 1,560 per le infrastrutture”.
Ancora, in 13 delle 16 missioni della spesa statale il Veneto è inferiore alla media italiana.
Per esempio, quanto al personale dipendente delle Regioni, in Veneto i dipendenti sono 5,5 ogni 10 mila abitanti, mentre nelle Marche 15 o in Calabria 11,1. E, tra le regioni a statuto ordinario, il Veneto si posiziona al penultimo posto nella graduatoria della spesa statale, guidata dal Lazio, su cui però incide Roma Capitale. Ultima la Lombardia, penultima l’Emilia Romagna. “Non è un caso – commenta Mason – che i percorsi per l’autonomia differenziata siano partiti proprio da queste 3 regioni”. Il segretario Cgia ha infine concluso con 4 considerazioni: “Primo: l’autonomia differenziata non incide sulla sostenibilità dei conti pubblici. Secondo: l’attuazione dell’autonomia differenziata cambia il soggetto decisore e, soprattutto, la gestione, che diviene più responsabile. Terzo: grazie alle sue capacità, che sono oggettive, il Veneto può fare meglio. Quarto: come dimostrano i dati, l’autonomia fa bene all’economia, perché dare più autonomia significa avere maggiore crescita”.
“Non si potrà più dire che è colpa di Pantalone”
Dopo i primi interventi, l’intervista fatta al presidente del Veneto Luca Zaia dal giornalista Maurizio Belpietro.
Un botta e risposta che ha riperso i momenti cruciali del percorso verso la legge Calderoli aprendo verso una visione futura del Paese. Con o senza il nuovo referendum richiesto dall’opposizione per bloccare il passaggio verso l’autonomia.
“Se ci sarà il referendum lo affronteremo tranquillamente, è un istituto della democrazia – ha sottolineato Zaia – Ma la Corte Costituzionale ancora non si è espressa. In ogni caso, noi siamo abituati alla strada in salita. Non ci fa paura”.
Sul perché anche regioni che in passato appoggiavano l’idea dell’autonomia oggi abbiano cambiato idea, il presidente veneto, ricordando anche i dati presentati dalla CGIA, ma soprattutto le parole dette nel 2017 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non ha esitato nell’indicare una mala gestio che ha imperversato in alcune regioni nell’ultimo decennio, sostenendo che, con l’autonomia, questo sarà meno possibile.
“L’autonomia è una vera assunzione di responsabilità”
“Questo è un Paese dove si devono combattere le sperequazioni, figlie di un centralismo mal gestito peraltro – ha detto Zaia -. Ci sono amministrazioni efficienti e altre no. Come si fa a verificare e a punire l’inefficienza? Con l’autonomia si danno le chiavi in mano al cittadino”. E poi ancora: “quando, nel 2017, iniziammo l’avventura referendaria, il presidente Napolitano fu intervistato e i giornalisti gli chiesero cosa pensasse dell’autonomia. Lui rispose che “L’autonomia è una vera assunzione di responsabilità”. E’ così. Qualsiasi cittadino sarà in grado di capire se il suo amministrazione sta facendo bene oppure no. Non si potrà più dire che è colpa di Pantalone“.
Ma non produrrà anche un Paese che cresce a due velocità diverse?
“Al contrario, dobbiamo uniformare i servizi da nord a sud. L’autonomia ha dato già una grande possibilità a questo Paese: la definizione dei Lep, dei livelli essenziali di prestazione. Non può essere che a seconda di dove si nasce un cittadino debba fare le valige per andarsi a curare. Il Sud ha grandi opportunità. Basti pensare al turismo, ma anche alla sanità. Ha grandi margini di crescita. Questa legge permette di essere più efficienti e una maggior efficienza permette di creare più economia“.
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