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Giubbe gialle sul Brennero contro il FakeInItaly formato famiglia

Giubbe gialle sul Brennero contro il FakeInItaly formato famiglia

Militanza e protesta, ma anche proposte. Coldiretti a caccia di un milione di firme: al via una petizione per chiedere una legge europea che obblighi il riconoscimento sull’origine di tutti i prodotti

Avete presente la marea rossa che alla fine del GP di Formula1 invade pacificamente l’autodromo di Monza?
Bene, la scorsa settimana il valico del Brennero, è stato teatro di una versione tutta speciale di quelle invasioni. A cominciare dal colore: giallo. Giallo Coldiretti.
Due giorni di presidio a difesa della qualità e dell’unicità del Made in Italy alimentare in tutte le sue declinazioni: agricolo, zootecnico, orticolo, ittico, lattiero-caseario, vinicolo.
Due giorni militanti a tutela del lavoro dei produttori italiani, della salute, contro illegalità, irregolarità e frodi alimentari, per una nuova politica europea di settore trasparente ed omogenea, e per reclamare l’urgente revisione e aggiornamento del Codice Doganale.
Così diecimila “giubbe gialle” hanno presidiato il valico contro il Fake in Italy -come recita anche l’hashtag coniato per l’occasione- ovvero la negazione del Made in Italy.
Una presenza massiccia (calcolata in cinquemila presenze per ognuno dei due giorni di mobilitazione) che ha fatto pesare la sua “militanza” a sostegno delle operazioni di controllo e contrasto all’illegalità alimentare di Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Carabinieri e specialisti del Nas dell’Arma su tir, cisterne, camion che entravano dall’Austria dopo tragitti e con carichi troppo spesso molto opachi. Targhe olandesi, polacche, tedesche, del Belgio. Autotrasportatori quasi tutti dell’Est Europa, addirittura asiatici del Kirghizistan.
Fenomeno che, per inciso, si riflette negativamente pure sull’indotto, in questo caso l’autotrasporto con sigle nazionali del comparto che hanno appoggiato l’iniziativa di Coldiretti.

FakeInItaly
Verifiche su un camion straniero con carico di prodotti agroalimentari sospetti

À la carte: FakeInItaly formato famiglia

Per chi era il carico di asparagi dell’Ungheria quando da noi non si contano le eccellenze del campo? E quell’uva del Sudafrica?
Via Olanda e Germania era destinata a marchi della Gdo in Emilia-Romagna, peccato che le confezioni originassero in India con note esplicative  esclusivamente in Hindi.
Prodotti caseari “costruiti” all’estero ma già impacchettati con tanto di targhette e bandierine italiane.
Ancora, un tir carico di anguille del Baltico che andavano a Chioggia, una delle “capitali” proprio dei bisati. Vi dice niente?
E non sono mancate le cosce di maiale “anonime” per un generico Nord Italia con il sospetto che vengano riciclate come buoni prosciutti di qualche Dop. Allora, guardate nella vostra busta della spesa, magari anche voi scoprirete qualche FakeInItaly formato famiglia.
Per questo tra le migliaia di associati Coldiretti provenienti da tutta Italia (la delegazione veneta era tra le più consistenti con oltre 1600 presenze) sono arrivati anche gruppi di consumo e loro associazioni dal Codacons a Slow Food.
Testimonianza indipendente, si potrebbe dire. Allarme per i 25mila litri di latte tedesco imbarcati su una cisterna diretta in posti semisconosciuti. Trasformato o imbottigliato, chissà cosa può diventare sulle nostre tavole, in pizzeria o all’hard discount.

FakeInItaly
Cisterna di latte dalla Germania fermata dal Nucleo Repressione Frodi

Prodotti tagliaprezzi

Secondo Coldiretti, proprio gli empori food del tutto a poco sono tra i maggiori canali di vendita del Fake in Italy.
«Sono indubbiamente, a nostro parere, punti di approdo e commercializzazione di prodotti che bucano una normativa a maglie troppo larghe e che potendo giocare sul prezzo diventano attraenti dal punto di vista economico -ci dice Carlo Salvan, presidente Coldiretti Veneto -. Intendiamoci, non vogliamo contestare o impedire le importazioni. Non è questo il nostro obiettivo. Piuttosto vogliamo regole chiare valide per tutti. Poi sarà il consumatore a scegliere, consapevolmente, il prodotto Made in Italy o quello importato, che però non deve diventare esso stesso Made in Italy. Oggi, nella confusione vince chi fa e chi vende al prezzo più basso».
Si scopre così che se in nord Europa è Rotterdam l’hub principale per tutti questi prodotti destinati a scimmiottare l’autentico Made in Italy, da noi è Verona uno dei centri di smistamento per carni, ortaggi, latte, formaggi. Grazie a una bella bandierina italiana e il cambio dell’etichetta, li comperiamo perché convenienti e convinti siano frutto del lavoro di agricoltori e allevatori pugliesi, emiliani o piemontesi.

FakeInItaly
Carlo Salvan presidente di Coldiretti Veneto al presidio del Brennero

Un’etichetta non basta

Il messaggio dal Brennero è chiaro spiega Salvan. «Sovranità come battaglia di giustizia incentrata sul mondo agricolo e su una politica di chiarezza e trasparenza verso i consumatori.  Abbiamo verificato che dalle frontiere entra tantissimo prodotto agroalimentare che sottrae quote di mercato ai nostri produttori in valore e ricchezza. La nostra iniziativa conferma ciò che chiediamo da tempo, ovvero l’esigenza di garantire la reciprocità negli scambi commerciali e regole che assicurino i consumatori sull’intera filiera del prodotto quindi compresa la fase di trasformazione».
Infatti, Coldiretti continua a ripetere che non basta l’etichetta perché se l’ultima trasformazione, ancorché minima, avviene in Italia et voilà il prodotto diventa tricolore: illusoria certezza per il consumatore.
Invece, tir carichi di FakeInItaly eludono le regole sulla sicurezza alimentare italiane, notoriamente le più stringenti in Europa. E danno fastidio a molti.
Questo spiega le strane, prolungate soste in territorio austriaco di decine di autoarticolati carichi di prodotti alimentari che dovevano entrare in Italia.

Una petizione popolare per chiedere il riconoscimento sull’origine di tutti i prodotti

Il tam-tam via CB tra camionisti serviva a ritardare il passaggio del confine fino a quando i controlli di Fiamme Gialle e Nas non smobilitavano. E poi via libera direzione mercati, negozi, iper, mense, punti vendita; in una parola verso le nostre tavole.
E invece no, conclude Carlo Salvan « Proprio dal  Brennero è partita una nostra petizione per una legge europea di iniziativa popolare che obblighi il riconoscimento sull’origine di tutti i prodotti. Obiettivo un milione di firme.

FakeInItaly
Contiamo sull’appoggio anche di altri Paesi dell’Unione per costringere la Commissione di Bruxelles, quella che nascerà dal nuovo Parlamento europeo, per normare in modo diverso e tracciabile le etichettature nel settore alimentare che ha ricadute anche sul fronte della salute dei cittadini, compresi quelli di Paesi tradizionalmente meno attenti a cosa si porta in tavola».

Agostino Buda

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