Dal 22 febbraio al 30 giugno, al museo Revoltella di Trieste, semplicemente “Van Gogh”
“Non è forse l’emozione, la sincerità del sentimento della natura a guidarci?” – scrisse Vincent Van Gogh al fratello Theo nel 1888, disquisendo sulla natura come “musa” – “Le pennellate vengono fuori con una sequenza e una concatenazione tra loro come le parole di un discorso o in una lettera.”
L’incontro con Van Gogh e con il senso della sua arte, avviene non solo tramite i suoi dipinti ma anche grazie alle epistole del pittore olandese, lasciate in eredità alla storia, ai disegni – “origine di tutto” – con i quali si preparava a realizzare le sue opere, agli acquerelli e ai numerosi schizzi.
Dopo la mostra-record di Roma, che ha registrato circa 600.000 visitatori, Van Gogh e i suoi capolavori si spostano al museo Revoltella di Trieste, dal 22 febbraio al 30 giugno.
La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, è realizzata con la collaborazione del museo olandese Kröller-Müller di Otterlo, che ha concesso l’esposizione di oltre 50 capolavori. Inoltre, grazie all’aggiunta di alcune opere provenienti dalla Galleria Nazionale della capitale italiana, sarà possibile assistere a un evento speciale: la riunione dei ritratti di monsieur e madame Ginoux, i proprietari del Café de la Gare di Arles frequentato da Van Gogh fino al 1890 (alla Galleria si deve anche il prestito dell’opera Il Giardiniere).
La vita di Van Gogh, dall’Olanda alla Francia
L’esposizione è pensata per ripercorrere in ordine cronologico la breve vita del pittore olandese, la cui fama ha trasceso il tempo: basti pensare che visse solo 37 anni, dal 1853 al 1890. Di questi, solo gli ultimi dieci furono dedicati all’arte figurativa, di cui i primi cinque principalmente al disegno, fondamentale per imparare poi a dipingere.
Disegnare, testimonia un suo scritto, significa “lavorare attraverso un invisibile muro di ferro che sembra separare ciò che si sente da ciò che si è in grado di fare. È necessario indebolire questo
muro, erodendolo a poco a poco con costanza e pazienza”.
Nei suoi dieci anni di attività artistica Van Gogh di disegni ne ha realizzati circa mille. Da qui, 850 dipinti, 150 acquerelli e 133 schizzi su lettera.
Tra gli artisti del Grand Boulevard e il ritorno ad Arles
Artista povero tra i poveri, Van Gogh origina le sue opere nella sua Olanda, tra contadini e campagne, mulini e patate: in generale, l’ambiente domestico del nord Europa di fine Ottocento.
È nel biennio parigino, tra il 1886 e il 1888, che Van Gogh sente la necessità di confrontarsi con l’epoca storica che sta attraversando il mondo del tempo.
Qui si imbatte nella corrente degli Impressionisti, facendo conoscenze tanto con i fondatori – i Monet, Degas, Renoir, Sisley e Pissarro del Grand Boulevard, così come li definì – quanto con le giovani figure: Seurat, Signac, gli amici Émile Bernard, Toulouse-Lautrec e Loius Anquetin. Qui conosce anche Gauguin, appena tornato dalla Martinica e portatore dell’ideale dell’ artista vagabondo.
Nel periodo post-parigino segue il ritorno al colore, alla musicalità cromatica e, forse, all’espressione più intima del Van Gogh pittore.
Ad Arles i suoi dipinti si fanno più morbidi e luminosi, il colore determina gli spazi e le profondità.
Tanto chiari e allegri sono i quadri che dipinge quanto repentina è la discesa negli abissi della sua coscienza e la seguente risalita. I punti di riferimento diventano Delacroix, Millet e Corot; l’interesse si sposta dai passaggi ai ritratti (ed è qui dove dipingerà i coniugi Ginoux).
L’ultima fase di produzione pittorica e il declino folle di un artista incompreso
L’ultima fase della vita artistica – e non solo – di Vincent Van Gogh è a Saint-Rémy-De-Provence, dove si rinchiude nel 1889 nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul de Mausole e a Auvers-Sur-Oise, dove trascorre i suoi ultimi tre mesi prima di suicidarsi, a fine luglio 1890.
Nascono “Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy” (1889) e una ricca produzione di opere che testimoniano il declino folle del pittore e caratterizzate da un attenuarsi dei colori.
Ciononostante, nei momenti di lucidità, è in grado di auto-analizzarsi, tanto da chiedersi quanto il suo stile venga influenzato dall’instabilità mentale e se non siano proprio i dipinti a scatenare i suoi attacchi di follia. Qui inizia ad esercitare la copia, ritenuta fondamentale come esperienza artistica.
La mostra è promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle politiche della cultura e del turismo, con il supporto di PromoTurismo FVG e del Trieste Convention and Visitors Bureau, con il contributo della Fondazione CRTrieste. È possibile visitarla da lunedì a domenica, dalle 9 alle 19 (chiuso il martedì), festivi compresi.
Damiano Martin
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