L’indagine di Confcommercio: l’88% degli italiani preferisce abitare in una zona con esercizi di prossimità. E il prezzo degli immobili può crescere fino al +26%
Stanno diventando sempre più rari, visto che la statistica degli ultimi 11 anni parla nel nostro Paese di una perdita di 112 unità, in pratica 1 su 4. Ma i negozi di vicinato, le piccole rivendite (farmacie e tabaccherie, alimentari e abbigliamento, fino ai negozi di elettronica) che consentono di fare la spesa direttamente sotto casa, sono al tempo stesso ritenuti dalla quasi totalità degli italiani, l’88%, un elemento determinante nella scelta del quartiere dove prendere abitazione.
Tant’è che la presenza degli esercizi di prossimità si traduce anche in un incremento di valore degli stessi immobili residenziali. Lo sottolinea l’indagine svolta da Confcommercio-Swg nell’ambito del progetto Cities che spinge il presidente della più grande confederazione italiana rappresentante delle imprese, Carlo Sangalli, ad affermare che “anche nell’era digitale i negozi di vicinato sono insostituibili. Rendono le città più vivibili, più attrattive e più sicure”.
Il progetto Cities, del resto, si occupa proprio di contrasto alla desertificazione commerciale nelle città italiane e di sviluppo del valore sociale delle economie di prossimità. “È necessario – aggiunge quindi il presidente di Confcommercio – contrastare la desertificazione che sta facendo scomparire molte attività commerciali. Occorre incentivare l’innovazione e sostenere la riqualificazione urbana attraverso un miglior utilizzo dei fondi europei”.
Perché gli italiani amano i negozi di vicinato
I piccoli punti vendita, argomentano gli intervistati, rafforzano infatti l’appartenenza alla comunità (per il 64% del campione) offrendo occasioni di incontro, forniscono un servizio attento alle persone fragili (59%) e fanno sentire più sicure, con il loro presidio del territorio, le persone (57%). Ancora, offrono garanzie di cura dello spazio pubblico per il 54% degli interpellati e facilitano l’integrazione per quasi la metà (49%) del campione. Quanto ai consumi, farmaci (64%) e tabacchi (59%) sono però i soli beni che vengono acquistati prevalentemente in centro città.
Soprattutto al Nord (43% contro il 31% del Sud) e nelle città tra 100 e 250 mila abitanti, sottolinea Confcommercio, la chiusura dei negozi di vicinato preoccupa i cittadini. Al punto che, con un giudizio uniforme su tutto il territorio nazionale, la presenza di esercizi commerciali è valutata più importante addirittura degli spazi verdi e dei servizi pubblici come scuole, ospedali e centri sportivi. Ed è pari ad appena il 10% la percentuale di chi ha risposto che preferisce vivere in una zona esclusivamente residenziale.
L’impatto dei negozi di vicinato sul valore delle case
Il sondaggio ha quindi chiesto agli intervistati di quantificare quanto pensano che, a parità di condizioni e di metratura, possano incidere alcuni fattori legati alla presenza o meno di alcuni esercizi commerciali di prossimità sul valore di un immobile da 100 mila euro. E, rispetto alla collocazione in una zona tranquilla e mediamente servita, si ritiene che il maggior incremento, del +26%, si abbia se la casa sia inserita in una zona residenziale con molti negozi di vicinato ma pochi locali serali.
Poco inferiore (+21%) l’aumento di valore che viene collegato nel caso di zona residenziale con molti negozi di prossimità e molti locali. Anche a una zona esclusivamente residenziale, senza esercizi commerciali, viene collegato un sia pur lieve incremento di valore (+6%), comunque superiore al +4% attribuito alle zone di movida, con molti locali aperti fino a tarda ora. C’è invece una perdita di valore (-15%), per la gente, laddove i piccoli negozi stiano chiudendo e rimangano vuoti. E il 22% considera l’ipotesi di cambiare casa se le chiusure dei negozi dovessero proseguire.
La desertificazione commerciale
Al riguardo, sono soprattutto i negozi specializzati come le piccole rivendite di abbigliamento ed elettronica (46%) quelli per i quali si avverte prevalentemente una diminuzione nei centri, seguiti dagli esercizi che forniscono servizi essenziali, a partire dagli alimentari (42%). Un aumento è invece percepito, dal 43% degli intervistati, solo riguardo ai servizi per il tempo libero, tra cui bar e ristoranti. In generale, comunque, la percezione di una desertificazione commerciale nel proprio quartiere si equivale (39%) alla quota di chi rileva invece una crescita delle attività.
Il 56% ritiene però che difficilmente un negozio chiuso verrà sostituito da un altro. E il sentimento provato di fronte alla chiusura è per l’83% la tristezza, con un 74% che ci vede un’incidenza negativa sulla qualità della vita. L’idea del maggior degrado urbano legato alla desertificazione commerciale è più diffusa nei grandi centri e al Nord, dove si teme anche un rischio di esclusione degli anziani. Nei piccoli centri e al Sud, invece, la chiusura si traduce soprattutto in riduzione delle occasioni di lavoro e aumento del rischio di spopolamento.
Alberto Minazzi