Il Rapporto sull’adeguatezza delle pensioni chiede politiche più forti e ulteriori riforme. In Italia ci sta lavorando un gruppo di lavoro del Cnel
Il principio 15 del pilastro europeo dei diritti sociali sancisce il diritto dei lavori subordinati e autonomi a un reddito di vecchiaia adeguato e alle pari opportunità per donne e uomini di acquisire diritti pensionistici. E, a tal fine, l’Unione Europea sostiene gli sforzi nazionali per garantire pensioni adeguate.
Se però i sistemi pensionistici europei hanno dimostrato efficacia nel proteggere il tenore di vita dei pensionati dalle sfide globali, con il mantenimento dell’adeguatezza delle cifre erogate durante i periodi di crisi attraverso pensioni pubbliche resilienti e meccanismi di ridistribuzione, qualche preoccupazione c’è.
Le pensioni? Destinate a diminuire
Lo sottolinea l’appena approvato Rapporto 2024 sull’adeguatezza delle pensioni realizzato dalla Commissione Europea e dal Comitato per la protezione sociale, che fornisce lo stato di avanzamento dell’adeguatezza delle pensioni e le principali sfide in tutta l’Unione Europea.
La previsione indica infatti che le pensioni diminuiranno e saranno quindi necessarie politiche più forti per promuovere carriere più lunghe, per un invecchiamento in buona salute, per rendere i mercati del lavoro inclusivi e per avere maggiore flessibilità nei percorsi pensionistici.
Per garantire, in un contesto di cambiamento demografico, un’equa sicurezza pensionistica per tutti ed evitare l’aumento delle disuguaglianze socioeconomiche con l’età, la relazione chiede dunque di intervenire con ulteriori riforme dei sistemi pensionistici.
Garantire un reddito adeguato agli anziani, ricorda la Commissione, è del resto un punto fondamentale per conseguire l’obiettivo dell’Unione di ridurre entro il 2030 di almeno 15 milioni le persone che si trovano in situazioni di povertà ed esclusione sociale.
La relazione sull’adeguatezza delle pensioni, insieme al rapporto 2024 sull’invecchiamento demografico, saranno ora discusse in occasione della prossima conferenza sulla longevità in Europa, che si terrà giovedì 27 giugno 2024 a Bruxelles.
Le prospettive pensionistiche in Italia
Il rapporto dedica il primo volume alla presentazione di un’analisi comparativa del grado in cui i sistemi pensionistici dell’Unione Europea garantiscono un reddito adeguato durante la pensione, oggi e in futuro, e l’impatto delle recenti crisi sul tenore di vita dei pensionati.
Nel secondo volume, in una panoramica delle misure adottate dagli Stati membri, il rapporto descrive i sistemi pensionistici dei 27 Paesi dell’Ue e della Norvegia. E la scheda dedicata all’Italia finalizza le proiezioni sulla base della situazione del nostro sistema pensionistico al 30 settembre 2023.
All’interno della scheda si legge, tra l’altro che, “dopo un leggero calo nel 2023, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil aumenta costantemente dal 2024 in poi, raggiungendo un picco del 17,3% nel 2036”. Nel complesso, si prevede però una diminuzione del -19% nel periodo di proiezione 2022-2070.
Dopo il 2036, il rapporto dovrebbe diminuire gradualmente “al 15,5% nel 2050, per convergere al 13,7% nel 2060”, stabilizzandosi poi fino al 2070. Il principale fattore determinante nell’iniziale incremento sono gli effetti negativi della transizione demografica legata al pensionamento delle coorti del baby boom.
Quanto alla differenza tra il rapporto pensioni lorde e nette rispetto al Pil, che rappresenta il gettito fiscale sulle pensioni pubbliche, la previsione è di un passaggio “dal 3% del Pil dell’anno base al 3,2% intorno al 2040, per poi attestarsi al 2,6% verso la fine del periodo di proiezione”.
Le pensioni in Italia: i dati Istat
Uno dei capitoli del rapporto “Noi Italia 2024”, appena pubblicato dall’Istat, è dedicato proprio alle tematiche della protezione sociale. L’anno di riferimento, in questo caso, è il 2021, quando il “tasso di pensionamento” ha registrato una lieve crescita rispetto agli anni precedenti.
Il rapporto tra il numero totale delle pensioni e la popolazione al 31 dicembre dell’anno di riferimento, infatti, si è attestato al 37,9%. L’incidenza dei trattamenti pensionistici sul Pil, sempre in quell’anno, è invece risultata in calo del -1,3%, attestandosi al 17,1%.
A riguardo, comunque, l’Istat sottolinea che il dato non si lega solo al decremento dei trattamenti pensionistici erogati, che sono scesi dai 310,9 miliardi di euro del 2020 ai circa 305,7 del 2021, ma anche alla ripresa dell’andamento del Pil dopo il Covid.
Le variazioni post pandemiche del Pil sono indicate anche come la causa dell’inversione di tendenza, dopo un costante aumento dal 2000 in poi, dell’indicatore della quota di reddito medio per abitante alimentata da trattamenti pensionistici. Questo dato, riporta il report “Noi Italia 2024”, nel 2020 era pari al 48,9%, mentre nel 2021 la quota è risultata del 45,1%.
Il lavoro del Cnel e le ipotesi sulla riforma delle pensioni
Da fine febbraio, intanto, si è insediato al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro un gruppo di lavoro di elevata qualificazione, composto da accademici, esperti del settore e delle parti sociali che, fino ad oggi, si è occupato di approfondire le 4 macroaree del sistema di welfare pensionistico.
Si tratta della previdenza obbligatoria, di quella delle casse professionali, della previdenza complementare e del regime di contribuzione obbligatoria, con i connessi problemi di evasione. L’istruttoria preliminare, comunica il Cnel, è tuttora in corso e ha evidenziato le criticità di natura giuridica ed economico-finanziaria dell’attuale sistema previdenziale.
A oggi, conclude la nota ufficiale, “nessun testo di legge di riforma delle pensioni è stato preparato”. Il relativo documento sarebbe atteso tra settembre e ottobre, mentre per luglio potrebbero arrivare i 4 documenti tecnici relativi alle singole macroaree.
Nell’attesa, sugli organi di stampa hanno iniziato a circolare alcune possibili anticipazioni, che non hanno però ricevuto alcuna conferma ufficiale, sulle idee in merito alle quali si sta ragionando. Come l’abbandono del sistema delle quote per far posto a una nuova griglia di uscite anticipate a partire dai 64 anni.
Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 dovrebbero dunque non essere riproposte dopo la scadenza fissata attualmente al 31 dicembre 2024. Appare invece un dato praticamente certo quello di orientare sempre più il sistema pensionistico generale al metodo contributivo.
Alberto Minazzi