L’intervista a Massimo Polidoro
Il futuro dell’umanità lo segna la nostra stella, il sole, che tra sei miliardi di anni si trasformerà e ci ingloberà distruggendo la terra (e già prima la vita sarà insostenibile sul nostro pianeta).
Ma tutto il resto è nelle nostre mani e dipende dalla nostra intelligenza.
Quanto potrà durare dunque ancora la nostra civiltà nei prossimi secoli e millenni?
Che testimonianza potremmo lasciare come umanità a fronte dell’incredibile opportunità che ci è stata data con l’evoluzione della vita terrestre dagli esordi ai nostri giorni?
Se saremo in grado di avere cura del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano e se la nostra intelligenza, e quella delle future generazioni, saprà essere saggia e guardare davvero lontano, la nostra civiltà, chissà, potrebbe anche imparare a navigare nell’universo inventando modi di vivere su altri pianeti.
Ne abbiamo parlato con Massimo Polidoro, uno dei più importanti divulgatori scientifici in Italia, giornalista e scrittore, esploratore dell’insolito e cofondatore del Cicap, l’organizzazione che promuove l’approccio scientifico e critico nei confronti delle pseudoscienze, del paranormale e dei misteri.
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Iniziamo dal primo mistero: esistono altre presenze di vita intelligente nel cosmo? Lei che risposta si dà? E nel caso, come affrontare l’approccio con altre civiltà extraterrestri intelligenti?
Dal punto di vista statistico, con i miliardi di galassie che ci sono nel cosmo, sembra plausibile che anche altrove possano essersi sviluppate le condizioni per la vita.
Il problema sono le distanze: se la vita si è sviluppata a cento miliardi di anni luce da noi, con civiltà fiorenti e interessanti, sarebbe come se non esistessero, non ci sarebbe alcuna possibilità di entrare in contatto con loro, perché per raggiungerle loro o noi dovremmo viaggiare alla velocità della luce (e la fisica ci dice che è impossibile) per cento miliardi di anni! Lo stesso accadrebbe se la civiltà su altri mondi si fosse sviluppata qualche milione di anni fa e poi si fosse estinta o se si dovesse ancora sviluppare e adesso ci fossero solo lombrichi o scarafaggi. Sarebbe straordinario scoprire altre forme di vita, ma per ora, non solo non è successo, ma non è nemmeno molto probabile che accada durante la nostra epoca.
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Come finirà l’umanità? Ognuno di noi può dare il proprio contributo per salvarci?
Chi può dirlo? Se riusciremo a tenere a bada certe spinte autodistruttive potremmo vivere anche molto a lungo e ciascuno può impegnarsi perché succeda, dando per esempio il proprio voto a chi sostiene un progresso scientifico eticamente sostenibile e rifiutandolo a chi respinge idee e fatti scientifici che preferirebbe ignorare.
Di certo però una scadenza già definita ce l’abbiamo: tra circa 6 miliardi di anni il nostro Sole entrerà in una fase che lo porterà a diventare una Gigante Rossa, si espanderà e ingloberà anche il nostro pianeta. Per allora, o ci saremmo già estinti da chissà quanto tempo o, magari, avremo colonizzato altri luoghi del cosmo.
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Esistono varie teorie del cosmo come anche sulla forma della terra e la sua posizione nell’universo: penso a terrapiattisti e affini. Perché secondo lei i movimenti antiscientifici sembrano in crescita?
Non lo sono necessariamente, ma certamente grazie ai social hanno moltissima visibilità.
Persone di questo tipo in realtà ci sono sempre state, ma mentre ieri declamavano in piedi su una cassetta della frutta, con due e tre persone che li ascoltavano perplessi, oggi aprono un canale YouTube e possono avere centinaia di migliaia se non milioni di followers. È indubbio che il web abbia favorito la condivisione e l’aggregazione di persone con idee antiscientifiche, il che le rende anche più rumorose e, in qualche caso, pericolose.
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Anche l’intelligenza artificiale sembra aver creato fazioni diverse. Può secondo lei superare il cervello umano?
Il cervello umano è straordinario, una macchina meravigliosa che nessuna intelligenza artificiale può o, verosimilmente, potrà mai replicare.
Potremmo imparare a impiegarlo meglio, e certo dobbiamo scoprire ancora tante cose, ma non ci sono “facoltà” o poteri magici da sviluppare.
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Lei da giovanissimo ha conosciuto e lavorato con Piero Angela. Qual è l’eredità di questa figura straordinaria?
Piero Angela ha inventato la divulgazione scientifica nel nostro Paese, prima di lui non esisteva nulla di simile.
La sua lezione è un punto di riferimento per chiunque faccia divulgazione oggi e si basa su due pilastri centrali: il primo riguarda i contenuti e il secondo la presentazione.
Piero diceva che bisogna stare dalla parte della scienza per i contenuti, cioè rigorosi, verificati, mai superficiali, e dalla parte del pubblico per quel che riguarda il linguaggio, il modo in cui presentare quei contenuti, così che siano non solo chiari e comprensibili, ma anche interessanti, piacevoli -e perché no?- divertenti.
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Come si è evoluto negli anni il suo percorso di formazione e ricerca?
Dall’incontro con Piero Angela ha preso il via la mia formazione specifica: mi sono laureato in psicologia all’Università di Padova (con una tesi sull’attendibilità dei testimoni oculari) e ho portato in Italia quella che viene definita “Psicologia dell’insolito”, con il primo e unico corso universitario su questo tema, alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, che ho tenuto per quattro anni. Oggi tengo corsi di comunicazione della scienza al Politecnico di Milano e all’Università di Padova.
Sono anche Visiting Fellow al Dipartimento di Storia della scienza dell’Università di Harvard, Research Fellow del Committee for Skeptical Inquiry e tengo conferenze e seminari in Europa e negli Stati Uniti.
Nicoletta Benatelli