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Riforme: premierato, via libera al Senato

Riforme: premierato, via libera al Senato
Palazzo Madama, sede del Senato italiano, Roma

Meloni: “Primo passo avanti per rafforzare la democrazia”. I contenuti del testo che passa ora alla Camera

“La riforma sul Premierato passa in Senato. Un primo passo in avanti per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati”.

Con questo post su “X”, la premier Giorgia Meloni ha accolto l’esito del voto a Palazzo Madama sul disegno di legge costituzionale che intende modificare la Carta, introducendo innanzitutto l’elezione diretta del presidente del Consiglio.

L’iter avviato a novembre 2023, con la presentazione in Parlamento da parte del Governo del ddl, ha registrato infatti il primo decisivo passo avanti con il voto favorevole del Senato.

Il testo, che ha registrato in questi mesi alcune modifiche, è stato infatti approvato dall’aula con 109 voti favorevoli, 77 contrari e un astenuto.

Il premierato nel Governo previsto dalla riforma

Come ricorda il titolo stesso del disegno di legge, la riforma mira a un “rafforzamento della stabilità del Governo”, in primis attraverso un rafforzamento dell’autorità del presidente del Consiglio. La principale novità che si intende introdurre è quella contenuta nell’articolo 5. A differenza di quanto avviene attualmente, con il premier scelto dal Parlamento e nominato dal presidente della Repubblica, si prevede infatti un’elezione diretta a suffragio universale.

Con il premierato, sarebbe dunque il popolo a scegliere, in un’apposita scheda consegnata insieme a quella per la scelta dei parlamentari, il capo del Governo, a cui il presidente della Repubblica continuerebbe solamente a conferire l’incarico di formare l’Esecutivo. La nomina elettorale avrebbe una durata di 5 anni con il limite massimo di 2 mandati. L’articolo 7, inoltre, modifica il meccanismo della fiducia: se le Camere, una volta che questa è stata loro richiesta, non la concedono, si procederebbe subito allo scioglimento del Parlamento e al ritorno al voto.

In altri termini, verrebbe meno il potere del presidente della Repubblica di decidere di avviare consultazioni per la nomina di un successore senza la necessità di rinnovare le Camere. In caso di perdita della fiducia del Governo o dimissioni del premier, l’eventuale incarico per la formazione di un nuovo esecutivo prima di procedere con le nuove elezioni potrebbe essere attributo dal Colle solo allo stesso premier o a un parlamentare della sua coalizione, senza possibilità di rimpasti.

Cosa cambierebbe per il presidente della Repubblica

Negli 8 articoli che compongono il disegno di legge, sono contenute diverse novità anche riguardo al presidente della Repubblica. Attraverso la riforma dell’articolo 83 della Costituzione, l’articolo 2 prevede che, nell’elezione dell’inquilino del Quirinale, l’abbassamento del quorum da due terzi alla maggioranza assoluta avvenga non più dopo il terzo, ma dopo il sesto scrutinio.

Anche se il potere previsto dall’articolo 88 della Costituzione non è mai stato esercitato, l’articolo 3 vuole eliminare quindi l’ipotesi che il presidente della Repubblica sciolga solo una delle due Camere. Nel contempo, però, si introduce la possibilità di scioglimento di entrambi i rami del Parlamento anche durante il “semestre bianco”, anche se solo quando si tratti di un “atto dovuto”. E, ancora all’articolo 5, si conferma il potere del presidente di nominare o revocare i ministri su proposta del premier.

Verrebbe quindi abolito, con l’articolo 4, l’istituto della controfirma del Governo su alcuni atti del Capo dello Stato: la nomina del presidente del Consiglio e dei giudici della Corte costituzionale, la concessione della grazia, la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi alle Camere, il rinvio delle leggi alle Camere.

I senatori a vita e gli altri contenuti della riforma

Nel titolo del disegno di legge, anche dopo la modifica, è rimasta anche la parte relativa all’“abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica”, contenuta già all’articolo 1. Attualmente, è l’articolo 59 della Costituzione a prevedere, per il presidente, la possibilità di conferire il titolo di senatore a vita, nel numero massimo di 5 per legislatura, ai “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.

I nuovi senatori a vita sarebbero dunque solo i presidenti della Repubblica uscenti, mentre rimarrebbero in carica tutti quelli già nominati all’entrata in vigore della nuova legge, come previsto da una delle due norme transitorie contenute nell’articolo 8. L’altra è quella che stabilisce l’inizio dell’applicazione della legge dal primo scioglimento o dalla prima cessazione delle Camere successivi all’entrata in vigore della riforma.

Infine, l’articolo 6, che integra l’articolo 57 della Costituzione, prevede che il principio dell’elezione su base regionale del Senato debba comunque far salvo, oltre ai seggi assegnati alla circoscrizione estero, anche il premio su base nazionale. Quanto al premio di maggioranza, ipotizzato al 55% in entrambe le Camere per la coalizione che sostiene il nuovo premier, il disegno di legge non fissa né la quota né il quorum per farlo scattare, rimandando l’approfondimento del tema alla successiva riforma elettorale.

L’iter e le contestazioni

Trattandosi di una legge che modifica la Costituzione, l’iter per arrivare alla legge si presenta comunque ancora molto lungo, con la necessità di diversi altri via libera. Ogni Camera è infatti chiamata all’approvazione per 2 volte, con votazioni a distanza di almeno 3 mesi, richiedendo la maggioranza assoluta nella seconda. L’approvazione della legge sarà quindi definitiva solo in caso di un consenso pari a due terzi sia alla Camera che al Senato, altrimenti verrà indetto un referendum sull’introduzione delle nuove norme.

È dunque presumibile che, nei prossimi mesi, continuerà la forte contestazione da parte delle forze di minoranza. Archiviata fortunatamente la brutta pagina delle risse in aula al Senato, in concomitanza della votazione a Palazzo Madama le opposizioni sono scese in piazza Santi Apostoli a Roma (assenti solo Italia Viva e Azione) per ribadire il proprio no alle riforme istituzionali attualmente al centro del dibattito politico: quella sul premierato, ma anche quella sull’autonomia differenziata, che però alla fine è diventata legge con l’ok della Camera.

Alberto Minazzi

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Tag:  riforme, Senato