Un nuovo studio riconduce al mercato di Huanan, a Wuhan, l’origine della pandemia
Sono passati quasi 5 anni dall’inizio della pandemia.
Il Covid ha mutato forme, è stato controllato dai vaccini ed è diventato endemico.
E’ ancora tra noi e fa meno paura ma ancora non si conosce la genesi di un’epidemia che è diventata in breve tempo globale.
Tra ipotesi, accuse e idee complottistiche, si è passati dall’idea di un virus sfuggito da un laboratorio ai pipistrelli, considerati i principali “serbatoi naturali del virus”. Si è passati dai visoni, ai gatti e ai cani, dagli uccelli, ai tassi e alle lontre.
Il virus nel mercato di Wuhan
Ora si ritorna a Wuhan, identificando nel mercato di Huanan il luogo dove tutto ebbe inizio.
Un nuovo studio internazionale recentemente pubblicato su Cell, infatti, riporta agli animali selvatici venduti tra quelle bancarelle il primo focolaio di Covid-19 trasmesso poi all’uomo, arrivando a una sorta di short list che identifica in alcuni di loro i vettori di trasmissione.
L’importanza dello studio non è da ricondurre solo a una verità storica: comprendere i meccanismi i trasmissione del virus è fondamentale per prevenire focolai futuri e per intervenire efficacemente in anticipo per ridurre la possibilità che si crei di nuovo uno scenario perfetto per la diffusione di una nuova pandemia.
Le rivelazioni del Dna fantasma
A sconfessare la tesi che attribuisce a una fuga da laboratorio la diffusione del Covid-19 è il “Dna fantasma” ritrovato nei campioni ambientali raccolti all’inizio del 2020 nel mercato all’ingrosso di frutti di mare di Huanan.
Nel gennaio 2020, poche ore dopo che il mercato cinese era stato chiuso, erano entrati in azione i ricercatori cinesi del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) effettuando oltre 800 tamponi sulle superfici delle bancarelle, sulle gabbie e sui carrelli usati per spostare gli animali, sui pavimenti e sugli scarichi fognari.
Utilizzando i dati di questi campioni ambientali e la tecnica del sequenziamento metatrascrittomico, in grado di analizzare tutti i trascritti microbici all’interno di un campione complesso, il nuovo studio ha individuato gli animali che, in quel mercato, possono aver ospitato il virus Covid-19.
Animali selvatici vivi: servono dispositivi di protezione
Tra questi, i cani procione, le civette delle palme mascherate, i ratti canuti del bambù e gli zibetti, “piccoli mammiferi carnivori imparentati con manguste e iene”.
Animali vivi e selvatici entrati in contatto con l’uomo, in cui erano presenti tracce genetiche di SARS-CoV-2.
A saperlo, secondo gli autori dello studio, sarebbero bastati semplici dispositivi di protezione per evitare la pandemia.
Consuelo Terrin