L’ipotesi avanzata in uno studio dell’Università svedese di Lund. Ma sono anche molti altri i rischi di una moda che vede l’Italia ai vertici mondiali
Farsi un tatuaggio, anche piccolo, potrebbe aumentare significativamente, esattamente del +21%, il rischio di sviluppare un linfoma, cioè un tumore di un tipo specifico di globuli bianchi presenti nel sangue, i linfociti, che servono al nostro organismo per combattere le infezioni.
L’inserimento dei disegni incisi sulla pelle tra i potenziali fattori di rischio per il cancro nel sistema linfatico è la conclusione suggerita dai ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, sulla base dei risultati di uno studio per conoscere proprio le possibili associazioni tra la pratica del tatuaggio e il linfoma.
Tatuaggi? Per il rischio-linfoma le dimensioni non contano
Anche se, premettono gli studiosi, coordinati da Christel Nielsen si rendono necessari ulteriori approfondimenti, già in corso, anche per verificare possibili associazioni tra tatuaggi e altri tipi di cancro o malattie infiammatorie, dopo i primi risultati emersi in un settore in cui sono ancora scarse le conoscenze, un dato che ha sorpreso gli stessi scienziati è che l’aumento del rischio di linfoma non dipende dall’area di superficie corporea interessata dal tatuaggio, ma riguarda tutti coloro che ne hanno fatto almeno uno, di qualunque dimensione.
“Non sappiamo ancora – spiegano – perché questo avvenga. Si può solo ipotizzare che un tatuaggio, indipendentemente dalle dimensioni, scateni un’infiammazione di basso grado nel corpo, che a sua volta può scatenare il cancro. Il quadro è quindi più complesso di quanto pensassimo inizialmente”.
Nielsen ricorda anche che il linfoma è comunque “una malattia rara e che i risultati ottenuti si applicano a livello di gruppo”.
Lo studio
Partendo dai registri della popolazione, il team ha identificato le persone con diagnosi di linfoma, abbinandoli a un gruppo di controllo di soggetti sani dello stesso sesso e della stessa età.
I partecipanti all’esperimento, complessivamente 11.905, sono stati quindi invitati a rispondere a un questionario sui fattori legati allo stile di vita, come il fumo, e all’età, determinando anche quanti di essi fossero tatuati.
Delle 2.938 persone con linfoma emerso tra i 20 e i 60 anni hanno risposto in 1.398, 298 dei quali (il 21%) è risultato avere almeno un tatuaggio.
Nei 4.193 componenti del gruppo di controllo senza diagnosi di linfoma rispondenti alle domande, i tatuati erano invece 735 (il 18%).
“Per il singolo, è bene sapere che i tatuaggi possono avere effetti sulla salute”, conclude Nielsen, ricordando che un tatuaggio fatto in giovane età espone all’inchiostro per gran parte della vita.
L’inchiostro dei tatuaggi nel nostro corpo
Se si avvertono sintomi correlabili al tatuaggio, consiglia la ricercatrice, bisogna rivolgersi al proprio medico.
“Sappiamo già che quando l’inchiostro del tatuaggio viene iniettato nella pelle, il corpo lo interpreta come qualcosa di estraneo che non dovrebbe esserci e il sistema immunitario si attiva. Gran parte dell’inchiostro viene trasportato lontano dalla pelle, verso i linfonodi dove si deposita”, afferma. E gli inchiostri usati spesso contengono componenti cancerogeni.
In un webinar organizzato nel 2021 dall’Intergruppo melanoma italiano è emerso che il 3,3% dei tatuati ha avuto una complicanza più o meno importante, percentuale che sale al 6,6% in caso predominino gli inchiostri rossi o gialli.
Tra i più comuni effetti negativi, dolore (39,3% dei casi), eczema e prurito (26,7%), allergie ai colori (17,5%). Ma si possono scatenare anche reazioni granulomatose (27,7%) da corpo estraneo o simil-sarcoidee, reazioni pseudolinfomatose e reazioni pseudoepiteliomatose.
Gli italiani e i tatuaggi
Nell’ottobre 2023, diverse testate hanno lanciato la notizia secondo cui, sulla base delle ricerche, l’Italia sarebbe il Paese con più tatuati al mondo: il 48% della popolazione contro il 47% della Svezia e il 46% degli Usa, anche se in questi Paesi chi si tatua effettua mediamente 4 disegni mentre da noi ci si ferma a 1.
Nel 2015 le persone tatuate erano il 12,8% della popolazione (più donne, 13,8%, che uomini, 11,7%), con la percentuale che saliva al 13,2% comprendendo anche i “pentiti”.
Uno su quattro, tornando al webinar già citato, infatti si pente. Quanto alle fasce d’età, le quote di tatuati più alte (23,9%) avevano tra 35 e 44 anni, anche perché il primo tatuaggio viene fatto mediamente a 25 anni. Non va sottovalutato però nemmeno il 7,7% di minorenni.
Alberto Minazzi