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Il tempo delle “Brat” girls

Il tempo delle “Brat” girls

Monelle, ribelli, sregolate: le brat girls confermano lo stile dell’estate 2024. Ma le ragazze della generazione Z sono anche “demure”

Brat girl”, ma anche “bratcore” o “brat summer”.
Nel caso vi foste persi il trend dell’estate – e il suo controtrend – eccoci a tirare le somme, all’alba autunnale della stagione 2024-2025, riguardo il suo significato.
“Brat”, ovvero scanzonato, monello, libertino, autarchico: non prendete alla lettera, è solo un tentativo di tradurre in italiano il termine che ha caratterizzato le donne della Generazione Z – soprattutto – dallo scorso maggio, quando la cantante inglese Charli XCX ha fatto esordire il suo ultimo, omonimo, album.

brat girl

“Brat”: una copertina volutamente antiestetica, di un “fastidioso” verde acido, e la scritta in carattere “arial” e deliberatamente foscata. L’estetica, il messaggio portato avanti sia dall’album che dall’artista (nei testi delle canzoni) è di una ribellione dei canoni estetici, dell’apparenza, della correttezza.
Charli XCX ha scientemente o meno lanciato una moda svogliata, sconclusionata, sregolata, orientata alla festa perpetua senza curare particolarmente il proprio comportamento e il proprio presentarsi al mondo, sciatto e sconclusionato.

Brats, le nuove ribelli

Da qui, la creazione delle “brat girls”, ovvero delle donne che si riconoscono in questo messaggio etico ed estetico.
Una piccola ribellione sociale dove la donna smette i panni della brava ragazza morigerata, accondiscendente, e decide di fare quel che le pare.


Manco a dirlo, proprio quell’altra parte del mondo femminile ha creato, alla velocità di un reel su TikTok, la controparte al mondo “brat”, che si congrega sotto al vocabolo “demure”.
Le ragazze “demure” sono eleganti, posate, misurate negli atteggiamenti e nel modo di vestire. “
Very demure, very mindful”, dove il secondo termine sta a indicare una sorta di “presenza a sé stessi”, una consapevolezza; una qualche, vaghissima eco al mondo “woke”.

Brat vs Demure

Scapestrate contro educate, anarchia e rigore.
Al di là degli effetti che ne sono scaturiti a livello di social – senza sconfinare nel sociale – c’è da fare una qualche puntualizzazione rispetto alla moda lanciata e alla sua contro-reazione.
L’album di Charli XCX, per esempio, al netto dei messaggi testuali e visuali, sembra discretamente lontano da una sciatteria musicale: innanzitutto perché si parla a grandi linee di un concept album, di un’idea che sottende alla raccolta di canzoni, tutte peraltro molto orecchiabili, poco “disturbanti”. Canzoni, peraltro, omologate nella loro durata, tutte tra i 2 minuti e 30 e i 3 minuti e 15, perfettamente in linea con la brevità richiesta dal mercato e dalle soglie di attenzione di cui un essere dotato di smartphone dispone.

Non è sciatteria

Inoltre, lo stesso stile modaiolo propugnato dalle “brat girls”, famose o meno che siano, ha poco a che fare con la sciatteria o la sregolatezza: non sembra ci sia nulla di fuori posto o di “anti-estetico” nell’abbigliamento brat.
L’atteggiamento, forse, richiama a una moderata “pazzia” festaiola che non risulta per niente una novità rispetto ai tempi passati, anzi. Alcuni hanno accostato l’essere “brat” con il grunge degli anni Novanta, il cui simbolo furono i Nirvana e Kurt Cobain. Una differenza sostanziale, tra le due categorie, la fa il contenuto artistico ed esistenziale: Cobain, nel bene e nel male, fu “grunge” fino alla fine; il “brattismo” non sembra altro che un biglietto da visita passeggero, fumo negli occhi a cui corrisponde l’antagonista “demure”.

Alla ricerca di uno scampolo di originalità: la storia si ripete

Nel corso della storia recente, e della cultura di massa occidentale, il popolo ha spesso sentito il bisogno di categorizzare nuovi modi di apparire, per definirsi come comunità distinte l’una dall’altra, trovare uno scampolo di originalità contrapposto alla normalità generale vigente.
In Italia hanno fatto storia i “paninari” milanesi degli anni Ottanta, votati al consumo e all’apparenza e privi di qualsiasi impegno sociale; un rigurgito dovuto, probabilmente, ai turbolenti anni Settanta, fin troppo pregni di peso e di estremizzazione politica.
In tempi recenti abbiamo avuto, oltre allo statunitense “grunge”, i vari dark, emo, nerd – divenuti cool nell’ultimo decennio grazie alla ribalta di videogames e fumetti. Etichette d’espressione minoritaria, passate più o meno velocemente alla ribalta come alternativa a una normalità costituita, regolata, ormai invisa o semplicemente noiosa.

Tra noia sociale e voglia di lasciar traccia

Il “brat”, così come il “demure”, sembrano solo l’ultima frontiera di una noia sociale (e prima ancora, di un potere economico mercanteggiante, della ricerca di un idolo effimero e passeggero) che si esprime tramite i due termini.
Ciò non significa che siano futili: rimangono tracce di passaggio di una società globale in perenne movimento collettivo, a cui (dovrebbero) rispondere delle radici etiche e comportamentali più profonde.
Dunque: l’universo femminile (e occidentale) la scorsa estate si è risvegliato “brat”. Una presa di coscienza che categorizza qualcosa di già esistente.
Se l’esistenzialismo grunge degli anni Novanta ha lasciato un segno nell’animo, il brat non sembra altro che facciata, il tempo di una moda fino alla prossima estate, quando le tinte di riferimento saranno, magari, l’arancione o il giallo acceso – dopo il rosa di Barbie targato 2023 e il lime del “brat” – e si parlerà di un altro modo di apparire. Forse ribelle, forse curato: di nuovo, lontano da un essenza.Noi rimaniamo in attesa di un fantomatico “brat man”, ma che non abbia niente a che fare con i pipistrelli.

Damiano Martin

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