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Olimpiadi: la seconda volta di Cortina. Storia di un museo che non c'è

Olimpiadi: la seconda volta di Cortina. Storia di un museo che non c'è

Ghezze: “Dobbiamo imparare da altre località che hanno ospitato i Cinque Cerchi: una città olimpica è per sempre

Cortina 1956, Cortina (e Milano) 2026: tradotto si legge Olimpiadi, Olimpiadi invernali.
Due, per la regina delle Dolomiti. Che è ormai un cantiere a cielo aperto con il segnatempo che inesorabilmente, tra un misto di emozione e nervosismo (condito da polemiche e prese di posizione), avvicina l’intera comunità e il suo territorio a un appuntamento storico.
Ancora la settimana scorsa Giovanni Malagò, presidente del Coni, dispensava ottimismo a piene mani: «Arriveremo pronti al traguardo olimpico. Attualmente opere pronte al 93%».
In effetti, la Cortina olimpica 2026 sta crescendo. E mentre un po’ tutti in Ampezzo sono in fermento e alle prese con il calendario a cinque cerchi, c’è chi nel silenzio -ma con una gran voglia di far sentire l’orgoglio e la tradizione sportiva cortinese- progetta un embrione di galleria, museo, centro documentazione della Cortina delle sue prime Olimpiadi.

Cortina 1956 saluta le Olimpiadi con i fuochi artificiali @ Collezione Ghezze

 

Il museo che non c’è

Il paradosso sta proprio qui: a distanza di 68 anni (saranno 70 tondi tondi nel 2026) e a ridosso di una seconda edizione cortinese dei Giochi invernali, Cortina non dispone di un museo olimpico.
«Qualcuno deve pensarci a questo pezzo della nostra storia» dice a Metropolitano.it Enrico Ghezze, ampezzano, sportivo, architetto laureatosi in progettazione architettonica allo Iuav di Venezia, ispiratore di un progetto al momento tutto privato.
Una storia scandita da un calendario e da luoghi precisi, un prima e un dopo l’inverno del 1956 quando qui (e non in condominio con altre località) si tennero le settime Olimpiadi Invernali. Furono i primi giochi olimpici ospitati e organizzati dall’Italia. I primi ad essere “vissuti” da milioni di appassionati, sportivi, curiosi grazie alla televisione e in sostanza propedeutici alla grande festa dello sport universale di Roma 1960.

Enrico Ghezze

La collezione Ghezze

Una memoria che Ghezze è anni che, tenacemente, anche grazie a una paziente ricerca documentale, cerca di mantenere viva.
«Una macchina del tempo. Questo è nella sostanza il risultato di un lavoro che porto avanti da molto. Una macchina del tempo olimpica, proprio ora che di nuovo Cortina è chiamata a riaccendere la sua fiaccola».
La collezione di Ghezze, primo nucleo di un auspicato “museo olimpico” che andrebbe poi arricchito con materiali e contributi informativi e tecnologici, è il frutto di una raccolta meticolosa, talvolta anche casuale, di documentazione varia, dai libri alle riviste alle fotografie (rigorosamente in bianco e nero, rare nel 1956 le immagini a colori). Molte le sortite, lo ammette egli stesso, in mercatini o tra privati in giro per l’Europa. C’è di tutto in questa sorta di scrigno olimpico con apporti e documenti in tedesco, inglese, russo oltre naturalmente che in italiano.

Lo sport nella natura degli abitanti di Cortina

Eppure la collezione di Ghezze non è una vetrina da mercato del Gran Balon: «Tutto nasce dalla passione per lo sport praticato. A Cortina fin da ragazzino devi “trovarti” un percorso sportivo, per me fu l’hockey su ghiaccio, arrivando fino alla nazionale Under 20 a fine degli anni ’70, vincendo anche un campionato europeo. Oggi magari non è più così, ma lo spirito dello sport e per lo sport fa parte della nostra natura. E allora perché in tutti questi anni non si è pensato di mettere su un Museo dello Sport, un moderno museo che ricordi anche le nostre prime Olimpiadi?».
Un vuoto che fino a oggi non si è riusciti a colmare «Nonostante ordini del giorno e delibere comunali che portano il nome di varie amministrazioni» sottolinea non senza una punta polemica l’architetto Ghezze. E intanto ci mostra vecchi documenti di quelle Olimpiadi, vero trampolino di lancio per una rinnovata Cortina che, attraverso i Giochi, voleva riconquistare un posto di primo piano tra le resort dell’arco alpino. 

Cortina d’Ampezzo di notte

L’anima dei vecchi registri

La “macchina del tempo” realizzata da Ghezze assieme a una socia è fatta anche di registri delle gare: un insieme di numeri corrispondenti ai pettorali degli atleti e dei loro rilevamenti cronometrici. Ordini di partenza e di arrivo.
Le gare di sci, quelle di salto dal bellissimo (allora, oggi cadente) trampolino di Zuel; i tempi e la velocità da brividi delle gare di bob.
Potrebbero sembrare degli elenchi del telefono (per chi se li ricorda, è già archeologia delle tlc) e invece racchiudono in centesimi di secondo le storie parallele di chi salì sul podio e chi da quel podio fu escluso, magari senza più speranze di ripresentarsi al successivo appuntamento olimpico.

Un caso di “anoressia storica”

Non tutto è perduto. Ghezze ricorda che qualche volenteroso che ha collezionato della documentazione in effetti a Cortina c’è.
«Ma si tratta di iniziative strettamente personali, come quella del figlio di un atleta azzurro di bob che ha realizzato a proprie spese una piccola raccolta, periodicamente visitabile solo su prenotazione.
Casi isolati. Se dovessi utilizzare un’immagine di effetto, bene potrei parlare di anoressia storica».
In effetti, su e giù per Corso Italia, con puntate al Bar Sport o alla Suite, non pare che il sentiment locale per un museo delle Olimpiadi sia così acceso. «In realtà non è mai stata sollevata la questione. Certo in termini di memoria storica sarebbe qualcosa di positivo, ma a Cortina non se ne parla» ammette Giovanni, componente di un gruppo di giovani blogger neolaureati con interessi e impegnati su vari aspetti della società ampezzana.
Eppure, sottolinea Ghezze, “si tratta di un patrimonio della comunità che va salvaguardato e trasmesso, proiettandolo verso le generazioni future».

Curiosità e aneddoti sulle Olimpiadi del 1956

Quanti sanno che l’anello di pattinaggio di velocità realizzato a Misurina per Cortina 1956 era stato affidato alla supervisione e cura di un team di super tecnici scandinavi?
Ogni giorno questi guru del ghiaccio consolidavano la pista, letteralmente la tagliavano in più punti per permettere al ghiaccio del lago di mantenere la propria omogeneità e consentire così velocità capaci di far segnare nuovi record agli atleti.
E la storia del pettorale fantasma del grandissimo Toni Sailer nello speciale?
Non si trovava più, arrivò un addetto con un pettorale di riserva: gli portò fortuna, fu oro per l’austriaco che si ripeté in Faloria nel gigante.

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Toni Sailer, pettorale di fortuna, medaglia e bevanda calda @Collezione Ghezze

Ma c’è anche il teatrino della gara femminile sempre in Faloria che doveva svolgersi su una pista che all’ultimo momento fu cambiata. E i biglietti per il pubblico riportavano il nome della sede originale.
«Un carosello -racconta Ghezze- con la gente che si precipitò sull’altra pista per non perdersi lo spettacolo della gara».
Quei biglietti, presenti nella gallery di Ghezze e socia, sono un po’ come il mitico “Gronchi rosa” che i filatelici ancora oggi vogliono nelle loro raccolte di francobolli.

Un biglietto ricercato come un Gronchi rosa

Ghezze: “Una città olimpica è per sempre”

Non sono favole, è tutto vero.
«Ma in settanta anni anche le storie più belle e significative si annebbiano. Dobbiamo evitare che ciò accada e penso che questa sia l’occasione. Cortina si sta preparando, talvolta con il fiatone, alle sue seconde Olimpiadi. Non è cosa di poco momento. Ma dobbiamo imparare da altre località che hanno ospitato i Cinque Cerchi, da Oslo a Sochi, da Sankt Moritz a Squaw Valley a Grenoble a Lillehammer: una città olimpica è per sempre e disperdere questo patrimonio, al di là della sostenibilità, del riuso delle strutture, dello zero net dei Giochi, credo sarebbe davvero una penalità-partita a fronte di tutti gli sforzi e dell’impegno profusi per mettere il nome Cortina (e Milano) sui Giochi del 2026».

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Una delle sezioni del museo olimpico di Lillehammer

Con un pensiero anche al trampolino di Zuel, realizzato «in soli 300 giorni nel 1955 all’avanguardia in termini strutturali e di design architettonico» -parola di architetto- oggi con una dote di 10 milioni di euro già stanziati per il suo rinnovo (è di questi giorni la luce verde per i lavori anche dalla Commissione Via) a cui Ghezze affianca l’iniziativa no-profit di sostegno con un crowdfunding “Restauriamo il trampolino Italia“.

Agostino Buda

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