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Epilessia: dalle lucciole una speranza di cura

Epilessia: dalle lucciole una speranza di cura

Un team italiano descrive un nuovo approccio che punta sulla proteina prodotta dalle lucciole per le forme del disturbo neurologico refrattarie alle cure

Dal 2020, l’Oms ha riconosciuto come “malattia sociale” l’epilessia, una delle patologie neurologiche (caratterizzata da un’eccessiva attivazione di alcuni neuroni che alterano la normale funzionalità del cervello) più diffuse al mondo con oltre 50 milioni di casi, di cui circa 550 mila in Italia.
Una patologia che ha interessato anche molte celebrità: da Giulio Cesare a Napoleone, da Alessandro Magno a Giovanna d’Arco, van Gogh, Leopardi, Dostoevskij, San Paolo, Petrarca. Per arrivare, ai giorni nostri, a Melanie Griffith o al rapper Lil Wayne.

I farmaci anti-epilettici non aiutano 1 malato su 3

Uno dei problemi principali è che, guardando alle terapie attualmente disponibili, chi soffre della forma resistente di epilessia è refrattario ai farmaci anti-epilettici. E si tratta di 1 malato su 3. Per loro, arriva però ora una nuova speranza dalla ricerca.
Un team di lavoro tutto italiano, con esperti dell’Istituto italiano di tecnologia Iit, dell’Università e dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, ha infatti sviluppato un approccio di trattamento innovativo che sfrutta il fenomeno della bioluminescenza delle lucciole.

La proteina delle lucciole per la prevenzione

La novità è stata descritta in un articolo pubblicato dalla rivista “Nature Communications”, dove si sottolinea come i primi dati preclinici abbiano dato risultati promettenti.
La tecnica si chiama “optogenetica” e, come spiega Fabio Benfenati, coordinatore dello studio insieme a Elisabetta Colombo, viene “usata per studiare e controllare con la luce l’attività delle cellule nervose”.

L’attività delle opsine

I neuroni, cioè, vengono modificati geneticamente per indurli a produrre proteine sensibili alla luce: le opsine. Che, colpite da una specifica lunghezza d’onda, influenzano l’attività della cellula.
“Illuminando determinate aree del cervello, come dotati di un vero e proprio interruttore – prosegue Benfenati – i neuroni possono essere accesi o spenti in tempo reale e con grande precisione”.

Attivazione della proteina “on demand”

Il risultato può essere ottenuto in maniera invasiva, impiantando nel cervello fibre ottiche per attivare le opsine. La scoperta del team genovese è che, a tal fine, è possibile sfruttare anche processi di bioluminescenza a base di luciferasi, la stessa proteina che permette alle lucciole di emettere luce. E la somministrazione del substrato, sostanza consumata dalla luciferasi per produrre il segnale luminoso, consente di promuovere l’attivazione dell’opsina “on demand”.

La tempistica dell’attivazione del circuito

Questo circuito luminoso è dunque in grado di spegnere i neuroni “epilettici”, prevenendo così l’iperattività neuronale caratteristica delle crisi che caratterizzano questa patologia neurologica. La questione che si apre, a questo punto, è relativa alla tempistica.
Quando, in altri termini, va attivato il circuito per prevenire l’arrivo di una crisi epilettica?

“A questo scopo – risponde Elisabetta Colombo – abbiamo implementato il sistema a circuito chiuso con un sensore innovativo per rilevare anomalie nel pH dei neuroni. Grazie alla somministrazione del substrato, la luciferasi si “illumina”, lo stimolo luminoso attiva il sensore che, quando percepisce livelli troppo acidi di pH, anticipatori delle convulsioni, attiva l’opsina per interrompere l’attività elettrica anomala dei neuroni epilettici, ristabilendo così la funzione cerebrale fisiologica”.

Efficacia e prospettive

L’approccio, sottolineano gli studiosi, è risultato efficace, nei modelli sperimentali di epilessia di natura genetica, sia per contrastare gli episodi parossistici, la cui durata si riduce del 32%, sia riducendo preventivamente di oltre 3 volte, rispetto al gruppo di controllo privo dell’opsina, il numero di crisi epilettiche. Inoltre, si influenza solo la funzione dei neuroni patologici, lasciando inalterate le cellule circostanti e, soprattutto, non intaccando in alcun modo i comportamenti cognitivi e riducendo gli effetti collaterali.

Le nuove strategie terapeutiche a cui i risultati aprono la strada potrebbero in futuro, oltre che per l’epilessia, essere utilizzate anche per altre patologie neurologiche, a partire dalle lesioni cerebrali dovute a ischemie o traumi.

Alberto Minazzi

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Tag:  cervello, ricerca