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La "Ragazza con l’orecchino di perla" incanta il nostro cervello

La "Ragazza con l’orecchino di perla" incanta il nostro cervello
@ Martijn den Otter Wat is het geheim van het Meisje met de parel

Non ci sono solo gli aspetti estetici: uno studio commissionato dal museo Mauritshuis che ospita l’opera rivela le reazioni che provoca a livello neurale

Fino a che punto si spinge l’estetica percepibile con gli occhi nel determinare il fascino di un’opera d’arte?
E dove, invece, iniziano a subentrare anche aspetti più profondi, legati alle reazioni che avvengono nel nostro cervello?
Sono le domande alle quali ha provato a rispondere la ricerca commissionata all’agenzia Neurensics dal museo olandese “Mauritshuis” de L’Aia, che ospita uno dei capolavori più affascinanti e misteriosi della pittura: la “Ragazza con l’orecchino di perla” del fiammingo Johannes Vermeer.
Un quadro, chiamato ufficialmente “Ragazza col turbante” e ribattezzato la “Monna Lisa del Nord”, paragonandolo alla “Gioconda” di Leonardo da Vinci, cui è accomunabile per il suo controverso e magnetico appeal.

L’arte: dagli occhi al cervello

Per capire il segreto del dipinto, lo studio, sviluppato in maniera dipendente, ha provato a registrare, sfruttando le moderne tecnologie di eye tracking in combinazione a una risonanza magnetica, l’attività cerebrale innescata in alcuni volontari di fronte al ritratto realizzato attorno al 1665.
Dal punto di vista visivo, gli esperti evidenziano come l’autore abbia saputo usare al meglio la combinazione di luce, ombre e colori per catturare profondamente l’attenzione dell’osservatore attraverso la creazione di un effetto tridimensionale sul volto del personaggio raffigurato a olio su tela.

Le intense risposte del nostro cervello

Partendo proprio da questi elementi estetici, secondo i ricercatori, si farebbe scattare la reazione che catalizza lo sguardo dello spettatore, attraverso le risposte a livello neurologico.
Alle spalle dell’opera vi sarebbe cioè il fenomeno, noto agli psicologi, per cui il cervello umano sia naturalmente attratto da un viso, occhi e bocca in primis.
Ma non solo. L’artista, collocando nel quadro 3 punti focali (sguardo, bocca, orecchino), che danno l’impressione che la ragazza fissi chi la sta guardando, spingendo l’osservatore a far scattare un cosiddetto “ciclo di attenzione sostenuta”, in cui l’attenzione si sposta di continuo e ciclicamente tra i 3 punti.

Opere d’arte: più potenti dal vivo

Il risultato è stato ottenuto dal tema di lavoro coordinato dal neuroscienziato Martijn den Otter attraverso il monitoraggio dell’attività elettrica del cervello dei visitatori con cuffie a elettrodi e l’incrocio dei risultati ottenuti con i punti risultati osservati in quello specifico momento grazie ai sistemi di tracciamento dei movimenti oculari.
Il quadro di Vermeer è risultato anche in grado, in misura maggiore rispetto ad altre opere, di stimolare in particolare l’attività del precuneo: una regione dei lobi parietali del cervello che risulta particolarmente attiva quando il soggetto effettua una riflessione su se stesso, ricorda eventi passati della sua vita, o in alcune funzioni della coscienza.

Altro risultato ritenuto particolarmente significativo è stato quello ottenuto nella seconda parte dello studio, quando agli stessi volontari è stata proposta, mentre si trovavano in uno scanner per la risonanza magnetica, la visione di alcune copie e riproduzioni non originali del quadro.
È emerso infatti che la visione degli originali dal vivo in un museo è in grado di far scattare a livello emotivo nel cervello una risposta fino a 10 volte più intensa di quella provocata da un semplice poster.
E la forza dell’arte è risultata superiore anche all’istinto di conservazione: il Vermeer ha catturato l’attenzione anche più di un blocco dell’ascensore.

Alberto Minazzi

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Tag:  pittura