Un team di ricercatori determina con certezza la provenienza del rame da una miniera vicino a Shanghai
Non è turco, ma cinese. E non sarebbe stato inizialmente nemmeno un leone alato, bensì uno zhènmùshòu, cioè una sorta di chimera che fungeva da guardiano delle tombe nella dinastia Tang, tra il 600 e il 900 dopo Cristo.
La storia del leone di San Marco, che dall’alto di una colonna accoglie nell’area marciana di Venezia chi proviene dal bacino acqueo di fronte a Palazzo Ducale, deve essere completamente riscritta rispetto a quanto finora dato per acquisito sulla base delle ricostruzioni storiche.
È la sorprendente conclusione cui ha portato il lavoro svolto da un team di studiosi di geologia, chimica, archeologia e storia dell’arte dell’Università di Padova e dell’Associazione internazionale di studi sul Mediterraneo e l’Oriente – Ismeo, in sinergia con l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
“A noi – afferma Massimo Vidale, docente di Archeologia dell’Università di Padova – piace pensare a un simbolo legato all’Oriente per Venezia, città che storicamente ha avuto più legami con queste terre”.
La chimica che ha riportato il leone in Cina
La scoperta, annunciata in occasione dell’apertura del convegno internazionale su Marco Polo organizzato nel capoluogo lagunare nell’ambito delle celebrazioni dei 700 anni dalla morte del grande viaggiatore, si basa sulle analisi chimiche della lega bronzea di cui è composta la grande scultura posizionata all’imbocco di piazzetta San Marco.
“Siamo entrati in possesso – racconta Massimo Vidale – di 3 nuovi campioni in precedenza mai analizzati, unendo i risultati delle nostre analisi a quelle svolte su altri 6 campioni nel 1990. E siamo giunti alla certezza che il rame utilizzato proviene da una miniera del basso bacino del Fiume Azzurro, nel sud della Cina, vicino a Shanghai”.
Una certezza che ha solide basi scientifiche. “Rispetto a 30 anni fa, quando i dati pubblicati erano ancora molto pochi, – spiega Vidale – l’archivio di dati isotopici disponibile oggi è molto più vasto. A permetterci di capire con certezza da dove proviene il rame sono le particelle infinitesimali di piombo presenti al suo interno sotto forma di isotopi, i cui rapporti variano da miniera a miniera”.
Il leone che fu turco
Prima del nuovo studio, tutte le informazioni scientifiche disponibili sul leone di piazzetta San Marco erano contenute nel libro “Il leone di Venezia”, monografia curata dalla già sovrintendente Bianca Maria Scarfì.
“L’ipotesi dell’affinità con l’arte cinese – riprende il docente di Archeologia – era stata presa in considerazione, ma questa linea d’indagine non aveva avuto sviluppi”.
La tesi adottata da Scarfì era stata infatti quella di una “complessa spiegazione ellenistica, che rimandava l’origine della statua al periodo tra il 4° e il 3° secolo avanti Cristo e all’area della Turchia vicina a Tarso, sulla base del fatto che lì venivano coniate monete con leoni simili che portavano sul dorso il dio Sandon con l’ascia in mano”, aggiunge Massimo Vidale.
Vidale: “E’ certo che almeno la parte frontale del leone è cinese”
“Qualcuno – conclude l’esperto – aveva notato le somiglianze tra il leone e le forme artistiche dell’arte cinese e, personalmente, sono sempre stato convinto che stilisticamente ci fossero più affinità in tal senso. Ma solo adesso, grazie alla chimica, possiamo dire, ironizzando, che l’“usurpatore” Sandon è stato detronizzato, con la certezza che almeno la parte frontale del leone è cinese”.
I misteri irrisolti del leone di San Marco
L’articolo, i cui contenuti sono stati appena anticipati, è in attesa di pubblicazione su una delle principali riviste internazionali.
Ma restano molti enigmi per la cui spiegazione il docente di Archeologia si affida agli storici.
Per esempio, c’è la possibilità che la statua sia stata portata a pezzi a Venezia dal padre e dallo zio di Marco Polo, visto che al rientro del viaggiatore era già posizionata.
“Se fosse così – si chiede però Vidale – c’è da chiedersi perché le fonti non parlino minimamente dell’arrivo, del montaggio e dell’erezione sulla colonna di una statua di dimensioni tutt’altro che marginali, considerato che oggi è lunga 4 metri e pesa 2 tonnellate e 800 kg”.
Le ali veneziane
Si può invece dire con sufficiente certezza che la forma di “leone” sia una creazione dei veneziani.
“I leoni – considera il docente – non hanno normalmente le ali e, se era in effetti un guardiano di tombe, oltre ad avere prove sul fatto che avesse piume all’altezza delle zampe, era sviluppato in verticale. Per ottenere la posizione orizzontale, dunque, la statua è stata modificata. E i veneziani di allora, a cui non faceva di certo difetto la spregiudicatezza, dopo averla trasferita e aver riscontrato la somiglianza con un leone non hanno avuto remore nel mutare un simbolo buddista in quello del loro santo patrono”.
Alberto Minazzi