Ingv ha partecipato alla missione Meteor M198, appena conclusa, per indagare attraverso le porzioni sommerse lo scivolamento del vulcano verso le acque
Più o meno come in un iceberg, il cono emerso di un vulcano è solo una parte di una struttura assai più complessa che si può provare a conoscere solo spingendo le indagini in profondità. Quando poi un vulcano costituisce un’isola o quantomeno sorge nelle vicinanze del mare, tutto quello che sta sott’acqua, dove “poggia i piedi”, è altrettanto importante di quel che si trova nel sottosuolo della terraferma.
Anche perché è un fenomeno assolutamente naturale il lento e progressivo scivolamento del vulcano nel mare con continui movimenti, anche sotto il Mediterraneo, che, sottolinea il ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Alessandro Bonforte, “di norma non sono pericolosi, ma in particolari condizioni possono dare origine, oltre ai terremoti, anche, ad esempio, a frane sottomarine”.
Il riferimento specifico di Bonforte è l’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa con i suoi 3.357 metri, e i suoi ben noti sismi che interessano periodicamente il fianco orientale. Ma il vulcano siciliano è anche uno dei meglio studiati al mondo.
“Un laboratorio a cielo aperto”, come lo definisce il ricercatore, appena rientrato proprio da una spedizione per indagare le porzioni sommerse del fianco sud-orientale dell’Etna.
Gli obiettivi della spedizione Meteor M198
L’esperto dell’Ingv ha partecipato alla spedizione Meteor M198, organizzata dal Centro di ricerca oceanografica Geomar di Kiel, in Germania, che per 13 giorni ha effettuato rilevazioni al largo delle coste di Catania, rientrando in porto nella serata del 22 febbraio.
“L’Ingv – spiega Bonforte – monitora da decenni i lenti ma progressivi movimenti dell’Etna. Si parla di 3 cm l’anno: una misura geologicamente importante”.
Il team di ricerca internazionale ha ora cercato innanzitutto di verificare se il fianco sud-orientale dell’Etna stia scivolando in direzione dello Ionio come un blocco unico o in più porzioni. Poi, si è provato a comprendere anche le origini di questa dinamica.
Dalle misurazioni è stata tra l’altro rilevata la deformazione attiva sulla prosecuzione della faglia di Acitrezza almeno fino a 1.200 metri di profondità.
“Per arrivare alle evidenze sui dati acquisiti – riprende il ricercatore dell’Ingv – saranno ora necessari mesi, se non anni di analisi e elaborazioni per capire le correlazioni. Il nostro compito, adesso, è stato quello di effettuare una raccolta multidisciplinare di dati, da quelli geofisici a quelli geologici, e di ripetere le acquisizioni con sonar multibeam per arrivare a una mappatura del fondale marino sempre più dettagliata”.
Le rilevazioni e la novità dei piezometri
La spedizione ha utilizzato anche sofisticati droni subacquei per ottenere “una microbatimetria di alcune aree a più alta risoluzione, in alcuni casi inferiore al metro”, illustra Bonforte. Ancora, sono stati effettuati carotaggi nei sedimenti dei fondali e dragaggi per raschiare il substrato roccioso di due aree e poter così campionarne le rocce, “che ci danno più domande che risposte”, ammette.
Utilizzando tecniche geodetiche, sono stati poi scaricati dalla rete di sensori acustici installati sui fondali nel 2015 alcuni dati che consentiranno, una volta elaborati, di calcolare, sulla base dei tempi di propagazione delle onde sonore, i relativi punti di scivolamento tra i vari punti della rete. Una novità è invece l’installazione di 2 piezometri, sperimentando così una tecnica finora mai applicata ai vulcani.
“Attraverso i piezometri – illustra il ricercatore – possiamo misurare le variazioni della cosiddetta “pressione di poro” nei sedimenti e verificare se queste variazioni siano correlate o correlabili con i movimenti della faglia monitorata, essendo posizionati proprio a ridosso di questa”. In altri termini, si proverà a capire se un movimento del fianco del vulcano sia accompagnato o possa essere anticipato da cambiamenti nelle caratteristiche dei fluidi presenti al suo interno.
Oltre la costa, tra scivolamento del vulcano e terremoti
Intanto, ammette Bonforte, la correlazione tra il movimento del fianco orientale dell’Etna e i terremoti è ormai acquisita.
“L’ultimo evento sismico importante in questo senso – ricorda – è quello di fine 2018, con la cosiddetta “eruzione di Natale” del 26 dicembre. La presenza della Valle del Bove condiziona sicuramente il fianco del vulcano, il cui movimento facilita alcune eruzioni, come quella del 2002. Possiamo dire che c’è una stimolazione reciproca tra attività del fianco e attività vulcanica”.
“Le misurazioni – conclude Alessandro Bonforte – da decenni sono arrivate fino alla costa e possiamo dire che, con l’acqua, finisce la nostra capacità di osservare. È per questo che l’attività oceanica, come quella che abbiamo appena svolto, è dunque fondamentale per definire meglio i confini, affiancando ai dati provenienti dal mare a quelli elaborati a terra, consentendoci un enorme avanzamento della conoscenza dei fenomeni geologici caratteristici”.
Alberto Minazzi
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